Dopo l’omonimo debut, i Miriam Mellerin (Diego Ruschena (voce, basso), Daniele Serani (chitarre) e Andrea Ghelli (sostituito a fine 2011 da Pietro Borsò, batteria)) ci regalano un’ intervista da non perdere. Amanti del Post, Rock o Punk che sia, amanti del rumore, amanti della musica e delle chitarre ghignanti, questo è quanto la Tarantola ha da raccontarci!
Per prima cosa, come state?
Non male, grazie. Leggermente incazzati con il mondo ma speranzosi nel futuro.
“La gente che non viene mai intervistata è quella che dice le cose più interessanti” (D. Gilmour). Bella sfida dunque. Partiamo col botto. Qualcuno vi sta rubando la scena!!! Chi è il più sopravvalutato nell’indie italico (parliamo d’indie; evitiamo di citare i soliti “Amici”, “Ex Amici” “Amici degli Amici”, Vasco, Liga, Pelù, ecc…)?
Daniele: Vuoi dei nomi? Ahahah! Di sopravvalutati ce ne sono un sacco, sono tutti quelli che non hanno nulla da dire, da urlare. Sono quelli che smuovono le masse con i vestiti invece che con le idee, che si fanno le foto con instagram! Comunque parliamone…non è colpa dei gruppi ma della scena, se la gente giudicasse con le orecchie, sicuramente i gruppi che meritano avrebbero più spazio.
Quanto è stato difficile l’omonimo esordio? E quali sono stati i principali problemi affrontati?
Diego: Questo disco è il riassunto di circa due anni di creazioni che non sono nate per formare un album. La vera difficoltà è stata nello scoprirsi, nel trovare quel filo rosso che lega tutti i nostri brani e nel costruirci l’identità, il sound, che meglio ci potesse rappresentare. Per Daniele e per me è stata anche la prima vera esperienza in studio: là il problema principale è stato quello di riuscire a immortalare le canzoni nel modo migliore possibile, esattamente come scattare una foto.
Quali sono le vostre principali influenze musicali, oltre a Marlene Kuntz, Jesus Lizard o Teatro degli Orrori? Chi pensate vi somigli nel panorama musicale mondiale sia a livello artistico sia nel modo di vedere il mondo?
Daniele: Oltre agli artisti nominati da te i Fugazi, soprattutto nel modo di vedere il mondo.
Diego: Per noi è fondamentale avere il controllo di tutto ciò che esce sotto il nome Miriam Mellerin, e il DIY è l’unico modo per farlo. Al nostro livello e con la nostra poca esperienza non possiamo permetterci collaboratori che interpretino il nostro mood alla perfezione, quindi ci troviamo impegnati quasi sempre in prima persona a realizzare grafiche, curare gli arrangiamenti, pensare alla promozione. Quindi sicuramente Fugazi, Shellac, Big Black e così via.
L’ultimo disco che avete ascoltato? E il vostro preferito?
Daniele: “Songs about fucking” (riascoltato mentre attendevo lo scorrere della lunga, lunghissima fila all’INPS). Non ho un disco preferito o meglio ne ho troppi.
Diego: “Gol Uruguayo”, dei Falta y Resto. Tra i miei preferiti c’è “Dell’Impero delle Tenebre”.
Pietro: Il mio preferito probabilmente è “Né al denaro né all’amore né al cielo”. Solo Faber sa come criticare ogni aspetto della vita umana con eleganza e arrangiamenti raffinatissimi, un genio.
Come nascono le vostre canzoni? Avete una musa?
Diego: Non c’è una regola. Non utilizziamo assolutamente strutture o formule standard, che probabilmente ci farebbero assomigliare molto di più ai Baustelle. Di muse ce ne sono state diverse. A volte tutto nasce da un episodio strumentale che rievoca delle esperienze vissute, a volte è l’esatto contrario.
Che cosa significa suonare oggi generi quali il Post-Punk, il Post-Rock o il Noise? Musica di nicchia e ormai difficile da reinventare. Che ruolo pensate di avere nel calderone dell’emergente alternative rock italiano attuale?
Diego: I generi, o “sonorità” come preferiamo chiamarli, si saturano nell’arco di qualche anno, magari vengono riscoperti e reinventati dopo generazioni. I contenuti no, sono in continuo mutamento e sono lo specchio della società. Un vero comunicatore non può isolarsi dal mondo i cui vive, deve correre insieme ad esso – quante volte gli artisti hanno saputo correre più velocemente del loro mondo! – per essere sempre vivo ed attuale. Noi vogliamo che anche la nostra musica corra. Ci piace plasmare le sonorità a seconda del messaggio, così le immagini che evochi potranno essere rivissute da chi ti ascolta. Non ci siamo mai preoccupati dell’immagine che diamo se suoniamo un riff invece di un altro, le scelte non le facciamo in base alle tendenze ma avendo il focus sul singolo brano e sul suo contenuto.
C’è qualcuno che è andato vicino a far si che i MM non fossero mai esistiti?
Diego: No. Ma siamo andati molto vicini a non poter pubblicare il disco. L’estate scorsa abbiamo passato un momento molto difficile dopo aver deciso di proseguire senza Andrea: siamo rimasti in vita grazie all’aiuto del nostro amico Leo, batterista incredibile, continuando a suonare dal vivo in alcuni festival, poi con Pietro siamo ripartiti con una nuova spinta. Ci siamo decisi a pubblicare il disco ed essere qui a parlare di questo lavoro.
Che cosa pensate dell’industria e del mondo musicale italiano?
Daniele: Una volta, parlando con un mio amico, mi sono trovato di fronte ad un immagine bellissima: “il panorama musicale italiano è molto simile ad un autostrada…ci sono molte corsie, quelle d’accelerazione, quelle preferenziali, d’emergenza…”. In Europa e nel mondo, ovviamente, le cose cambiano.
Diego: Più che industria la chiamerei artigianato. Pure dietro ai generi più mainstream ci sono grandi professionisti e grandi artisti che si rifiutano di “usare lo stampino”. Il mondo musicale italiano è estremamente variegato, all’interno della nicchia che sentiamo come nostra c’è un fermento incredibile, ma si sente ancora un grande gap rispetto all’estero. Siamo un paese che fa musica per ripiego, che non considera come dovrebbe l’arte e l’informazione, pur avendo un patrimonio culturale inimitabile.
Che cosa pensate di voi? Credete di essere veramente bravi?
Diego: Crediamo che in due anni abbiamo fatto dei gran bei passi. Che tecnicamente non abbiamo nulla da invidiare ai Berliner Philarmoniker. Che ai nostri concerti chi ci conosce poga quando suoniamo “Insetti”, mentre chi non ci conosce si ferma ad ascoltarci e a fine concerto ci chiede l’Album. Che siamo modesti, sicuramente!
Credete che l’immaturità trasudante le vostre canzoni sia più un valore aggiunto alla vostra musica o cercherete di limarla quanto più possibile? O ancora lascerete che tutto accada naturalmente?
Pietro: L’essermi cimentato con pezzi non scritti da me mi ha costretto a entrare prima nella giusta ottica (ritmica, fisica e psicologica) e mi permetto di affermare che l’immaturità negli arrangiamenti o meglio nelle strutture è spesso dovuta ad accostamenti non inflazionati…anzi oserei dire originali…questo è uno dei motivi che mi ha spinto a entrare in questo gruppo!
Diego: L’immaturità che senti ci rende onore. Il nostro compito è crescere, maturare in senso qualitativo. Quello che facciamo, comunicare, richiede da parte nostra una grande onestà il che significa fare le cose perché sono sentite, non perché l’ha detto l’esperto di marketing o l’arrangiatore strapagato. Noi cerchiamo di dare il massimo, di fare quanto più possibile da soli per poter comunicare in maniera sincera col pubblico. Non ci basta apparire, non vogliamo spacciarci per dei miti dato che non lo siamo.
Ho trovato B.H.O.O.Q. il pezzo più bello del vostro disco (ne ho già parlato ampiamente nella recensione) e credo sia il migliore punto dal quale ripartire per acquistare la giusta personalità e creare un sound proprio? Quale pensate sia la sua forza? Ci sono pezzi che ritenete migliori? Quali brani vi sembrano che abbiano maggiormente attecchito tra il pubblico?
Pietro: Concordo, è incredibile la quantità di ghigni malefici che mi produce in volto questo pezzo quando lo suono…..mi esalta!
Daniele: B.H.O.O.Q è anche secondo me il pezzo più bello, la sua forza sta sicuramente nel periodo particolare che l’ha accompagnato. Ci sono sicuramente pezzi che mi piacciono più di altri, ma non sono per forza i migliori. Tutti i brani più o meno si sono ritagliati una loro nicchia nel pubblico, penso sia questo un punto di forza dell’album.
Stilnovo invece non mi è piaciuta molto. Prende in prestito le parole di Cecco Angiolieri e suona come un tentativo di intellettualizzare la musica nel modo più semplice possibile. Cosa ne pensate? Come mai questa scelta?
Diego: La storia della musica ci insegna che gli antichi greci recitavano i poemi cantando, con l’ausilio di strumenti musicali. La poesia e la musica, che venivano composte utilizzando la stessa metrica, da allora si sono sviluppate con sistemi differenti di notazione fino a ottenere una varietà incredibile di linguaggi. Con Stilnovo abbiamo voluto musicare una pietra miliare della poesia e rileggerla nel presente per cercare nuovi elementi di continuità. Un esperimento per nulla semplice, sicuramente molto ambizioso. Non siamo i primi a voler rileggere un classico sotto una nuova luce, già De André mise in musica “S’ì fosse foco” lasciandone però immutato il testo. Crediamo che la nostra versione abbia spessore e la vediamo trasmettere tanto a chi la ascolta. Specialmente dal vivo.
Cos’ è l’arte e cos’ è la musica?
Daniele: La musica è arte, l’arte è comunicazione
Quanta ideologia politica c’è (o ci sarà) nella vostra musica? Quanto v’interessa?
Diego: L’uscita è stata vissuta come un test d’ingresso piuttosto che un esame finale, sicuramente è stata una grande soddisfazione perché è il coronamento di anni di fatiche e sacrifici. Oggi ci sentiamo più ricchi d’esperienza: sappiamo che questo bagaglio non deve finire per intaccare l’umiltà e la motivazione, probabilmente ci servirà ad amplificare entrambe le cose.
Vi sentite le stesse persone di qualche mese fa, ora che il disco è uscito? E’ stata una liberazione oppure una sorta di esame di maturità?
Diego: L’uscita è stata vissuta come un test d’ingresso piuttosto che un esame finale, sicuramente è stata una grande soddisfazione perché è il coronamento di anni di fatiche e sacrifici. Oggi ci sentiamo più ricchi d’esperienza: sappiamo che questo bagaglio non deve finire per intaccare l’umiltà e la motivazione, probabilmente ci servirà ad amplificare entrambe le cose.
Chiudo come avevo chiuso la mia recensione. Io lo prenderei un secondo chitarrista. Voi no?
Pietro: Probabilmente toglierebbe quell’equilibrio che c’è tra noi e tra gli strumenti. Mi basta una chitarra acida come il veleno a squagliarmi le orecchie mentre suono… no grazie un’altra proprio no!
Daniele: No! Semmai inizio a fare gli straordinari e lavoro per due!
Diego: Niente da fare, mi dispiace Silvio 🙂
Last modified: 17 Aprile 2012