Quella dell’orchestra fondata in Svizzera è stata una performance tribale, animalesca, sensazionale, delicata: in una parola, imperdibile.
[20.03.2025 | Mount Echo’ @ Teatro delle Logge, Montecosaro (MC)]
Foto © Max Demian
Mount Echo’ tende a viziarci, ormai. Non bastava chiamare My Brightest Diamond (qui il nostro report del concerto) e Storefront Church per una doppietta di date uniche nel nostro Paese.
Quella della rassegna culturale della provincia maceratese è una realtà che tocca le corde più profonde dell’animo umano. Si nutre di continua energia vitale e ardente per merito delle persone che vi lavorano dietro e fuori il sipario, che sono individui in carne ed ossa il cui unico scopo è quello di generare condivisione d’intenti, di ascolti, di visioni, di ideali.
Non importa in che misura, e non importa neanche se l’abbraccio sia composto da due o da duecento spettatori. Creare connessioni con sé stessi e con chi abbiamo attorno o accanto a noi, in una sorta di terapia d’urto che ci fa stare così bene da voler ogni volta tornare nello stesso luogo, con l’abitudinaria curiosità di scoprire quale sarà il successivo input: è questo lo spirito che con più o meno costanza ci conduce alle porte di Montecosaro in un viaggio carico di salite ed emozioni.

Un jazz spirituale ma anche concreto.
Con l’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp potremmo dire che l’intento di esplorare ed esaltare la molteplicità dei generi ha dato i suoi freschissimi e coloratissimi frutti, dai più esotici ai più ordinari.
Il Teatro delle Logge ci ha ancora una volta accolti tra le sue regali decorazioni, con qualche piccola modifica per l’occasione. Via le poltroncine dalla platea: si sta più larghi e comodi in piedi. Le barriere decadono, lo spettatore è vicinissimo all’artista, quasi in simbiosi con lo stesso.
Nel caso specifico, siamo posti senza più alcun filtro al cospetto di dodici musicisti che ci hanno regalato quasi novanta minuti di spumeggiante adrenalina orchestrale: un contrabbasso, due batterie, un violino, due chitarre, un violoncello, due marimbe, un trombone, un flicorno, una voce femminile che andava e veniva tra palco e pubblico
Quel che è certo è che si tratta di artisti strepitosi, che si alternano alle voci con una naturalezza incredibile, cosa non troppo banale se pensiamo al fatto che non tutti i membri sono fissi ma, al contrario, buona parte del collettivo è caratterizzato da un costante flusso migratorio di musicisti che passano, contribuiscono per dei brevi o lunghi momenti, e poi dipartono.
Dopotutto è la normalità ed è bello anche così, come afferma anche Vincent Bertholet, contrabbassista e fondatore dell’OTPMD nel 2006. Un progetto che nasce come sestetto e che si espande poi nel tempo, fino a diventare un collettivo che oscilla tra i dieci e i dodici membri, senza tener conto dei due fondamentali tecnici al loro seguito, custodi della missione di dare corpo e materia ai numerosi strumenti palpitanti presenti sul palco. Impossibile star fermi di fronte ai ritmi travolgenti di un jazz spirituale e allo stesso tempo concreto, corporeo, terreno.

Una lotta radicale alla società.
Non è solo jazz quello portato dagli OTPMD, come non è solo art rock, non è solo Afro music, non è solo post-punk. È lotta radicale alla società, in un clima divertente e allo stesso tempo rigoroso, alla ricerca dell’equilibrio armonico più vicino all’imperfezione che possa esistere.
È dall’idea di costante evoluzione della storica band olandese The Ex, nata sotto il genere dell’anarcho punk e sviluppatasi successivamente attraverso movimenti di free jazz e sperimentazione, che gli OTPMD prendono vita. Zero etichette, zero catene, tanto dinamismo, tanti strumenti, sicuramente anche un po’ di sana follia svizzera che però – proprio perché di tale appartenenza – riconosce alla perfezione il sottilissimo filo su cui non deve inciampare per non perdere di credibilità.
La scaletta della serata marchigiana si divide tra brani dell’ultimo lavoro Ventre Unique, scatti nel passato dal secondo album We’re Ok. But We’re Lost Anyway e un brano inedito che probabilmente preannuncia qualcosa in ebollizione.
Le sezioni ritmiche divampano, le corde degli archi strepitano, le marimbe saltellano elettrizzate da un estremità all’altra del palco, le chitarre scandiscono il tempo su irresistibili distorsioni sonore e i fiati tuonano incontrastati nell’aria pre-primaverile.
Qualche attimo dopo, il battito scende. Gli archi si addolciscono, le percussioni si fanno più tenui, le chitarre sussurrano alle marimbe, i fiati si posano sulle voci ora femminili, ora maschili, che in coro si sincronizzano per dar vita ad un tripudio di colori e incastri ampiamente saldi e armonici.
C’è vita e c’è speranza, in questa rigenerante danza collettiva di cui noi tutti siamo protagonisti, senza distinzioni, senza pregiudizio.

Un abbraccio pieno di vita.
Sotto il palco c’è chi muove la testa, chi tutto il corpo, chi applaude, chi gioisce, chi ascolta e osserva con scrupolosa concentrazione i dodici elementi che rendono l’aria del Teatro delle Logge vibrante e luminosa, con tecnicismi che appaiono quasi come un gioco da ragazzi, ma che celano anni e anni di studio in accademie e conservatori.
Una performance tribale, animalesca, sensazionale, delicata, che abbraccia più culture, più sentimenti, più percorsi di vita e molto, molto altro. Grazie all’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp per l’indimenticabile serata.
Mount Echo’ ci aspetta per l’ultima imperdibile data del suo Decimo Volume, sabato 5 aprile 2025 con la compositrice e pianista iraniana-svedese Shida Shahabi. Non mancate!
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Last modified: 24 Marzo 2025