Ci ho provato in tutti i modi, ho messo su le cuffie, l’ho piazzato nello stereo dell’auto gironzolando di notte per le strade che fiancheggiano le campagne, l’ho fatto scorrere tra le pareti della mia stanza mentre mi distraevo con un romanzo sulla Colonia medioevale, l’ho usato come sottofondo per un momento di riposo e testa vuota. Ho cercato in tutti i modi di far smuovere le mie emozioni da questo omonimo dei Niton ma poco è successo, poco più del normale defluire della mia vita. Eppure il fragore che ha dato il via a tutto pareva potermi spostare da un certo assopimento emotivo nel quale mi sento rovinare negli ultimi tempi ma niente di ciò che auspicavo è poi capitato. Andiamo con ordine. Niton è la testimonianza di un confronto fra tre musicisti che suonano congiuntamente lasciandosi sopraffare dagli accadimenti, una sorta di jam session d’avanguardia non inquinata da alcun tipo di elaborazione di post produzione. Il risultato di questa commistione di stili personali, d’improvvisazione, di estemporaneità e naturalezza, di archi classici che volteggiano in incubi sonici con tastiere digitali e arnesi che divengono musica è un agglomerato di Ambient, Noise ed Electronic Music sperimentale.
Le menti genialoidi (?!) che stanno dietro a questo progetto sono di Xelius ed El Txyque. La materia della loro proposta è chiamata Drone Nights. Si tratta di ostentazioni dal vivo di musica intuitiva che si dipanano in luoghi sempre differenti. Il pubblico compartecipa con ascetismo, contemplazione quasi religiosa e abbandono pungolando il trio alla creazione attraverso flussi di energia. La scelta della strumentazione è libera e varia di volta in volta interessando artisti ospiti. Nell’occasione del 3 ottobre 2013 (da cui quest’album) presso le Officine Creative di Barasso (Varese) l’ invitato è stato Zeno Gabaglio, sistematosi tra Xelius ed El Toxyque senza alcun accordo schematico, planning o consultazione a proposito della musica che si sarebbe andati a scandire. Tutto deve essere partorito come frutto imprevedibile dell’interazione ricettiva di ciascuno, spettatori compresi. Come potete immaginare il risultato è un mix di droni e rumori di sottofondo (palese l’influenza di Cage), senza alcuna struttura precisa e una strumentazione più tradizionale che prova soltanto a dare una parvenza di classicismo alla musica che in realtà galleggia in una ricercata deformità sostanziale. Innegabilmente s’intuisce che la partecipazione attiva/passiva come pubblico a uno spettacolo del genere debba rivelarsi esperienza unica, quasi mistica e capace di rivelare una profondità dell’arte per eccellenza altrimenti impossibile da scovare nelle sue forme più banali. È anche vero però che, se il risultato è inciso su un supporto fisso, la possibilità di rendere pienamente l’idea di viaggio nel silenzio, nel se, nella meditazione, è ridotta. E, infatti, accade solo parzialmente, perché per gran parte dei quasi trentanove minuti di Niton, l’orecchio tende a tediarsi, distrarsi o lasciar scivolare le note lungo la sua pelle impenetrabile.
Tre artisti eccelsi, un progetto validissimo con enormi potenzialità, un’idea sostanziale assolutamente affascinante ed entusiasmante e uno spettacolo che non mi vorrei perdere per nessun motivo al mondo. Questo c’è dietro il self titled dei Niton. Quello che ascoltate nelle casse mentre gira il cd è solo un’immagine sgranata di quello che deve essere, solo una foto scattata con un pessimo cellulare di un paesaggio che immagino essere paradisiaco, celestiale come un sogno.
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Last modified: 20 Dicembre 2013