IV. PHIL SPECTOR E LA CREAZIONE DEL “WALL OF SOUND”
“I was the first person that took the words A&R and called it producer. I do everything. I produce this work. I was concerned with art”.
Phil Spector costituisce senz’ombra di dubbio uno dei più influenti record producer che la storia ricordi; la sua immensa discografia annovera, soltanto nel quinquennio 1960 – 1965, più di 20 singoli Top 40; secondo le stime della BMI You’ve Lost That Lovin’ Feelin’, prodotta da Spector per i Righteous Brothers nell’anno 1965, costituisce il brano più riprodotto del XX secolo negli Stati Uniti d’America, con più di 7 milioni di performance. Un misto di genio e sregolatezza, un precoce e brillante visionario che ha marchiato in maniera indelebile il mondo della musica Pop. Jerry Wexler (1917 – 2008), uno dei padri fondatori dell’Atlantic Records, afferma che, precedentemente a Spector, esistevano essenzialmente due distinte tipologie di record producer. La prima include i cosiddetti “documentaristi”: Wexler adduce come classico esempio della categoria Leonard Chess (1917 – 1969) che, sul finire degli anni 50, portò alla ribalta il primitivo Blues urbano del cantautore e chitarrista statunitense Muddy Waters (1915 – 1983), trapiantandolo dagli squallidi bassifondi di Chicago agli studi di registrazione della sua Compagnia, dove veniva incisa la naturale performance del musicista con un approccio oserei dire “naturalistico”, che evitasse qualsiasi tipologia di intervento tecnico/artistico da parte del produttore. La seconda categoria invece, nella quale Wexler include anche se stesso, annovera al suo interno i cosiddetti “servi del progetto”, le cui mansioni ricalcavano strettamente quelle del classico A&R Director: selezione del materiale, scelta dell’arrangiamento, reclutamento/retribuzione dei musicisti, prenotazione dei recording studio, ecc… Tuttavia, l’ingresso di Spector nel panorama mondiale del music business ha immediatamente generato una terza categoria di produttori discografici, fino a quel momento totalmente sconosciuta: “the producer as a star, as artist, as unifying force… Rather than develop his artists’ careers, Phil developed himself; rather than serve the artist, the artist served Phil”. “I wanted to be in the background, but I wanted to be important in the background. I want to be the focal point… I knew that Mozart was more important than his operas. That Beethoven was more important than his music, or whoever was playing it… Those names were bigger than the music. That’s what I wanted to be”.
Per realizzare la poderosa e complessa muraglia del Wall Of Sound, sul finire del 1962 Phil Spector reclutò al suo servizio una vera e propria Rock and Roll orchestra ( la cosiddetta Wrecking Crew), composta da otto chitarristi (Billy Strange, Glen Campbell, Irv Rubin, Bill Pittman, Dennis Budimir, Al Casey, Tommy Tedesco e Barney Kessel ), tre batteristi (Earl Palmer, Richie Frost ed il leggendario Hal Blaine), cinque tastieristi (Don Randi, Leon Russell, Larry Knechtel, Mike Rubini e Al Delory), sette ottoni (Steve Douglas, Jay Migliori, Ollie Mitchell, Dave Wells, Lou Blackburn, Nino Tempo e Roy Caton), quattro bassisti (Jimmy Bond, Ray Pohlman, Carol Kaye e Wallick Dean) e cinque percussionisti (Frank Kapp, Julius Wechter, Gene Estes, Victor Feldman e Sonny Bono). “I imagined a sound so strong that if the material was not the greatest, the sound would carry the record. It was a case of augmenting. It all fitted like a jigsaw”. Larry Levine, il sound engineer del Gold Star Studio, ricorda nelle sue memorie: “The standard approach to producing was to begin with the nucleus of the rhythm section – drum and bass – establishing a firm rhythmic foundation around which the other instruments would be built. But for Phil Spector the first building block was always the guitars – three, four of sometimes more – playing the same eighth chords over and over again to create an insistent wash of sound… Start with the guitars, then blend everything into the guitars; that was the basis of the whole rhythm section, the guitars. Phil was unique in that”. Le chitarre, dunque, eseguendo parti orchestrate all’unisono, contribuivano alla creazione di una muraglia sonora travolgente e complessa, sapientemente sostenuta da un suono di batteria definito e tagliente; Spector, infatti, rivelava un’ossessione quasi maniacale per il perfetto drum sound. Molto spesso, giungendo in studio prima degli altri, trascorreva interi pomeriggi nella recording room del Gold Star modificando il timbro della grancassa attraverso l’inserimento di coperte, pezzi di legno e pietre all’interno di essa, una sorta di rituale che, secondo i membri del suo staff tecnico, Spector avrebbe costantemente ripetuto attraverso gli anni, “as if searching for some perfect timbre that would remain forever just out of reach”. Infine venivano aggiunte le percussioni, che consistevano essenzialmente in tamburelli, cowbells, maracas, chimes, campane, shakers e nacchere; ricorda a tal proposito il leggendario batterista della Wrecking Crew Hal Blaine: “A Phil Spector session was a party session. Phil would have a notice on the door of the studio, ‘Closed Session’, and anyone who stuck their head in, he’d grab them and give a tambourine or a cowbell. There’d sometimes be more percussionists than orchestra. I used to call it the Phil – harmonic. It was an absolute ball”. Spector stabilì il suo quartier generale presso il Gold Star Studio, una delle strutture più modeste nell’intera area metropolitana di Los Angeles: “Gold Star was far from being the most sophisticated studio in Los Angeles – most regarded it as dump. But for Spector it provided an environment where he was totally at ease, totally in command. He became the studio’s most ubiquitous client and would wrangle with Stan Ross to have it available whenever he required “. Confrontato con gli standard dell’epoca, lo Studio A del Gold Star risultava estremamente ristretto – circa 25 x 35 piedi – nonché dotato di un soffitto particolarmente basso; tuttavia le sue dimensioni peculiari giocarono un ruolo di fondamentale importanza nel rivoluzionario Wall Of Sound di Phil Spector, conferendo alle sue produzioni, attraverso la naturale riverberazione delle echo chamber, un sound ricco, complesso, e dotato di una profondità spaziale raramente percepita nell’ascolto di una registrazione monofonica. “Gold Star had only a one – track monaural recorder, and a two – track recorder. The instrumental track would be recorded on the monoaural recorder, and then trasferred onto one track of the two – track machine. The vocals would be recorded on the second, free track”. Terminata la fase di recording, Spector si immergeva con zelo quasi maniacale nel mixaggio finale delle due tracce; una volta raggiunto il bilanciamento perfetto tra linee vocali e sezione strumentale, il risultato ottenuto veniva definitivamente riversato sull’unica traccia del registratore monoaurale (essendo fermamente convinto che la stereofonia sottraesse il controllo al produttore in favore dell’ascoltatore).
A partire dal 1962 – anno della primissima collaborazione con la Wrecking Crew – la tecnica del Wall of Sound costituisce indubbiamente il fulcro primario dell’immensa produzione spectoriana. Tuttavia, la critica musicale é unanimemente concorde nel ritenere che alcune registrazioni in particolare abbiano epitomizzato il suo evidente utilizzo:
1) “Be My Baby” (The Ronettes): brano composto da Jeff Barry e Ellie Greenwich, che avrebbe catapultato la compagine di New York nell’olimpo delle classifiche americane (1963). Spector, determinato a realizzare la sua più grande produzione di sempre, ammassò presso il Gold Star un’enorme quantità di musicisti: battaglioni di pianoforti, chitarre, ottoni, sezioni di archi ed un intero coro di backing singer, inserendo, all’interno della vibrante linea melodica, tutti i classici elementi del Wall Of Sound: un ritmo sinuoso che ammicca al baion, un’articolata sezione percussiva costituita da shakers, tamburelli e nacchere, una partitura di archi languida e sognante, il tutto coronato dai magistrali fills del leggendario batterista Hal Blaine. Phil Spector aveva nuovamente centrato il suo obbiettivo: secondo il parere di Brian Wilson ( Beach Boys ), Be My Baby costituisce senz’ombra di dubbio una delle più grandi registrazioni Pop che la storia ricordi, la quintessenza stessa della produzione discografica di Phil Spector
2) “Let It Be” (The Beatles): Nel gennaio del 1970 Allen Klein, il manager della compagine britannica, persuase Phil Spector a riprendere i nastri inutilizzati dell’abortito LP Get Back, affinché potessero essere finalmente pubblicati come un nuovo album. “It was a near impossible job, the tapes were that bad”, ricorda Dan Kessel – musicista ed amico intimo di Spector. “Phil had to do lots of edits, listen to take after take, and find the one good verse from one take and the one good chorus from another, and then make copies to piece it together. He was doing extensive surgery, just to get the skeleton of the song, even before it came to overdubbing strings or whatever else he was putting on there”. Tuttavia, l’arrivo dell’illustre produttore statunitense acuì maggiormente le profonde divisioni che da tempo serpeggiavano nei Beatles. Infatti, Nonostante Lennon, Harrison – entrambi grandi fan di Spector – e Ringo fossero palesemente entusiasti dell’ennesima soluzione proposta da Klein, McCartney mostrò fin da subito la sua ferma opposizione al progetto. Tuttavia, trovandosi in una posizione di netta minoranza, Paul fu costretto ad accogliere con somma riluttanza la volontà espressa dagli altri membri della band. Lennon aveva già inciso due singoli, “Give Peace A Chance e Cold Turkey”, con la collaborazione della Plastic Ono Band. Nel mese di gennaio, colpito da ispirazione improvvisa, John organizzò in tutta fretta una recording session presso gli Abbey Road Studios di Londra per incidere una nuova composizione, “Instant Karma ( We All Shine On )”, reclutando George Harrison alla chitarra, Klaus Voormann al basso, Alan White alla batteria e Phil Spector dietro la console. Paul McCartney e Ringo Starr, invece, erano all’oscuro di tutto. “When you analyze what Phil did, it was just amazing”, ricorda Klaus Voormann. “He took away all the baffles between the instruments, because he wanted the sound of each to meld into the other. And he was very particular about where he positioned the acoustic guitars, sitting them right in front of the drums so he got this live drum sound from the room sound. He somehow managed to get the sound so it sounded like glass on top. And then he would have a completely ‘dry’ bass drum, and a completely ‘dry’ bass and a completely ‘dry’ voice, against the whole thing. It sounded just incredible”. Il produttore, in fase di mixaggio, conferì alla batteria di Alan White una posizione di estremo rilievo, plasmando un groove propulsivo ed insistente attraverso l’inserimento di handclap e percussioni, mentre la linea vocale di Lennon, sostenuta nei ritornelli da un vero e proprio ensemble di coristi, acquisì un’asprezza mai percepita in una precedente registrazione dei Beatles.
Spector inserì una sezione di archi nel brano “I Me Mine”, ed in “Let It Be” un ensemble di ottoni; tuttavia, ironia della sorte, il più radicale intervento spettò proprio ad una song di Paul McCartney, “The Long And Winding Road”. Il produttore decise di abbellire la malinconica ballata mediante una massiccia integrazione di archi e coristi, stravolgendo così l’intento primario del compositore. Infatti, quando McCartney ascoltò la nuova versione del brano andò su tutte le furie, pretendendo che le cospicue revisioni introdotte da Spector fossero immediatamente rimosse; tuttavia le insistenti richieste del bassista caddero miseramente nel vuoto ed Allan Klein rilasciò “The Long And Winding Road” come singolo. Secondo quanto riferisce il publicist dei Beatles Derek Taylor, sembra che Paul McCartney abbia affermato, parlando della sua song: “The shittiest thing anyone had ever done to him, and that was saying something”. E fu così che, nel maggio del 1970 – un mese prima della pubblicazione ufficiale dell’album, ora intitolato Let It Be – Paul McCartney annunciò formalmente il suo definitivo allontanamento dalla compagine di Liverpool. Nel gennaio dell’anno successivo il bassista avrebbe intrapreso un’azione legale contro i Beatles ed il manager Allan Klein, citando in tribunale la versione rivisitata di “The Long And Winding Road” proprio come “an example of Klein’s intolerable interference and one of his reasons for seeking the dissolution of the group”.
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Last modified: 20 Febbraio 2019