Potevano avere un posto di riguardo nella pellicola dei Coen “No Country For Old Men” i Mosquitos, per quanto il loro modo di concepire musiche e liriche sembra un obiettivo puntato su spiriti affini che si fanno largo tra le torbide pieghe del sociale. Per tradurre in suoni uno specifico immaginario, i nostri optano per spinti amori lisergici – alla voce “Been A Tripper” – o semi ballate dal tono melodico sospeso che si colorano di aromi eighties – il caso eclatante di “Haze Vs Love”. E che la cura nella scrittura fosse un pregio del gruppo del frusinate ce ne eravamo accorti da tempo: attivi dal 1999 i Mosquitos hanno pubblicato in passato tre album, un paio di EP ed una collaborazione altrettanto fortunata con Giancarlo Frigieri (già con la cult band neo-psichedelica Joe Leaman) a titolo “In Love” (Black Candy, 2009).
Con poco meno di due anni di gestazione, il quarto album “Socialhaze”, è il manifesto sonico definitivo del quartetto – al secolo Mario Martufi (voce, chitarra), Gianluca Testani (basso), Fabrizio Gori (batteria) e Simone Alteri (chitarra) – che sfoglia con scientifica passione la storia del più ossessivo rock. Quando ascolterete il gruppo torturare i propri strumenti nella finale “House”, un clip in bianco e nero diretto da Richard Kern si manifesterà d’improvviso sullo schermo del vostro portatile, come a dire che le scorie urbane sono ancora un elemento distintivo, anche al cospetto dei migliori progetti di fuga. Ma in verità è il carattere eterogeneo del disco a sostenere le sorti dei quattro, abili nel maneggiare con cura “Two Chasms” sornione uscite elettro-acustiche, come spettrali ripetizioni ritmiche in “Light As A Bird (Not As A Feather)”, forse il tracciato più prossimo ad una sensibilità wave. Un disco da sfogliare, storie autentiche e musica che fotografano un immaginario sterminato, un fuoco collettivo che diventa intima urgenza.
Last modified: 27 Dicembre 2011