Il ritorno della formazione emiliana tra musiche da sala da ballo, filastrocche anarchiche e pagine irrisolte di storia italiana.
[ 24.01.2020 | Trovarobato / Santeria | “musica componibile” ]
Otto anni di silenzio sono tanti, fin troppi per la virtuosa e geniale orchestra dei Mariposa. La band emiliana sin dagli esordi ha stupito il pubblico per la fantasiosa commistione di folk, folclore e musica d’autore (da loro stessi definita “musica componibile”), imbarcando negli anni tra le proprie file musicisti del calibro di Enrico Gabrielli (Calibro 35, The Winstons) e Valerio Canè (400 Colpi).
Dopo l’abbandono del membro fondatore Alessandro Fiori e gli ingressi in pianta stabile di Daniele Calandra e Serena Altavilla, ad oggi i Mariposa possono contare su una formazione di ben 8 elementi, avendo avuto a disposizione per questo dodicesimo album i più svariati strumenti quali chitarre, bassi, batteria acustica ed elettronica, fiati, piano elettrico, sintetizzatori e orvietronics.
Riprendere il discorso a distanza di circa dieci anni dall’ultimo lavoro di inediti non è cosa facile, soprattutto all’interno di un contesto nazionale completamente stravolto e quasi irriconoscibile. I Mariposa decidono quindi di ripartire dalle loro radici, riprendendo il liscio romagnolo, nelle sue forme più tradizionali di valzer, polka e mazurca (già sperimentate nel primo disco), e componendolo con sonorità ora più latino-americane (Pura Vida, Dittatura!), ora più classiche (Golpe Galop). Il prosieguo ideale lo confermano gli skit a nome Niente, brevi parentesi strumentali che comparivano anche nei primi lavori Portobello Illusioni e Domino Dorelli.
Liscio Gelli si configura come una visione distopica, una realtà spettrale fatta di balere, operazioni politiche eversive e il morboso desiderio italiano dell’uomo forte al potere. Una cassettiera musicale nei cui tiretti ritroviamo pagine irrisolte di storia italiana, musiche da sala da ballo e filastrocche anarchiche (Let’s Go Party).
Nel substrato sonoro sui generis rileviamo anche allusioni politiche, che allungano la propria ombra in tutti i dodici brani del disco. L’intera opera è dedicata alla memoria di Daevid Allen, padrino del progressive rock e fondatore di Soft Machine e Gong, che aveva collaborato con i Mariposa nel 2009 all’omonimo album e la cui lezione psichedelica è ancora viva nell’approccio del complesso emiliano.
Gridiamo con vera fede: son tornati i Mariposa!
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Last modified: 11 Febbraio 2020