Avrei voluto, o meglio dovuto, scrivere una lunga recensione di questo nuovo album della band emiliana; se non altro perché, volenti o nolenti, parliamo di una delle più importanti formazioni del panorama musicale italiano, sempre che si possa prendere il cachet come criterio di valutazione per i musicisti. Non sarà così, però e non venitemi a parlare di pregiudizi, perché il mio scarno apprezzamento per i nostri, da molti definiti poco più, a volte meno, di una band “da Primo Maggio” e basta, viene da ascolti ripetuti e iniziati già nei lontani 90, quando i Modena City Ramblers autodefinirono il loro stile (già con poca originalità) e furono proclamati, non si sa bene da chi e con quanta consapevolezza, portavoce di una generazione ormai metaforicamente deceduta. Il concetto di Mani come Rami, ai Piedi Radici, sia quello espresso dal titolo sia quello sotteso nelle canzoni, è sempre lo stesso e non abbiamo più voglia di ascoltare la stessa cosa ogni volta che ci passa per le mani un loro disco. Non ho più neanche voglia di origliare la medesima roba, mix tra Folk Irlandese e musica balcanica con qualche spruzzata di Punk; senza un briciolo d’inventiva, con un’infinità di derivazioni stilistiche, con capacità di scrittura ormai ridotta ai minimi termini, suoni e voci dense di brutture e concetti triti e ritriti. Quello che i Modena avevano da dire l’hanno già detto ampiamente in passato e questo “accanimento terapeutico” per mantenere in vita la loro musica non ha alcun senso, almeno non ha senso per chi dalla musica cerca qualcosa di più, ma forse non ha più senso neanche per chi nella musica cerca solo un pretesto per smuovere il culo. La contaminazione ha senso se supportata dalle idee, ha senso se limitata nel tempo e se ampia nelle scelte o circoscritta ma studiata a fondo; non ha senso quando è infinita ripetizione di se stessa e non ha senso quando non coadiuvata da concetti nuovi e forse anche il mio ripetermi mi avrà rotto il cazzo, così forse capirete cosa intendo considerando che, oltretutto, i diversi temi trattati, finiscono spesso per esserlo con imbarazzante superficialità. I Modena City Ramblers non hanno più neanche la forza di creare quelle atmosfere di solidale complicità rurale perché svuotati ormai essi stessi di quella carica che dovrebbero trasmettere a noi e non sarà il featuring con i mitici Calexico a salvare il non-salvabile. Non è questa la musica di cui abbiamo bisogno noi ex ragazzi vogliosi di rivolta e non è quello di cui hanno bisogno i ragazzi che non sanno cosa sia la rivolta, totalmente immersi nei loro Rovazzi, Calcutta e Despacito. Bella Ciao non la canta più neanche mio nonno e ci credo, mio nonno è morto e, fermo restando la necessità di mantenere intatte e vive le nostre tradizioni e la nostra storia forse è ora che ci sia qualcosa di nuovo a riaccendere nei giovani la voglia di ribellione e non accettazione passiva dello status quo.
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Last modified: 20 Febbraio 2019
molto divertente il gioco della reiterazione del concetto, per il resto mi pare un articolo inutilmente cattivo, forse in modo pretestuoso. Lo sa anche lei che è un ottimo album, senza nemmeno doverlo confrontare con rovazzi calcutta e despacito.
(anche De andré che noia, sempre a cantare di nani puttane e alcolizzati)