Il compositore di Seattle si mette a nudo ma in un mare di confusione sgradevole.
[ 05.03.2021 | autoprodotto | art pop, folktronica ]
Il progetto nato quasi per gioco oltre dieci anni fa – quando il compositore di Seattle si divertiva tramite apposito software a mettere insieme suoni campionati – si è, col tempo e con la necessità di “creare”, trasformato in qualcosa di più e da quel momento, a nome Virtual Blaze, sono nate diverse canzoni dallo stile sempre diverso.
Dal 2017 il cambio nome in Lavair segna l’inizio di qualcosa di più concreto, inquadrabile, riconoscibile e a suo modo ambizioso. Il primo full length vede la luce nel 2018 e si tratterà di un mix di rumorosa psichedelia ancora non troppo convincente; l’anno successivo, con Limnics, il sound acquisterà vigore, ritmo e, fermo restando lo stile primario che mischia dubstep ed hip hop, il tutto sarà impreziosito da drum n bass, glitch hop e ambient.
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Superato il confusionario esordio, sembrava questa la strada giusta per Lavair ma, come suo solito, arriva il 2021 ed eccoci ad ascoltare qualcosa di completamento nuovo ed inaspettato. Inizia una ricerca stravagante della melodia, in una sorta di alternative ed art pop nevrotico ed avvolgente, con un oculato utilizzo dell’elettronica a mantenere intatta la vena lisergica presente anche agli esordi. La voce emozionante e tutt’altro che perfetta e gradevole sembra giocare sulle note folk e ci accompagna fino ad esplosioni alternative rock a memoria dei più rumorosi anni Novanta.
Trattandosi praticamente di un progetto solista autoprodotto, tutti i brani saranno cosparsi di imperfezioni che, sgradevoli alle orecchie dei perfezionisti del suono, daranno linfa a chi nei brani ricercherà gli aspetti emotivi dell’autore che mai come ora pare mettersi a nudo. L’utilizzo di materie prime molto diverse con pochi mezzi a disposizione, pur in una sorta di voluto e palesato lo-fi, non sempre colpisce nel segno e distrae fin troppo regalandoci, nostro malgrado, diversi momenti di pura e semplice sgradevolezza specie nell’alternanza di brani che a malapena riusciamo a intestare allo stesso autore, come si trattasse di una compilation di brani a cazzo di band locali.
Un azzardo per Lavair e come ogni azzardo bisogna contemplare il fallimento che, fortunatamente, non è prerogativa della totalità del disco. Iniziato l’ascolto avrei voluto parlarvi di un grande lavoro ma purtroppo non sarà questo il caso: la confusione regna sovrana, le emozioni evocate dalla sua voce e dalle sue parole che tristemente accompagnano l’aria sommessa di tutti i brani sono sparute ancore di salvezza dal disastro che non sempre riescono a reggere il peso di una mancanza di talento che non possiamo nascondere.
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Qualche spunto interessante non può bastare a fare di questo disco qualcosa di più di quello che è; una sorta di sfogo musicale più utile all’autore di quanto sia apprezzabile da chi ascolta. È lo stesso musicista di Seattle a scrivere che Artificial Soul “è solo un mucchio di canzoni decenti. Non sono molto contento, ma sono sollevato di averlo finalmente messo al mondo”.
Perfetto. È esattamente la stessa conclusione cui sono arrivato io ascoltando.
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Last modified: 22 Aprile 2021