MGMT – Loss of Life

Written by Recensioni

Il nuovo album è una soluzione ‘folk’ tanto tradizionale quanto inedita per la band newyorkese.
[ 23.02.2024 | Mom + Pop | indie rock, psych pop, britpop ]

Uscire fuori dalla giovinezza può far male. La maggior parte delle volte è come essere cacciati da un party dove imperavano sintetizzatori e casse dritte che sembravano potessero continuare per sempre, sotto gli scintillii della mirror ball. La vita adulta sul più bello interrompe la festa e ci butta all’esterno, dove ci aspetta la più cruda delle realtà con cui, volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti, adattando le abitudini, la quotidianità, il nostro modo di amare, le maniere e, nel caso delle band, il sound. Più che un’imposizione dettata dallo scorrere del tempo molto spesso è un processo spontaneo, traducibile con una e una sola parola: crescita.

È quello che accade anche agli MGMT, che con Loss of Life approdano definitivamente a un sound più intimo e maturo, in cui i sintetizzatori danzerecci e iconici dei dischi precedenti sembrano essere ormai un’esperienza del passato che la band ha sapientemente interiorizzato per farne un uso pesato ed integrato con la chitarra. In Loss of Life infatti ci confrontiamo con un songwriting più classico, che punta tutto sull’intreccio fra chitarre rigorosamente acustiche e voce, una soluzione ‘folk’ tanto tradizionale quanto inedita per la band newyorkese, da sempre affezionata alle tastiere e all’elettronica come principale leitmotiv melodico nel proprio lavoro. Il prodotto finale è un pop psichedelico decisamente più acustico rispetto a quello ascoltato in 11.11.11 e Little Dark Age, due dischi in cui la band, nel tradurre la propria emotività allucinata in musica, non avrebbe potuto prescindere da un utilizzo massiccio, quasi ossessivo, dei sintetizzatori.

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Se da una parte della bilancia abbiamo forse lo strumento che più ha contribuito a plasmare l’iconicità di un’intera discografia, dall’altra c’è qualcosa che pesa decisamente di più, la stessa cosa che superati i trenta ci trattiene a casa sul divano, scongiurando qualsiasi scenario che ci veda fare le 6 di mattina sulla pista da ballo: l’età adulta. È normale che col passare del tempo ciò che ci entusiasmava a vent’anni non ci affascini più allo stesso modo. Se per alcuni può essere un pensiero scontato, è curioso notare quanto questo sfugga alla maggior parte dei redattori musicali, soprattutto ai più nostalgici, che si lamentano di quanto il sound di una band non sia più quello di dieci o vent’anni prima.

Noi invece dovremmo imparare a tenerlo presente, per capire cosa abbia spinto VanWyngarde e Goldwasser, ormai quarantenni, a scrivere nel 2024 pezzi come Mother Nature, Bubblegum Dog e I Wish I Was Joking, suggerendoci quanto fra le loro attività più frequenti negli ultimi due anni ci sia stato certamente un ascolto maturo e appassionato di gruppi come i Flaming Lips e i Brian Jonestown Massacre. Come archetipo da prendere in considerazione per valutare il sound degli MGMT nel 2024 potremmo prendere infatti proprio la band di Anton Newcombe che, di disco in disco, si è decisamente “asciugata” dal punto di vista sonoro, senza tuttavia ottenere risultati aridi. L’elettronica, un tempo in primo piano, fa un passo indietro in Loss of Life, integrandosi in un amalgama basso-chitarra-batteria dalla psichedelia decisamente più matura e asciutta. C’è disciplina, c’è un rigore dove ogni elemento assume un ruolo pesato senza soverchiare ciò che ha accanto a sé.

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Curioso notare quanto questo processo sonoro abbia coinvolto anche il songwriting, tanto da renderlo più classico. In ballads come People in The Street, Nothing to Declare e Nothing Changes questo processo è così evidente da riportarci indietro a colossi della tradizione cantautoriale americana come Springsteen, Ryan Adams, Tom Petty e Neil Young, autori antecedenti di molto alla band di newyorkese e appartenenti a una scena decisamente diversa.

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Questo andazzo si palesa subito in una perla data in pasto, inaspettatamente, all’inizio della tracklist, suggerendoci già la direzione che il disco sta imboccando musicalmente. In Dancing in Babylon, brano che contiene un featuring con Christine and the Queens, si viene catapultati in una dimensione totalmente inesplorata per la band, uno spazio che, a volerlo descrivere visivamente, assomiglia senz’ombra di dubbio a quelle palestre liceali improvvisate sale da ballo, dove ogni angolo trasuda di un tenero romanticismo giovanile e l’amore sboccia ancora una volta, timido e acerbo, sotto i riflessi della mirror ball.

Fatta leva su qualcosa di così iconico per il nostro immaginario, gli MGMT si guadagnano tutta la nostra attenzione. Ogni minuto trasuda anni 80, vistose acconciature cotonate e sgargianti completi in paillettes. L’evocazione si fa così nitida da riportare indietro negli anni il pubblico più anziano e da indurre nostalgia di tempi storici mai vissuti in quello più giovane. Nessuna differenza generazionale può dividerci quando tutti quanti, senza distinzioni, ci siamo ritrovati ad essere cacciati dal party della gioventù per essere sbattuti ferocemente all’esterno, dove ci aspetta la vita degli adulti.

Qui la frenesia di quelle stesse persone, a cui un tempo non facevamo troppo caso, ora sembra smuoverci qualcosa dentro. Hanno qualche anno in più di noi sulle spalle e corrono per strada con lo stesso portamento alienato di un dopo-sbornia, indossando lo sguardo deluso di chi è stato interrotto sul più bello. Darebbero qualsiasi cosa per tornare indietro e godersela ancora una volta, quella festa da cui sono stati cacciati, ma all’orizzonte li aspetta un tempo sempre più tiranno e un passatismo che li costringe a guardarsi sempre più indietro che in avanti.

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Le parole di People in the Street non potrebbero rendere meglio il concetto. Dovremmo unirci anche noi a tutta questa gente e, nonostante la nostra paura, sappiamo che non potremo rimanere in disparte molto a lungo, accampando la solita scusa del non essere pronti a crescere. A darci una spintarella ci pensano le parole e gli acidi sintetizzatori che, a sorpresa, chiudono il disco con la title track Loss of Life.

Potremmo salpare e viaggiare fino ai confini del mondo accumulando tutto il sapere possibile, ma non saremo mai pronti ad affrontare gli anni che scorrono via, lasciandoci addosso la sensazione di perdere pezzi di vita lungo la strada. Per calmare tutto il rumore nella testa e scendere a patti con la paura che fa capolino quando il nostro colore sembra sbiadire non ci resta che la consapevolezza di non essere soli in questo smarrimento collettivo e stringerci assieme. Impariamo ad amarci davvero, in ciò che siamo stati e saremo, in modo sconfinato.

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Last modified: 10 Aprile 2024