JuJu è Gioele Valenti, che dopo la militanza nei Lay Llamas non rinnega la vocazione Etno Folk, ma in questo nuovo percorso in solitaria si concede qualche grado di libertà compositiva in più: nel self titled di debutto confluisce più di una tendenza, e come sempre in questi casi la riuscita del lavoro sta quasi tutta nella capacità di cucire insieme gli universi sonori.
Il progetto solista di Valenti prende il nome da un amuleto africano ed il suo primo LP esce per la statunitense Sunrise Ocean Bender, ma narra una storia che riguarda la Terra natìa molto più di quanto potrebbe sembrare a primo acchito, che guarda all’altra sponda del Mediterraneo come quella dei C’Mon Tigre e trascrive le ispirazioni sonore lontane sulla lezione Psych Prog italica che dagli anni 70 arriva agli Heroin In Tahiti e contamina il Pop barocco dei Sycamore Age. Ad ammorbidire la psichedelia e i ritmi solenni e tribali provvede poi un’attitudine Shoegaze fatta di riverberi e linee vocali in secondo piano.
Il mood è inquieto e imprevedibile, e dagli innesti nascono creature singolari: le atmosfere Drone dei bassi assestati di “Samael” sono sfigurate dalle percussioni esotiche e poi saturate dai ronzii prepotenti delle chitarre, con “We Spit on Yer Grave” ci si perde in una matassa elettrizzata e tonificante à la DIIV, “Stars and Sea” esordisce mistica e cadenzata come un rituale pagano per crescere lenta e infine esplodere nel Rock schietto a base di riff e batteria.
Le sette tracce che compongono l’album non condividono gli ingredienti quanto la disinvoltura che sa di improvvisazione sapiente, che rende possibile la convivenza del minimalismo di un inciso sognante e sintetico come “Dance with the Fish” con il crescendo sensuale e lisergico di “Sunrise Ocean” tra il dilatarsi di cori oscuri.
JuJu è un disco dall’umore ostico e introverso, ma l’ossessività dei suoi loop gli regala il fascino di una celebrazione pagana, e il risultato è magnetico e immediato.
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Last modified: 3 Aprile 2019