Anche questa edizione appena trascorsa ha confermato il Primavera Sound Festival come il punto di incontro fondamentale per gli amanti della musica da oltre 125 paesi. Si stima che gli spettatori di questa diciassettesima, tra i concerti al Parc del Fòrum e le performance collaterali in centro città, siano stati oltre 200 mila. Ai 346 live in cartellone se ne sono aggiunti una ulteriore quindicina, annunciati a sorpresa durante i tre giorni della kermesse. Ma basta ragionare in numeri, che non sono mai lo strumento migliore per dipingere atmosfere.
Provo a dirvelo in lettere, ‘che al Parque da Cidade di Porto è iniziato ieri il NOS Primavera (edizione portoghese del Primavera Sound più intima ma non per questo meno intensa, fino a domani 10 giugno, tutte le info qui), e se alla fine di questa lettura vi verrà voglia di salire sul primo volo disponibile sarete ancora in tempo per farlo.
A di Arrivo
Non c’è stato bisogno di guardare il calendario per sapere che era arrivato mercoledì 31 maggio, giorno ufficiale dell’esodo verso il Forum con l’abbonamento in pugno: è bastato scrollare Instagram e trovarlo invaso di foto di braccialetti. E poi di hashtag #foodporn con le leccornie colorate che si trovano a La Boqueria. E poi ancora di foto di fan con Jamie XX che pranzava proprio là, al mercato più celebre di Barcellona. La cornice del Primavera Sound è l’unica città spagnola la cui atmosfera profuma di Spagna e di Europa in egual misura, la più cosmopolita del Vecchio Continente durante la settimana in cui è invasa dai partecipanti al festival.
B di Backstage Party
I primi a ricevere dei gettoni fluorescenti – ignari di quello a cui sarebbero serviti – sono stati quelli che martedì erano in coda alla Sala Apolo per il live dei Cigarettes After Sex. Nelle settimane che hanno preceduto l’evento, la app ufficiale del festival ha tenuto tutti in tensione sfoderando una sezione dal nome “Unexpected Primavera”, con un grosso punto interrogativo lampeggiante a creare un hype spropositato – e un po’ anche a distrarre gli inconsolabili dopo la notizia dell’assenza di Frank Ocean rilasciata pochissimi giorni prima dell’inizio (per le defezioni consultare la D). L’ansiogena app ha rivelato le sorprese solo a festival inoltrato, una per una, e ha costretto i partecipanti a rivedere i propri piani più di una volta. Una delle trovate che ha creato più scompiglio sono stati loro, i Backstage Parties: performance ad accesso limitato e riservato ai possessori dei suddetti token, su uno stage vista mare alle spalle del Rayban, su cui oltre ad alcuni degli artisti già in line up se ne sono esibiti anche altri inattesi, come gli Algiers. Inutile dire che la febbre per accaparrarsi i gettoni è salita poi vertiginosamente quando si è scoperto che ai parties erano “free drink”.
C di Clubs
Dicevamo della Sala Apolo, presa d’assalto già da martedì sera. In realtà come ogni anno gli eventi che hanno preceduto il festival hanno riempito la città per tutto il mese di maggio con la rassegna Primavera Als Clubs, gli stessi club ai margini del Raval in cui come di consueto la settimana del Primavera Sound si è aperta ed è terminata. Tra l’Apolo e il Barts, mercoledì si sono esibiti Kate Tempest, The Wedding Present e Romare, solo per citarne alcuni, mentre domenica è toccato a Shellac, Sleaford Mods e Japandroids chiudere l’edizione 2017.
D di Defezioni
No, in verità il cuore ce l’ha spezzato solo l’assenza dei Grandaddy. Di Frankino ci siamo dimenticati presto, più o meno quando abbiamo capito che in cambio avremmo avuto una doppia razione di Arcade Fire. Sono stati loro il primo dei tre grandi live Unexpected oltre a quelli dei Backstage Parties, e nel giro di mezz’ora dall’annuncio sulla famigerata app giovedì al tramonto sono saliti su un piccolo stage a 360° allestito per l’occasione, un live che è stato un gustoso anticipo di quello già attesissimo di sabato.
E di Estrogeni
Erano solo le 21 di mercoledì sera e una delle donzelle presenti tra le prime file del pubblico dei Local Natives già twittava al mondo la sua gravidanza presuntamente causata dalla sola presenza scenica di Taylor Rice. Ormoni a parte, i californiani se la sono cavata egregiamente nell’impresa di inaugurare la rassegna, esibendosi sullo stage Primavera con la luce del giorno che in Catalogna persiste fino a sera inoltrata, col lucido Pop Rock dei brani collaudati di Gorilla Manor e dell’ultimo Sunlit Youth.
F di Felicità
“The power of our insignificance is one of our greatest assets”. Le parole con cui Bon Iver intervalla la sua performance sono solo la ciliegina sulla torta di un live che è stato un crescendo emozionale ininterrotto, eletto all’unanimità tra i migliori live di quest’anno. Era difficile immaginare la resa dal vivo di un sound come quello di 22 A Million, ma forse è stato proprio questo che ha reso indimenticabile il sentir vibrare il suo impasto sintetico agrodolce in mille sfumature inaspettate.
G di Gioventù
Sono stati molti i giovani – in senso anagrafico o artistico – che si sono alternati tra Pitchfork e Adidas, da sempre gli stage attenti all’hype. Tra le più degne di nota, la performance di Archy Marshall aka King Krule, 23 anni e un’innata capacità di tenere il palco, col rosso vivo della sua chioma a prodursi in un Dark Punk pungente e volubile con virate Jazz Rap. Molta curiosità anche per i S U R V I V E che in linea col mood di “Stranger Things”, la serie TV di cui hanno curato la colonna sonora e che li ha portati alla ribalta, hanno messo in piedi un live retrofuturistico estremamente magnetico.
H di Hidden
A chi non si fa bastare i sette palchi a disposizione, da un po’ di anni il Primavera Sound ne allestisce un altro, nascosto tra le architetture che conducono dallo stage Rayban al pannellone solare che sovrasta il Pitchfork. Roba di nicchia: piccolo, al chiuso, si entra solo dopo una prova di resistenza che consiste nello stare tre ore di fila sotto al sole. Solo così si ottiene il pass. Tra gli altri, quest’anno l’Heineken Hidden Stage ha visto passare anche Thurston Moore. Insomma, only the brave.
I di Italia
Con una punta di orgoglio campanilistico, sabato pomeriggio ho potuto osservare molti stranieri seguire attentamente il live di Iosonouncane, probabilmente ignari delle pregevoli liriche di Jacopo ma presi benissimo dai ritmi incalzanti del suo Etno Rock indecifrabile. Che gli italiani siano ormai una presenza importante al festival è cosa certa, sotto e sopra ai palchi. Oltre a Incani, tra i due stage Pro si sono succeduti Persian Pelican, Shijo X e Wrongonyou. Ma c’è sempre un po’ di Italia anche dove meno te lo aspetti, come sul mastodontico palco Heineken con Jamie XX che tra i sample del suo set da solista ci ha ficcato anche Tullio De Piscopo.
Iosonouncane @ Adidas Original
L di Ladies
È stata felicemente un’edizione all’insegna delle quote rosa. Mitski ha dribblato le classiche problematiche di acustica del Pitchfork con la veemenza del suo timbro vocale, l’energia di Angel Olsen vestita di bianco e chitarra ha steso tutti i presenti a suon di Folk Rock e sorrisi. Quello di Grace Jones – 69 anni e ancora tutte le carte in regola per presentarsi sul palco coperta solo di body painting tribale – è stato uno show totalizzante. Se le suggestioni mutant disco della giamaicana l’hanno confermata come la diva assoluta del festival, a contendersi lo scettro con lei c’era Solange, la piccola di casa Knowles che sinuosa, irruente e toccante allo stesso tempo ha tradotto perfettamente le urgenze espressive del suo ultimo album in luci, colori e ritmi di scena.
M di Magia
L’Auditori Rockdelux è da sempre una camera di decompressione nelle cui comode poltroncine ci si prende una pausa dalla caciara per godersi l’intimità di episodi particolari. È qui che Stephin Merritt e i suoi Magnetic Fields hanno tirato su uno show in due puntate, tra venerdì e sabato, ciascuna dedicata a venticinque dei brani di 50 Song Memoir. “Autobiografia non necessariamente vuol dire verità”, premette Merritt prima di dare inizio allo spettacolo, e conveniamo con lui che della realtà oggettiva non ci frega affatto se in cambio possiamo avere tutta l’ironia e la pregnanza delle sue favole, narrate con adorabile humor inglese e musicate da strumentisti eccelsi disposti in una specie di teatro per burattini. Indimenticabile.
N di Night Pro
È il nome dello stage su cui gli artisti selezionati dal Primavera Pro bissano la propria esibizione dopo quella al Day Pro del CCCB, nel cuore del Raval e della rassegna collaterale Primavera A La Ciutat. In prossimità della vasta zona su cui si stagliano i due stage più grandi, è un’ottima area in cui rilassarsi e fare belle scoperte, come Astronaut Project, pseudonimo del peruviano Alberto Zegarra, dedito a un Elettro Pop denso e dai toni dark.
O di Ora basta, me ne vado dai Wild Beasts
Una situazione simile a quella verificatasi sabato sera a partire da un paio di ore prima dell’inizio del live degli attesissimi Arcade Fire accadde anche nel 2016, coi Radiohead. Per uno show pirotecnico come quello dei canadesi la corsa al miglior posto era ampiamente presumibile. In questi casi però – tra attesa e durata del live, che solitamente per gli headliner sfiora le due ore – si rischia di trascorrere decisamente troppo tempo incastrati tra la folla in pochi centimetri quadrati, mentre i restanti ettari di Fòrum si riempiono di molti altri suoni. L’alternativa alla trafila di cui sopra sarebbe viversi un festival così come andrebbe vissuto, ossia saltellando di palco in palco e godendosi oltre una dozzina di concerti al giorno. Insomma, vi sto confessando che io dagli Arcade Fire non c’ero. Il tempo che avrei trascorso impalata davanti al Mango l’ho passato con Grace Jones, Seu Jorge, LVL UP, King Krule e infine loro, Hayden Thorpe e soci, tanto per dare il polso della quantità di cose che accadono simultaneamente nel recinto del Primavera. E a dirla tutta eravamo in moltissimi dai Wild Beasts, a goderci i duelli vocali di Thorpe e Tom Fleming su un Art Rock che sul palco si fa ancor più lucido e perturbante.
P di Priorità
Si entra al Forum convinti di averne ma l’approccio giusto si rivela essere quello di chi sa rischedulare rapidamente. Se la resa in versione live di un’artista è tale che ti convince a restare più di quanto avevi previsto, allora relax, dimenticati dei piani. Magari non diresti mai che l’Elettro Pop à la The XX possa nascondere sorprese dal vivo, e invece l’innata presenza scenica di Oliver a roteare intorno al suo basso, la sagoma schiva di Romy alla chitarra e il deus ex machina Jamie in torre di controllo si rivelano una cosa che vale la pena di seguire dall’inizio alla fine, per scoprire che sul palco i tre sanno caricare i brani di elementi propulsivi, confezionare momenti più intimi e soprattutto, cosa più gradevole in assoluto, sprizzare sintonia in ogni gesto. Quelli che vediamo sono ancora tre amici con una passione in comune, i palchi crescono a dismisura ma loro sono ancora là a farsi coraggio abbracciandosi tra un pezzo e l’altro, e quando il pubblico esplode su “Loud Places”, tra le più riuscite delle tracce dell’esordio solista di Jamie come Jamie XX, e i primi a sciogliersi in sorrisi di gioia mentre la suonano sono proprio Romy e Oliver.
Q di Qualità
“Festival della musica alternativa e indipendente” non è una roba tanto per dire. A Barcellona ci tengono ad ospitare una panoramica completa della musica internazionale. All’Auditori puoi trovare l’eclettismo in salsa Bossa Nova di Elza Soares, 80 anni e una discografia che conta 34 album. Il sabato il Rayban stage si è trasformato in una babele di lingue e suoni. Prima con i colori sgargianti e l’esotico groove del progetto Junun – vera e propria fusione di culture fatta musica, a cui partecipano il compositore israeliano Shye Ben Tzur, il collettivo indiano The Rajasthan Express e Jonny Greenwood dei Radiohead. Poi, in tarda serata, accompagnato solo dalla sua chitarra, un altro poliedrico brasiliano, Seu Jorge, a deliziare il pubblico con la grazia dei brani scritti da David Bowie per “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” di Wes Anderson da lui rielaborati in portoghese e samba, nel quadro di un’affascinante visione della musica popolare della propria terra.
R di R’n’B
Presenza massiccia, e non avrebbe potuto essere diversamente per un festival attento alle tendenze come il Primavera Sound dopo un anno in cui in molti hanno inoculato nuova linfa vitale al genere, con ingredienti Funk e neo Soul, innesti Hip Hop e contaminazioni elettroniche. Oltre a Solange, i palchi del Fòrum hanno visto alternarsi Sampha (noi si sperava di vederlo fare una comparsata anche dalla Knowles ma niente) e un Miguel, estremamente coinvolgente. Aridaje con Frank Ocean. No, lui no. Era a casa con la PlayStation.
S di Scozia
Giovedì, ora di cena, ai piedi dello stage Primavera sventola la Croce di Sant’Andrea su fondo blu perchè è il momento dei Teenage Fanclub, che in quanto a energia sembra proprio che non abbiano nulla da invidiare ai colleghi più giovani. Nel frattempo a Glasgow i concittadini Mogwai si apprestano ad arrivare a sorpresa a Barcellona, anche loro tra gli “unexpected”. Lo sapremo solo venerdì sera, quando per un’oretta ruberanno all’elettronica il Bacardi stage dell’area Bits, per un live in cui presenteranno in anteprima il nuovo album. Che uscirà solo a settembre. Sì, succede solo al Primavera Sound.
T di “Tieni duro”
Come ogni anno è il mantra giusto da tirare fuori ogni qualvolta crederete che le forze vi stiano per abbandonare, indispensabile dalle ore 2 a.m. in poi, quando i palchi si colorano dei lisergici visual di Flying Lotus o quando c’è da resistere quasi un paio d’ore pressati tra la folla al cospetto di Aphex Twin senza drogarsi (?), fino all’ultimo giorno, mentre i !!! ti costringono a sculettare nonostante siano già le 4 e la prima cosa a fare “chk chk chk” sono le tue ginocchia.
U di Unexpected fino alla fine
Dopo Arcade Fire e Mogwai, sono state le Haim l’ultima sorpresona. Dopo un post su Instagram sabato pomeriggio in cui Este si gustava un gelato ai piedi della Sagrada Familia, alle 2 di notte i maxischermi del Rayban hanno annunciato che nel giro di un’ora sul palco sarebbero salite proprio loro. L’Indie Rock delle tre vulcaniche sorelle è stata una vera e propria iniezione di adrenalina che ci ha tenuti in piedi per molto altro tempo.
V di Vecchio e nuovo Rock
La musica del momento passa tutta da qui: i Cymbals Eat Guitars col carismatico Joseph D’Agostino a catalizzare l’attenzione, il Fuzz in chiave Lo Fi dei LVL UP, la leggiadria del Folk psichedelico di Weyes Blood. Ma un calore particolare lo si riserva sempre a quei veterani in grado di rigenerarsi, come al clan dei Broken Social Scene, che si prepara a tornare con un nuovo album il mese prossimo, e sul palco fa scintille che alcuni giovanissimi probabilmente non saranno mai in grado di fare.
Z di Zippo
Quello con cui Mac DeMarco si è dato fuoco ai peli delle ascelle, in piedi su un amplificatore, in mutande e con le chiappe a favore di telecamere. Quasi nulla in confronto al suo batterista, che con disinvoltura ha affrontato tutto il set coperto solo dalle sue pelli – in tutti i sensi. Quello di Mac sullo stage Mango, tornato a Barcellona dopo due anni, è stato uno show tra i più seguiti, tutto giocato sul dualismo del suo personaggio, che alterna la nostalgia da menestrello all’irriverenza demenziale da giullare di corte.
Già note le date per il 2018, dal 31 maggio al 2 giugno. Pronti per gli early birds? O siete già sull’aereo per il Portogallo?
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Last modified: 22 Febbraio 2019