Il resoconto della data romana della band londinese, sabato scorso 15 marzo 2025 al Wishlist Club.
Premessa doverosa: gli Italia 90 sono una di quelle poche band per le quali nutro un’ammirazione gargantuesca. È chiaro che il concerto sold out di sabato scorso al Wishlist – apertura affidata agli All You Can Hate – ha rappresentato per il sottoscritto un momento catartico non solo per le orecchie, ma anche per gli occhi. Una vera e propria notte magica! D’altronde, il quartetto di South London è un affezionato frequentatore della Capitale, sin dal debutto in versione live al Trenta Formiche nel maggio 2022, prima ancora dell’uscita dell’album di esordio, Living Human Treasure.
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Quattro ragazzi con il fascino della periferia, che fanno della semplicità il loro messaggio più forte. Quattro amici d’infanzia che stanno vivendo oggi il loro sogno. Sala prove e concerti in lungo e in largo per l’Europa. L’accoglienza in ogni live è sentita, e se ne capisce immediatamente il motivo: una dimensione umana che ce li fa percepire parte di noi, gente comune che tra mille difficoltà cerca di andare avanti in questo mondo alienante.
A me piace immaginarli così, a guardare le partite del Brighton & Hove Albion Football Club (perché è a Brighton che nascono) e a trascorrere lunghi pomeriggi al pub a bere boilermaker e a discorrere di Brexit e questione nordirlandese. Consiglio di recuperare il singolo Borderline, uscito per Brace Yourself Records ne 2021, che contiene il b-side Declare, una condanna alla complicità e all’inazione di fronte a violenze e persecuzioni. L’originalità degli Italia 90 sta tutta qui: nonostante affrontino temi politici così seri, riescono a farlo anche con sarcasmo e giocosità. La perfetta sceneggiatura di un film di Ken Loach. La colonna sonora della working class britannica dei nostri giorni, che riecheggia dalle finestre e dai cortili dei casamenti popolari che già Stanley Kubrick fotografava negli anni settanta in “Arancia Meccanica” e che esistono e resistono ancora.

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Dov’ero? Ah sì, il concerto… dodici pezzi in scaletta, di cui cinque tratti da Living Human Treasure (curioso che il titolo dell’album riprenda un vecchio Programma dell’UNESCO istituito negli anni ‘90…) e i restanti inediti. I nuovi brani vogliono sperimentare, in un’altalena di melodia e momenti di riflessione, suonati con precisione e affiatamento. Addirittura, in Conqueror – per scoprire il nome dell’inedito non solo ho sbirciato la tracklist, ma ne conservo gelosamente un’originale, sicuro futuro cimelio – il cantante legge il lungo testo su un taccuino, in uno spoken word che ha l’obiettivo, riuscito, di conquistare l’anima dei presenti e del club, come in un discorso di incoraggiamento prima della rivoluzione.

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In un ordine alternato di esecuzione, New Factory, Harmony, Leisure Activities, Tales From Beyond e Competition, ascoltate decine di volte su disco, nella dimensione live non sono solamente classici post punk, etichetta in questo caso riduttiva, ma molto, molto di più. L’influenza maggiore, a mio avviso, è rappresentata dai Public Image Limited, soprattutto nel cantato. John Lydon apprezzerebbe sicuramente.
Il climax si raggiunge con Competition. Tutti insieme a cantare “freedom to choose, freedom to lose”, attimo liberatorio in un testo antipadronale per eccellenza. Eppure, credo proprio che qui l’ispirazione principale sia Freedom Of Choice dei Devo (ma accetto smentite!).
Fine? No… si torna sul palco. Due cover dall’indistinguibile tratto e il saluto al pubblico romano, come a voler comunicare e ribadire la loro reale origine musicale, il punk ‘77. This is England, this is Italia 90!

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Last modified: 19 Marzo 2025