Luca Loizzi

Written by Interviste

Luca Loizzi al suo esordio discografico ci parla dell’amore per la Puglia e l’importanza di Milano sognando De Andrè…

Molti i generi toccati da questo disco di debutto… come riesci a farli convivere e a chi ti sei ispirato maggiormente?

Se dovessi stabilire una gerarchia di preferenze mi risulterebbe davvero difficile. Credo si possa cogliere in quello che amo definire il “meltin pot” musicale che caratterizza l’album, l’influenza o almeno l’eco dei cantautori con cui sono cresciuto, una sorta di famiglia immaginaria cui ho fatto sempre riferimento: De Gregori, De Andrè, Ciampi, Gaber, Dalla, Brel, Brassens. Può sembrare banale ripetere sempre gli stessi nomi, ma in realtà ogni volta che li si ascolta, vi si scopre una prospettiva nuova  anche solo per la diversa predisposizione psicologica personale che si ha in un determinato momento della propria vita. Poi lo splendido lavoro del produttore Beppe Massara e del maestro arrangiatore Nico Acquaviva ha permesso che mondi e influenze musicali tanto differenti nei miei brani, convivessero armonicamente in una grande “sinfonia” di suoni.

Chi erano i tuoi idoli di gioventù invece?

L’adolescenza è età particolare: si costruisce il proprio io principalmente edificando un catalogo di negazioni e cioè  marcando le “distanze dall’altro”, rendendo così più facile l’identificazione esterna di sé stessi. Ecco quindi che “si preferiva” la musica straniera a priori, determinandone comunque la superiorità su quella italiana la cui conoscenza risultava comunque obiettivamente scarsa. Parlo al plurale perché mi piace ricordare quel fanatico gruppo di 17enni di cui facevo parte, che collezionava solo dischi e bootleg costosissimi dei propri idoli: Beatles, Doors, Pink Floyd, Led Zeppelin, Nirvana, etc. Poi si cresce e si comprende con piacere che “non è solo rock quello che luccica”, ma che esistono forme del narrare musicale diverse e ugualmente fascinose come quelle del jazz, della classica o del cantautorato italiano e francese.

Qual è e quanto è forte il tuo legame con la regione Puglia? E quanto quello con Milano?

La Puglia è per me terra di riscoperta seppure mi abbia dato i natali paradossalmente ho dovuto allontanarmici per risentirne il richiamo e riscoprirne lo splendore. Ci sono paesaggi spettacolari come quelli murgiani che cambiano continuamente nel corso della giornata a seconda della luce, e c’è il calore della gente che risulta davvero unico! Milano ugualmente fa parte della mia storia, con i suoi ritmi assurdi e i suoi grigi cieli quotidiani: ma è una città che mi ha regalato un impareggiabile bagaglio di ricordi e anche solo per questo le sarò eternamente grato!

Il tuo disco presenta degli arrangiamenti molto curati… è difficile riproporli dal vivo?

Gli arrangiamenti sono il frutto del lungo e appassionato lavoro di Beppe Massara e Nico Acquaviva: l’idea era quella di adottare vesti diverse ed appropriate ai vari brani dell’album senza porsi limiti o dogmi musicali. Ecco quindi spuntare il banjo di Adriano Sofo su “Quando meno te lo aspetti” o la fisarmonica di Carmine Calia  su “Pillole” o la tromba di Giuliano di Cesare su “Tutti Quelli”. È ovvio che dal vivo sarebbe necessario avere una band di 20 elementi per riprodurre il disco nei suoi particolari e nelle sue sfumature: allora abbiamo scelto una formazione essenziale di cinque musicisti che possa comunque rendere al meglio la vitalità e l’energia dell’album.

Di cosa trattano i tuoi testi? Ci sono anche riferimenti letterari?

Di solito quando scrivo parto da un’idea, una parola o una coppia di frasi che sembrano suonare bene ed avere un senso. La maggior parte delle volte lo spunto è autobiografico: il grande scrittore Joseph Conrad si chiedeva:«Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando? ». In effetti quella che comunemente e arbitrariamente definiamo per comodità “ispirazione” è solo il frutto della lunga sedimentazione che il nostro cervello costruisce in base agli stimoli che riceve ed accumula. Chi scrive, poeta, scrittore o musicista che sia, non fa altro che raccogliere ciò che consciamente o inconsciamente ha già fatto suo. Allora lo spunto autobiografico si accompagna a riflessioni più ampie che riguardano la società o il microcosmo di cui fa parte e di lì nasce qualcosa che altri chiamano “canzoni”. Nel disco ho inserito un brano cui sono molto legato, “Il pazzo”, ed è dedicato al grande poeta Antonin Artaud costretto alla rieducazione con l’elettro schok solo perché intellettuale scomodo ai più e voce dissidente in una società capitalistico – borghese che andava ponendo le basi per il “pensiero unico” con cui oggi purtroppo dobbiamo fare i conti tutti i giorni.

Cosa ne pensi della scena indie italiana?

Sicuramente meriterebbe molta più attenzione da parte dei mass media che sprecano tempo promuovendo la mediocrità dei divi “usa e getta” figli dei talent show: carne da macello esposta su banconi sempre più grandi! Invece il panorama italiano non ha nulla da invidiare a quello europeo: penso ai giovani come Dente o Brunori Sas, Camillo Pace o Patrizia Laquidara. Credo che ormai il pubblico televisivo e radiofonico abbia il diritto di conoscere cos’altro propone la musica italiana e non solo quel poco che viene prodotto “in scatola” dalle major e poi propinato come primo e unico piatto del giorno!

Cosa prevedi per il tuo 2013 musicale?

Il 2012 è stato un anno ricco di sorprese e “soddisfazioni”: le bellissime recensioni della critica, un pubblico sempre più numeroso e affettuoso e ultima in ordine cronologico l’essere stati selezionati dal Premio Tenco per la data del “Tenco ascolta” svoltasi il 2 dicembre a Bari. Il 2013? Bè che dire: “Ad maiora”!

 

Last modified: 19 Dicembre 2012

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