L’accettazione del negativo è il fulcro del debut dei friulani, narrata con padronanza ed eleganza vocale.
[ 22.04.2020 | Sign Pole Records | indie pop, dream pop ]
Daydreams è l’album di esordio del trio friulano Moonlit Station, uscito quest’anno sull’etichetta giapponese Sign Pole. La band stessa lo ha definito come un album “da ascoltare in cuffia e con lo sguardo rivolto alla notte”, perché con le sue canzoni proietta in un’atmosfera intima, introspettiva e sognante che si dispiega in 10 tracce. Un disco notturno, come si percepisce dalla copertina, con un faro ritratto sotto la luce della luna, una stazione lunare che immediatamente passa il testimone al primo pezzo.
L’album si apre con LightKeeper che richiama l’immagine del “lighthouse keeper”, il custode del faro, presente in molti pezzi e qui rivisitata perché si parla di custode della luce. A favorire l’atmosfera contemplativa e riflessiva dell’album sono la voce della cantante, calma e profonda, e le doppie voci, una maschile e una femminile, che ricordano la delicatezza e la coralità degli Of Monsters and Men.
Le immagini naturalistiche di sole, luna, luce, sono veicolo di tematiche come tristezza e solitudine: Before you lose porta con sé il concetto debole del perdere, rimandando alla nostalgia del passato, oppure ad una generica malinconia per un qualcosa di non definito, introducendo semplicemente questo stato d’animo. È lo stesso in Full Moon, in cui l’opposizione giorno-notte è funzionale al discorso sul dolore. Tutto ciò è suggerito sin dal titolo dell’album, che associa la luce del giorno al tema del sogno, propriamente notturno.
Uno scenario analogo sia in Pointless, che con i suoi ritmi lenti insiste sui concetti di solitudine ed inutilità, che in Sad Man, che tratta il concetto di mancanza. Ship’s Wake rimanda a qualcosa che non c’è più, ma che nonostante questo lascia il segno, come la scia di una nave che si allontana. Anche in Bravery sono ricorrenti le immagini della nave e del mare, con una musica che accompagna dei pensieri in modo rassicurante, ricordando il suono di un carillon. Another Scar introduce più brio ed energia rispetto agli altri pezzi dell’album, richiamando sempre il negativo, cioè il dolore, ed una cicatrice, che non è un segno qualsiasi, ma un’altra cicatrice, l’ennesima.
Where You Sleep conduce alla conclusione dell’album tramite l’atmosfera notturna che porta con sé, questa volta richiamando il sonno, come pace dove nessuno urla. Una canzone delicata, un invito e allo stesso tempo una richiesta di pace e calma, quella che si ha soltanto nei sogni, con il mare che culla dopo avervi affogato le paure. Harbour, il porto sicuro, è l’immagine con cui i Moonlit Station chiudono il loro lavoro: al centro c’è sempre il mare, ma stavolta come approdo, sicurezza e ritorno a casa.
Un modo, quello dell’album, di affrontare le paure e le insicurezze umane con saggezza, tematizzandole e navigandole per poi condurre ad un esito edificante e tutt’altro che decostruttivo. Un lavoro che ha il coraggio di mettere a nudo i punti più deboli dell’essere umano con consapevolezza, senza cercare di evitarli: bisogna sempre guardare alla notte, cioè al lato oscuro dell’esistenza, alle paure che si manifestano appena scende l’oscurità, al buio dell’inconscio. Una proposta di accettazione del negativo con potenza catartica, accompagnata dall’eleganza vocale delle doppie voci che narrano con calma e padronanza queste tematiche, senza correre il rischio semplificarle.
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Last modified: 6 Giugno 2020