Una delle nicchie più estreme nel connubio tra emo e hardcore punk sta vivendo il suo Rinascimento: iniziamo un viaggio tra le maree dello screamo.
In copertina: Rust Cohle interpretato da Matthew McConaughey in True Detective, uno che con il suo nichilismo emozionale avrebbe apprezzato non poco tante delle band screamo trattate nell’articolo.
Quando ero piccolo ero affascinato dal moto delle maree. Sicuramente le foto sull’atlante di Mont-Saint-Michel non hanno aiutato la mia giovane mente a distrarsi dalla fissazione.
Mi rendo conto che sia un modo un po’ strano per iniziare un editoriale musicale, però mi piaceva tirare fuori questa similitudine. La marea che avanza, la marea che si ritrae, che sommerge o che scompare completamente. In questo moto oscillatorio non posso che vederci un collegamento con quella che era, è e rimarrà una delle scene musicali del mio cuore, che porto sempre con me e che ancora oggi inonda i miei ascolti quotidiani.
Proprio come il fuoco camminava insieme a David Lynch, lo screamo cammina con me. E lo fa oramai da oltre quindici anni.
Sembrano tanti, ma credo che ci sia stato un piccolo disallineamento cosmico perché la mia prima maturità musicale è avvenuta quando questa marea screamo si era già assopita del tutto o stava procedendo a sussulti con alcuni highlander della scena.
Non sono cresciuto né negli scantinati della Virginia a metà anni ’90 né in quel di Boston tra le assi di legno marce di un qualche locale universitario e men che meno tra le serrande del Bridgetown di La Puente (anche se ho avuto la fortuna di vederci un concerto, ma questa è un’altra storia).
Quindi, data questa premessa storica, se penso al mio calendario concerti del 2025 e leggo pg.99, La Quiete e Saetia, qualcosa si smuove.
E non solo perché i miei ricordi del Dauntaun con la band di Forlì sono sempre più analogici e blurrati, ma perché credere di poter assistere dal vivo, in Europa, al ritorno sul palcoscenico di pg.99 e Saetia è ancora un qualcosa di indescrivibile. Ero già emozionato per i Jeromes Dream nel 2019, figuriamoci ora.
La marea screamo è tornata a suon di ristampe, reunion live e nuovi dischi. La marea screamo non si ferma. La marea screamo ha allagato nuovamente l’underground.
“Energic, powerful and somewhat hateful.”
Per spiegare il genere e la sua importanza basterebbe un meme che circolava anni fa su Reddit o Tumblr contro il fake emo: “real emo sounds energetic, powerful and somewhat hateful”.
Perché, per chi non conoscesse lo screamo, andando alla ricerca delle sue origini bisognerebbe iniziare a frullare e dosare gli ingredienti come segue: robusto hardcore punk, eclettismo post-hardcore americano degli anni ’90, fragilità emo, furia cieca e dissonante impreziosita da cascate copiose di power chord, con la ciliegina di urla viscerali che rigettano dal profondo le emozioni più drammatiche.
Ad ogni modo, più che una ricetta per suonare lo screamo, la definiremmo un primo impasto, perché i condimenti e le personalizzazioni sono state infinite, guidate da regioni geografiche e non, ognuna con delle forti peculiarità. E, visto che la marea è tornata vigorosa, lo scopo di questo umile articolo è quello di aprirvi una porta, un interesse, andando a tracciare una rotta da esperti capitani di mare per farvi trovare un’improbabile sintonia con un genere tanto ostico al primo impatto, quanto genuino e, nella sua schiettezza, capace di folgorarvi le sinapsi.
Questa sarà una storia a capitoli, perché la materia lo richiede. La scena è davvero inesauribile e per capire a che faro guardare non possiamo che iniziare da loro: gli Stati Uniti.
Riavvolgiamo il nastro e partiamo dagli anni che furono, per raccontarvi un passato che è tornato presente e riafferma lo screamo come uno dei sottogeneri punk più in forma degli ultimi anni.
In America urlavamo. Eccome, se urlavamo: i big 3.
C’è stata una scintilla che mi ha spinto a scrivere questo editoriale ed è stata la lineup del festival losangelino Your Reinassance, dove tre nomi mi sono subito balzati agli occhi: Portraits of Past, The Spirit of Versailles e In Loving Memory.
Leggendo questo trittico mi sono subito detto che lo screamo è davvero tornato, poiché le reunion di certe band hanno raggiunto oramai lo status di culto sulle loro personalissime carta d’identità. Nello screamo non è mai stato raro vedere band attive un anno, tre anni, dieci mesi (!) e lasciare un’impronta seminale, ma è molto più raro pensare che nel 2025 queste siano di nuovo su un palco.
Questo perché il codice binario dello screamo è da ricercare molto lontano e forse proprio nella prima band che vi ho citato: i Portraits of Past.
La band di San Francisco dura due soli anni, tra il 1994 e il 1995, ma è tra le prime ad estremizzare quell’ondata post-hardcore americana à la Drive Like Jehu, le virate emo dei Rites of Spring, Embrace e la contemporaneità sonora di band come Antioch Arrow, Indian Summer e Heroin per generare quel che venne riassunto nell’unico album 01010101, pubblicato postumo nel 1996.
Un rasoio tagliente che, grazie al lavoro di label come la Ebullition, accende la fiamma screamo negli Stati Uniti: quei sette minuti e ventuno secondi di Bang Yer Head sono un punto di non ritorno.
E, se non parlassimo dei PoP, dovremmo sicuramente cercare qualcuno nel roster della Gravity Records, e il nome non potrebbe che essere quello dei Mohinder, la band di Cupertino attiva tra il 1993 e il 1994. Intensi, esasperati, con delle accelerazioni improvvise racchiuse in una manciata di secondi: i germogli contorti sono tutti qui.
Non solo California.
Se però pensate che questa sia una storia che inizia nella solita California e rimane lì, vi sbagliate di grosso. Anzi, se dovessimo menzionarvi uno stato da evidenziare sulla mappa, questo non potrebbe che essere la Virginia.
È da lì che vengono infatti i pg.99 e, se volete entrare nel reame dello screamo, non potete non collezionare i document che compongono la loro discografia.
Alienanti, politici, DIY fino al midollo osseo, con un numero spropositato di componenti, una doppia voce e una capacità di evolvere lo screamo dentro architetture malsane e atmosfere claustrofobiche e sperimentali. Una band senza compromessi, come loro stessi scrivono nel booklet di document #8, la loro testimonianza più cristallina:
“This music was largely conducted and invented from within the gooey trenches of our pathetic little hearts, the captured production and documentation of this time for us was assisted by a man named Kurt Ballou, the unbearable arctic shivering of flesh were in fact the most accurate rendering of why punk rock exists to us. We are the people that disagree with you, without us you will never change.”
Da stampare come frontespizio di un vangelo apocrifo dello screamo e totalmente in linea con l’anima più pura del genere, che ha sempre avuto connotati sociali e di protesta.
Non deve dunque sorprendere l’approccio scelto dagli Orchid. La band del Massachusetts, tornata anch’essa in attività, citava Mancuse, la Scuola di Francoforte o quel che volete voi a livello sociologico, per deflagrare in una rapidità esecutiva annichilente: lo screamo sfociava nell’emoviolence più puro.
Schizofrenici, urgenti e immersi in un tumulto emotivo lanciato come un razzo esplosivo dentro dei brani che si fermavano spesso e volentieri sotto i due minuti.
Scegliete un pezzo qualsiasi della discografia, sarete sempre soddisfatti. Noi vi suggeriamo di iniziare dall’album Chaos Is Me. Undici brani in diciannove minuti per scrivere la storia.
Ecco, a proposito di discografia, come terza band iconica del movimento americano non possiamo che essere grati a Jeremy Bolm – cantante dei Touché Amoré – per aver riunito, attraverso la sua Secret Voice, tutte le composizioni dei Saetia in Collected, un LP comprensivo di tutta la produzione della band newyorkese che in questo 2025 ha rilanciato alla grande il suo ritorno avvenuto nel 2022 con tre pezzi inediti, i primi in ventisei anni, nella forma dell’EP Tendrils, aggiungendovi pure un minitour europeo che vedrà una tappa esclusiva in Italia in quel di Carpi.
La formula proposta dai Saetia si differenzia da quella di pg.99 e Orchid, attingendo dall’emo più grezzo e tradizionale. Troviamo forti contrasti introspettivi, con delle melodie delicate e morbide, posate come sfondo malinconico di una sofferta spoken word, per poi catapultarsi dentro gli squarci high pitched che dilaniano ogni malcapitato, con delle strutture nevrotiche sempre sul filo della tensione che si aprono e si chiudono in un millisecondo divorando le due anime della band, l’una con l’altra.
Il vaso di Pandora dello screamo
Il giochino storico pare semplice fino ad ora, non trovate? Abbiamo dei precursori, c’è un trittico che tiene banco, ma la verità è che, se decidessimo di uscire da pg.99, Orchid e Saetia, scoperchieremmo un vaso di Pandora pressoché infinito.
E chi siamo noi per tirarci indietro? Dopotutto, siamo qui per questo.
L’abbiamo intuito: gli americani nello screamo iniziano a mescolarci della tecnica al fulmicotone, un po’ di strutture math e non solo una cruda violenza fuori controllo.
Per esempio, da una costola dei pg.99 nasce il side project dei City of Caterpillar, che elaborano uno screamo denso e labirintico, con delle strutture più ampie e strumentali fatte di build-up monolitici. Nell’omonimo e seminale lavoro uscito nel 2002 i pezzi scollinano anche i nove minuti, e anche nel ritorno discografico su Relapse di vent’anni dopo con Mystic Sisters ritroviamo un esempio concreto del perché certe reunion non siano esattamente fatte a caso.
Una reunion proprio come quella dei Jeromes Dream (di cui abbiamo recensito l’album del 2023 qui), che tra il Connecticut e la California, nei soli quattro anni di attività compresi tra il 1997 e 2001, diventano dei pionieri incorporando sonorità noise e allargando lo spettro delle influenze hardcore con muri di feedback e ritmiche spesso sincopate.
E proprio i Jeromes Dream ci offrono l’indizio per evidenziare un tratto distintivo che ho sempre amato dello screamo: non esiste un’unica soluzione, c’è un fil rouge che lega l’intera dimensione sonora di questa scena musicale, ma anche un’innata capacità di non autoimporsi alcun limite.
Anzi, esso assorbe come una spugna influenze e le rigetta in modo primitivo e precursore, con tante soluzioni poi adottate negli anni più recenti.
Basti pensare all’equilibrio della formula post-rock implementata con furore dalla Bay Area dai Funeral Diner: per chi scrive, i due dischi Difference of Potential e The Underdark rimangono tra i preferiti di sempre nel genere. Una formula maneggiata con i guanti e dosata con una precisione meticolosa.
Osservando la galassia dello screamo americano sembra di assistere a una fottuta distorsione del principio di Lavoisier. Un disordine incontrollabile dove tutto si trasforma in un batter di ciglia. Non si riesce a ristringere un movimento che inizia a spargersi dalla West alla East Coast, passando attraverso degli Stati imprevedibili.
E non stiamo parlando della sola Virginia. Prendiamo il nostro aereo per parlare di una band che abbiamo menzionato in apertura; i The Spirit of Versailles provengono da Sioux Falls, South Dakota, e sono probabilmente una delle migliori band nell’usare le aperture melodiche sepolte sotto un tormento scorticante.
Simili a loro come approccio ci sono gli In Loving Memory da Des Moines, Iowa, mentre un altro gruppo che ci piace ricordare sono i Kodan Armada, ma stavolta sul bus Greyhound leggiamo la scritta Kentucky, e possiamo ascoltare uno degli esempi più puri di screamo senza filtri, con una produzione volutamente sporca e lo-fi per restituire nel suo grado più alto l’energia primordiale del genere, un po’ come quello che fecero i Love Lost But Not Forgotten dal Missouri.
Ad ogni modo, le gemme che hanno rischiato di rimanere sotterrate nel polveroso underground americano sono davvero tante e il lavoro certosino di recupero delle vecchie tape e di incisioni si è rivelato essere fondamentale per creare un quadro più completo di quegli anni.
Di recente La Agonia de Vivir, etichetta DIY spagnola di Madrid, ha ristampato gli Yaphet Kotto e il loro The Killer Was in the Government Blankets del 1999.
La band di Santa Cruz, attiva per quasi un decennio tra il 1996 e il 2005, fa dell’urgenza sociopolitica un
mantra e tra gli innumerevoli cambi di lineup fu anche uno dei primi gruppi ad avere un cantante afroamericano nella scena screamo a stelle e strisce. Le chitarre si intrecciano a suon di riff ispiratissimi e dialogavano come non mai, supportate da un doppio cantato: il primo usurato da corde vocali melodiche che non si spezzavano mai, il secondo con il più ruvido degli urlati.
Insomma, credo si intuisca molto facilmente come in quegli anni frenetici dove la marea screamo aveva più la connotazione di uno tsunami si poteva trovare davvero di tutto per soddisfare palato ed esigenze.
C’è chi indurisce i suoni e dà ancor più spessore heavy allo screamo, come fanno Joshua Fit For a Battle o Usurp Synapse, che sconfinavano nel grind. C’è chi si rivela una creatura evanescente, con bootleg e EP e di cui solo oggi grazie a Deathwish abbiamo una testimonianza più completa, come gli Hassan I Sabbah che, pur durando dall’ottobre 1999 all’agosto del 2000, con una produzioncina di Kurt Ballou di mezzo, creano del materiale sufficiente per indicarli come un must listen dell’emoviolence più trascinante.
C’è chi produce così tanti EP, split, demo che solo con l’antologico Lineage del 2003 riuscirà a restituire lo spessore complessivo della propria caotica produzione, e in questo caso stiamo parlando dei Neil Perry.
C’è chi dalla Florida alleggerisce l’esasperazione per abbracciare cantilene emo catartiche come gli I Hate Myself. E, proprio a supporto del non avere paura ad usare clean vocal poco aggraziate, abbiamo gli you and i, che ricalcano le orme dei Saetia con i loro rallentamenti riflessivi.
Da una marea all’altra: le new entry
La marea arriva così ai primi anni 2000 con gli innumerevoli break-up di tante delle band sopracitate e sorge una necessità: che qualcuno tenesse viva la torcia.
Membri storici della scena vanno a fondare altri gruppi, come gli Hot Cross o i Malady, ma nello nello screamo più dritto per dritto nascono gli Ampere, che tra i membri annoverano il chitarrista degli Orchid, Will Killingsworth, un perno fondamentale per le nuove generazioni grazie al suo studio di produzione Dead Air Studios (fate un esercizio a leggere i mixaggi di tanti dischi attuali del genere e vi accorgerete che spesso il nome che compare è proprio quello di Will).
Da Savannah, Georgia, i Circle Takes the Square compaiono addirittura in uno split insieme ai pg.99, andando poi a produrre una carriera dove lo screamo si fonde dentro lo sludge e certi retaggi tribalistici, per due concept album irrinunciabili come As Roots Undo (2004) e Decompositions (2011). E sono proprio loro a fornirci il termometro della situazione.
Una transizione sonora.
Si sta compiendo una transizione sonora. Lo screamo inizia ad ampliarsi. Sì, ci sono gli archi noir e le composizioni orchestrali degli I Would Set Myself On Fire For You, ma sono soprattutto le ritmiche progressive pirotecniche dei Gospel di The Moon is a Dead World del 2005 a produrre lo spartiacque necessario per darci il là a comprendere che una nuova wave era effettivamente nata.
Se nello stesso anno compaiono band dal nome impronunciabile e enigmatiche come gli iwrotehaikusaboutcannibalisminyouryearbook, di cui solo nel 2010 si riuscirà ad avere un LP complessivo con ventisei tracce senza nome, per una “lunga” jam session screamo vecchia scuola, una delle micce fondamentali di questa nuova torcia made in USA non può che rispondere al nome dei Loma Prieta (qui la nostra recensione sull’ultimo album pubblicato nel 2023).
Nati proprio nel 2005, dopo venti anni esatti è impossibile parlare di screamo senza nominarli. Entrati nel
Sacro Olimpo, sperimentando con i suoni, dalle formule più feroci e nichiliste a quelle più dreamy e raffinate, dal powerviolence allo shoegaze, senza il lavoro instancabile della band di San Francisco ci saremmo persi per strada tanti anni buoni.
E con loro da Boston emergono band come i The Saddest Landscape, che dal 2002 ribaltarono i piani emotivi mettendo l’uso delle melodie in primissimo piano grazie anche ad un cantato estremamente personale e intimo, continuando a dare la linfa necessaria e sancendo di fatto la nascita di una nuova generazione screamo americana che scopriremo nel capitolo successivo.
Anche se forse prima una tappa nel resto del mondo non ce la toglie nessuno, anche per del sano patriottismo italiano, che dite?
***
Ci saremo dimenticati di qualcuno, ne siamo certi, ma forse lo splendore di questo passato è proprio l’atterrarci così, anche dopo decenni, nel modo più casuale possibile. Leggere certi nomi di nuovo attivi nel 2025 fa pensare a una marea nostalgica di cui solitamente sono il primo a diffidare, ma da un paio di anni oramai sulla battigia arrivano solo frutti gustosissimi che si mischiano con le generazioni più nuove, creando una certa fluidità nella scena che proprio non ci dispiace, anzi.
E, finché lo screamo suona così, con la sua incendiaria passione invariata, c’è solo da goderne.
SEGUICI
Web • Facebook • Instagram • Spotify • YouTube • Telegram • TikTok
Ampere Circle Takes the Square City of Caterpillar Emocore Funeral Diner Gospel Hassan I Sabbah Hot Cross I Hate Myself I Would Set Myself On Fire For You In Loving Memory iwrotehaikusaboutcannibalisminyouryearbook Jeromes Dream Joshua Fit For a Battle Kodan Armada la quiete Loma Prieta Love Lost But Not Forgotten Mohinder Neil Perry noise rock Orchid pg. 99 Portraits of Past Post-Hardcore Saetia Screamo The Saddest Landscape The Spirit of Versailles Usurp Synapse Yaphet Kotto you and i
Last modified: 4 Febbraio 2025