Primo posto in UK chart che suona solo come un riconoscimento postumo.
[ 19.02.2021 | Rock Action | post rock ]
Che ci fa una band come i Mogwai al primo posto delle classifiche UK, o meglio, cosa ci fa questo disco?
State tranquilli, non sta per partire nessun pippone su quanto sia superfantastico trovare i nostri idoli, quelli che mamma e papà non sanno chi siano, al primo posto delle chart UK e neanche su quanto sia superfantastica l’isola della regina, dove una band post rock può arrivare a tanto mentre dalle nostre parti ci si esalta per il ritorno dei Sottotono. Nessun pippone e nessuna analisi dettagliata sul come e perché siano arrivati tanto in alto, che di articoli del genere ne troverete un casino. Quello che mi viene da chiedere è: perché proprio questo disco, se tralasciamo dinamiche prettamente di mercato e promozionali?
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Non me ne vogliate, soprattutto se siete tra gli esaltati dalla notizia, ma la band scozzese di Stuart Braithwaite ne ha avute tante di occasioni per far parlare di sé e raggiungere certi obiettivi. Il livello del proprio rock strumentale rasentava già la perfezione all’esordio ma se vogliamo metterci tutte le difficoltà di un primo disco, possiamo spostarci avanti nel tempo fino al trittico a cavallo dei due millenni Come On Die Young, Rock Action, Happy Songs for Happy People o scegliere uscite più popolari come la sonorizzazione della pellicola “Zidane: A 21st Century Portrait” o della serie “Les Revenants”.
Eccoli invece, dove non te li aspetti, dopo una serie di uscite che non troppo hanno convinto i più critici, con un nuovo lavoro senza infamia e senza lode che poco o nulla aggiunge alla loro immensa discografia, se non per episodi sporadici fuori da ogni possibile attacco (Ritchie Sacramento) e che rischia di far parlare di se solo per questo inaspettato risultato commerciale.
Oltre ad aggiungere elementi shoegaze ed elettronici alla parte strumentale, anche questa cosa non certo innovativa per loro come per il genere stesso, l’alternarsi dei brani segue una formula ben collaudata di quasi silenzi malinconici ed eterei e crescendo rumorosi ed epici, che qui sono tuttavia ridotti cosi da fornire un primo indizio sul perché di tanto successo. A differenza di quello che ci si potrebbe aspettare, il ruolo predominante spetta ancora alle chitarre mentre l’uso dell’elettronica sarà solo accessorio al suono dell’album e presente soprattutto nella prima parte con Here We, Here We, Here We Go Forever e Dry Fantasy.
Gran parte dei brani scorrono riassumendo l’intera opera nel suono insieme, mostrando uno stile usato ed abusato senza dare quasi mai segni d’eccellenza ma neanche dell’esatto contrario fino a Midnight Flit, vero gioiello insieme alla succitata, unica traccia in grado di porsi al fianco dei brani capolavoro dei Mogwai passati, con quel crescendo maniacale e ipnotico così naturale che l’esplosione sopraggiunge senza che possiamo accorgercene, rapiti dagli archi che dolcemente ci guidano fino alla conclusione fragorosa.
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Nessuna eccessiva lungaggine nel disco (altro indizio?) se non un paio di pezzi che superano i sette minuti, dalla potentissima Drive the Nail – forse la più nostalgica dei Mogwai semi post metal che furono – fino alla conclusiva It’s What I Want to Do, Mum. Nessuna concessione alla forma canzone più canonica, se non parzialmente proprio in Ritchie Sacramento in cui i Mogwai sembrano volerci mostrare un lato di loro stessi che mai avevamo visto, in uno slancio pop melodico che non sappiamo se fine a se stesso o tassello iniziale di una possibile nuova vita per la formazione di Glasgow.
Senza dilungarci troppo, possiamo affermare senza timore di smentite se non dai fan fanatici, che non c’è molto da scoprire di nuovo sui Mogwai dall’ascolto di As the Love Continues e nonostante qualche indizio scovato continuiamo a chiederci, almeno artisticamente ed esteticamente, come mai proprio questo disco sia finito così in alto.
Un album certo coerente con la loro lunga vita musicale, che non vuole rischiare di fare danni, gettandosi a capofitto all’inseguimento di suoni modaioli (troverete cenni eighties di questo tipo solo in sporadici punti, tanto sporadici da non meritare troppa attenzione) come fatto da altri colleghi di pari importanza tra lo scorso anno e quello in corso, con altalenanti risultati in termini di credibilità. Un album che non è neanche considerabile come un semplice ed inutile regalo ai fan, realizzato scopiazzando se stessi anche se il legame, specie sotto l’aspetto della produzione, con Rock Action uscito esattamente 20 anni fa è molto forte.
Ho letto da molti che in un mondo perfetto non ci sarebbe niente da stupirsi nel trovare i Mogwai e As the Love Continues al primo posto delle classifiche, inglesi, italiane o americane che siano. Non sono d’accordo. Io credo piuttosto che in un mondo perfetto avremmo visto senza stupore i Mogwai primi in classifica già dopo il 27 ottobre del lontano 1997, mentre oggi saremmo contenti di vederci i Black Country, New Road. Oppure ditemi voi chi…
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Last modified: 3 Marzo 2021