La versione più irriverente e disillusa del genio di Claudio Milano.
[ 11.09.2021 | Snowdonia | avant prog, experimental rock ]
Ho scritto questa recensione senza scrivere una recensione perché questo disco, in questo momento, non ha bisogno di essere giudicato, valutato, criticato. Ciò che dobbiamo apprezzare, prima ancora del messaggio più esplicito presente nelle liriche e nei brani, è quello intrinseco, una sorta di voglia di Milano di riconquistare il ruolo di musicista artista che non ha la necessità di “arrivare” ma vuole solo Creare superando anche l’atteggiamento di chi snobba quello stesso successo che sotto sotto brama ardentemente ma che non riesce a cogliere neanche un chicco alla volta.
Già nella presentazione del sesto album di Nichelodeon / InSonar si palesa il desiderio dell’autore di traslare l’atteggiamento da una sorta di “provo a fare arte in musica, sperando che vi piaccia” a “io ci ho provato, lasciate stare, non è per voi”. Una sorta di giustificata e disillusa arroganza che non ci sentiamo di condannare in tempi in cui anche per i Måneskin si riescono a spendere parole entusiastiche.
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Questo è un disco che non è leggero e spensierato, ed è già da qui che Claudio Milano vuole prendere le distanze sia dal mainstream che si traveste da alternativo sia dalla voglia, che deve avere pervaso lui stesso in passato, di alleggerire i toni per incuriosire un pubblico più ampio quando, a conti fatti, la leggerezza di cui ha bisogno il popolo mainstream è paragonabile al peso dell’anima, tanto piccola che uno come l’artista autore di questo INCIDENTI non potrà mai, per naturale impossibilità, raggiungere, tanto che non avrebbe senso neanche provarci; una sorta di mesta consapevolezza cui lui stesso non sembrava mai essere giunto con tanta chiarezza.
Il disco non parla di rinascita nel “dopo-pandemia” e stavolta la presa di distanza è dalla banalità che noi critici cerchiamo, pronti alla condanna piccata, con ostinazione ossessiva negli pseudo talenti televisivi ma che, a dirla tutta, si annida con più violenza nella moltitudine di proposte emergenti e nelle opere di chi pretende un riconoscimento pubblico di un talento in realtà assente, musicisti di una profondità banale e banalizzata sfociante nel qualunquismo più becero.
Il cantante del progetto non è bono, e se a dircelo sono gli stessi autori o lo stesso Claudio noi non possiamo che crederci, nonostante lo si conosca solo grazie ad alcune fotografie e alcuni autoritratti tra cui quello presente in copertina. Non è bono e non importa, perché quando hai la fortuna di poter suonare esattamente la musica che vuoi senza l’obbligo di “avere successo” non hai neanche la necessità di dover mascherare il tuo volto e il tuo corpo, modellarli, renderli appetibili al pubblico, addobbarsi, apparire prima che essere, non serve allenare il tuo culo, mostrare le tette, ammiccare alle milf e alle ragazzine, vestirti da drag queen. Certo, puoi farlo, se vuoi, ma sarà la tua volontà a dirti di farlo e non qualcuno pronto a suggerirti l’immagine di te più adatta a “prostituirsi” al momento. Ciò che sei è solo la tua musica.
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Claudio non è pansessuale, e qui l’ironia si trasforma in qualcosa di più pungente: senza scendere nei dettagli della definizione ciò che Milano dice senza dire, o forse suggerisce, o magari non dice affatto anche se a noi sembra il contrario, è che proprio quella necessità di raggiungere il successo sfocia troppo spesso nell’inseguire le mode anche a dispetto della sfera intima, molto intima come può essere quella sessuale. Ed è così che se da un lato si parla di gender fluid e dell’importanza di non dare importanza ai gusti sessuali quando si valutano le capacità di ognuno di noi, dall’altro c’è chi sfrutta proprio ciò che è la propria parte più preziosa per scopi commerciali, quando non finge addirittura di essere altro, al disperato inseguimento di una moda senza scrupoli.
È questo che dice? È ciò che pensiamo anche noi? Difficile rispondere con certezza alla prima domanda e non importa molto la seconda; certo è che se da un lato la causa di chi vuole superare le discriminazioni di genere è degna battaglia di ogni persona che possa definirsi umana, dall’altro non possiamo che condannare chi, con sfregio delle sofferenze altrui, sfrutta le ambiguità sessuali per un tornaconto personale alimentando stereotipi che non fanno bene alla voglia di riscatto di chi per troppo tempo è stato in gabbia, finendo per ridicolizzare qualcosa che non ha bisogno di spettacolarizzazione da parte di chi non ha reali interessi se non i propri economici.
Claudio non è ventenne e qui c’è tutta la disillusione malinconica di chi è consapevole che la musica, certi palchi, un certo pubblico non può essere quello di chi ha ampiamente superato la giovinezza; ma in fondo è giusto così, che forse anche noi, a sedici anni, ci siamo innamorati dei Marlene Kuntz schifando i dischi di papà e quei vecchiacci dei Pink Floyd.
INCIDENTI-Lo Schianto è pronto per divenire il più grande fallimento di Snowdonia e Claudio Milano ne va fiero (ma senza montarsi la testa). Non è una nostra considerazione finale ma quanto affermano gli stessi autori, consapevoli di aver scritto una battuta che non ha nulla di vero; certo, non sarà un successo, ma questo disco non può essere un fallimento semplicemente perché l’obiettivo che si pone non è di quelli per cui il fallimento è previsto. L’unica cosa che Claudio Milano ci chiede è di ascoltarlo, se anche fossimo in dieci a farlo.
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Ed eccomi a far sì che il fallimento non sia compiuto, insieme a tanti altri che hanno voglia di osare. Eccoci ad ascoltare un album in cui decine e decine di musicisti mettono il loro talento al servizio di una stravagante danza tra fiati e violino con la voce a fare da narratore incantato da tanta oscura e macabra bellezza. Una danza che solo in apparenza si limita ai suoi protagonisti ma che, in realtà, da voce a mille volti attraverso mille strade stilistiche e affrontando tematiche sociali non proprio di facile lettura, come la transazione dei popoli nel Mediterraneo o l’omosessualità che portava a morte certa nei lager sovietici di non troppi anni fa. Un’opera mastodontica che potrebbe impressionarvi solo a leggere la miriade di strumenti usati, dei suoi musicisti, le citazioni colte, i rimandi, ma che non ha nulla a che vedere con innovazione, presente e futuro della musica italiana.
Un disco che è più facile definire stilisticamente anacronistico piuttosto che anticipatorio dei tempi, quantomeno nella forma, ma che non ha il minimo problema a fare i conti con tali definizioni. Semplicemente perché Claudio Milano non ci chiede mai di criticare la sua opera, mai di pubblicizzarla, mai di considerarla oltre ciò che è, mai di paragonarla a qualcosa di più presente nelle vite di tutti.
Milano non ci ha mai detto di aver realizzato il disco del secolo, di essere in procinto di cambiare il corso degli eventi, di fare la storia. Ci chiede solo di ascoltarlo ed è quello che stiamo facendo nella speranza che anche voi abbiate la curiosità di regalargli un ascolto senza, per una volta, star troppo a pensare a cose che con la sua musica, le sue liriche, i suoni, le immagini, non hanno nulla a che fare.
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Last modified: 20 Dicembre 2021