Hanno ammazzato Kevin ma lo slacker rock è più vivo di prima.
[ 14.11.2020 | autoprodotto | lo-fi, indie rock ]
Il duo statunitense composto da Todd Jordan e Jacob Kuchavik fa il suo ritorno a un anno di distanza da Dorkcore 101 non solo ricalcandone lo stile solo in minima parte, ma portandosi avanti in termini di qualità in maniera netta, forse insperata e sicuramente coraggiosa.
La scrittura di Kevin & the Bikes è ironica, come suggerito nel titolo, ma come confermato dagli stessi il risultato finisce per non esserlo affatto e l’aria giocosa si confonde nelle spigolature lo-fi, nel rumore cacofonico, nell’introspettivo midwest emo e in un vigoroso power pop. Tutto questo dona alle dieci canzoni un fascino di cui è impossibile non innamorarsi, ovviamente se siete ben predisposti a certi suoni non proprio puliti e commerciali.
Kevin non c’è più (avete presente “Ed, Edd ed Eddy”, il cartoon surreale? Kevin è quel ragazzo stronzetto con berretto e bicicletta) e non c’è più la sana follia che caratterizzava i lavori precedenti, come il già citato dork che svariava tra un’infinità di stili ed aveva la durata di oltre 200 minuti per 101 brani.
Tanta sperimentazione, dunque, e soprattutto il desiderio di fare il cazzo che gli pare che ora sono in parte sostituiti dalla consapevolezza di poter mettere in piedi un gran bel disco slacker rock, il quale potrà deludere chi si era innamorato dei deliri dell’anno scorso ma al tempo stesso avvicinare chi non si nutre di sole provocazioni. Perché se è vero che Dorkcore 101 dava l’idea di sbeffeggiare e deridere l’intero mondo indie rock, ora, Ironic Songs quasi pare divenire esattamente l’oggetto di tale derisione.
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Il punto chiave è: tutto questo rientra nella grande burla targata Kevin & the Bikes o siamo davanti ad un vero tradimento ai danni del proprio passato? Io credo che questa sia la normale evoluzione di alcuni ragazzi che hanno tanto da dire e non hanno paura di staccarsi dai cliché per comunicare, anche a costo di rinunciare a ciò che di loro aveva fatto impazzire la fanbase.
Figa la trovata di Kevin, ok, ma non è solo questo che siamo, sembrano voler dire i due e se riuscissimo a staccarci noi dal passato, potremmo lasciarci ammaliare dalla voce ebbra, dalle batterie perfettamente amorfe, dalle chitarre sgangherate, da quel suono che sembra provenire dal nostro cervello, dalla musica dei nostri ricordi dopo una scorpacciata di funghetti allucinogeni e non ditemi che un pezzo come Spokoynoy Nochi non vi abbia fatto pensare al più delirante Syd Barrett solista.
Anche le sessioni acustiche (ad esempio all’inizio di One Night To Make You Wish It Was Forever) suonano fantastiche e degne del miglior Mountain Goats cosi come le schitarrate shoegaze volutamente disastrate neanche fossimo davanti alla peggior cover band dei My Bloody Valentine che decide di darsi al pop punk. Non mancano piano, elettronica e synth e voci talvolta riverberate all’eccesso a rendere ancor più completo il suono di un disco capace di avere la stessa forza sia nel suo insieme, sia nei suoi punti più alti.
Insomma, i Kevin & the Bikes dimostrano tutto il loro valore anche senza dover fare i coglioni, confermando che la materia prima emo ha ancora tanto potenziale e che scrivere grandi canzoni è cosa che possono fare benissimo anche loro, due sconosciuti tizi del midwest. Del resto, il vantaggio di essere intelligenti è che si può sempre fare gli imbecilli.
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Last modified: 3 Dicembre 2020