Non sei boomer, ne sai solo più dei ragazzini! – Intervista a Umberto Palazzo

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Il cantautore e dj pescarese ci ha parlato dell’immediato destino della musica italiana e non solo.

A pochi mesi dall’uscita del terzo LP Belvedere Orientale (potete acquistarlo qui)e a meno di un mese dalla sua data live al Garbage Live Club (venerdi 24 febbraio 2023, Pratola Peligna AQ), abbiamo incontrato il cantautore e dj pescarese Umberto Palazzo per parlare dell’immediato destino della musica italiana ma non solo.

Palazzo è uno dei più noti esponenti del rock alternativo anni Novanta ma anche uno dei più attenti conoscitori del presente, sempre puntuale nella lettura delle varie criticità che attraversano il mercato discografico, la cultura di massa e la scena contemporanea. Abbiamo preso spunto dai titoli (li trovate in virgolettato) di alcuni articoli delle principali testate musicali online per fare chiarezza su alcune questioni cui il mondo della musica, in tutti i suoi interpreti, dovrà dare risposte immediate.

“L’intelligenza artificiale scrive un pezzo alla Nick Cave ma a lui fa schifo” (Rumore). La notizia sembrerebbe rassicurare il mondo della musica sull’impossibilità che le AI rimpiazzino gli artisti; ma è davvero cosi? La musica è piena di autori di testi brutti ma commerciali, come di canzonette insulse che funzionano. Siamo sicuri che nessuno debba sentirsi minacciato? E quale futuro vedi per le Ai all’interno del mercato musicale?

La AI purtroppo sostituirà un sacco di lavoratori a partire dagli stessi programmatori. I fonici di studio e di mastering sono messi malissimo e credo che il pop sarà completamente travolto nell’arco di cinque/dieci anni. Il pop di oggi è così poco umano e vero, così tanto standardizzato, con limiti così ferrei e così tanto basato sulla ripetizione di una formula, sull’immagine e sul prodotto che l’AI non avrà nessun problema a rimpiazzare tutto, ma proprio tutto l’ambiente che lo crea. Del resto se il fine è solo il profitto, che c’è di più conveniente che eliminare il costo del lavoro? Quindi sarà una strage soprattutto perché il pop odierno ha completamente rimpiazzato l’ispirazione col marketing. Una macchina potrà fare quello che funziona per il marketing certamente meglio degli umani. Quello che non può fare la macchina è l’esperienza umana e i cantori dell’esperienza umana ci saranno sempre, anche se in nicchie più o meno grandi. Questo pop artificiale sarà la futura musica di successo, perché l’umanità è oramai succube dei like, vuole essere massa, vuole essere sicura nel numero e prova sempre più ripugnanza per il pensiero critico e idealista. I vecchi si ricordano il mondo prima che fosse filtrato dai telefoni, i giovani non l’hanno mai visto. La storia e il senso dell’umanità non esistono più e, quel che è più grave, c’è acquiescenza e complicità da parte di un po’ tutti. La vera resistenza culturale oggi sarebbe non dare i telefoni ai propri figli, limitarne comunque l’uso e combattere l’alienazione da telefono e invece si fa il contrario ed è come se negli anni settanta i genitori avessero dato l’eroina ai figli per farli stare buoni. Ma dato che pure i genitori sono strafatti di giga…

“Le scene rock indipendenti non sono sparite. Il caso South London” (Rolling Stone). Eppure in Italia sembra succeda l’esatto opposto. Le partecipazioni sempre più frequenti a talent e Festival di band provenienti dal mondo alternativo suggerisce la sconfitta definitiva di quest’ultimo in Italia. Quindi cosa sta succedendo davvero da noi e cosa ci differenzia da Regno Unito e altre realtà dove si fa ancora “resistenza”?

Cito direttamente un mio vecchio post: non ho niente contro chi va a Sanremo, è ovvio che sia un passaggio obbligato per chi sta in una certa fase della carriera, ma non sopporto l’ingenuità, chiamiamola così, di chi dice “ci sono i nostri a Sanremo, fico, ce l’abbiamo fatta”. Al contrario, i “nostri” a Sanremo vuol dire che non ce l’abbiamo fatta, vuol dire che la mia generazione e quella successiva di artisti alternativi al modello culturale imperante e opprimente hanno totalmente fallito nel loro scopo primario e non sono riuscite a creare un modello economico autosufficiente e a spostare di un centimetro l’impianto culturale di questo paese, che rimane fermo agli anni sessanta, se non a prima. Gli indie di oggi sono gli urlatori di ieri. Una variazione di colore sul tema del nostro eterno provincialismo culturale e della nostra assoluta irrilevanza a livello internazionale. Cioè vi immaginate i fan inglesi che vedendo i Radiohead all’Eurofestival dicono “Fico, ce l’abbiamo fatta”?

“Dopo i trent’anni non ce ne frega più nulla della musica nuova” (Rockit). Pigrizia, frenesia dei tempi moderni, mancanza di cultura, inevitabilità. Perché stiamo lasciando il destino della musica in mano ai bambini?

Perché manca il conflitto generazionale, che è una cosa sana. Non c’è narrazione senza conflitto, la vita vera è conflitto. Le generazioni precedenti non hanno mai detto ai giovani “prego accomodatevi, avete ragione, ci adeguiamo noi a voi”. Le generazioni precedenti hanno sempre detto ai giovani “Non capite un cazzo perché vi manca l’esperienza” ed è vero. A quel punto la nuova generazione deve dimostrare che ha ragione producendo cultura, arte, cose, ricchezza e soprattutto un nuovo modello di società. I nuovi vecchi invece vogliono sentirsi giovani e per dimostrare di essere giovani accettano acriticamente tutto ciò che è nuovo e i giovani stanno così su Minecraft a vegetare. Dietro c’è il terrore del conflitto, una mollezza che deriva dal declino degli ideali e delle ideologie, la paura di invecchiare, l’orrore di essere chiamati boomer. Che poi non lo sono perché i boomer arrivano fino al ‘64. Io invece lo sono e lo rivendico. Sono del ‘64.

“Sleaford Mods: tornano incattiviti più che mai i rapper punk di Nottingham”(Freakout Magazine). La loro polemica si è scagliata anche contro una band ormai culto come gli Idles rei di cantare degli ultimi della società pur essendo cresciuti tra gli agi dei primi. Bisogna per forza esserci dentro per parlare di certe questioni e difendere i più deboli? Si può parlare di povertà ma alzare il costo del biglietto di 10 euro in un anno (vedi proprio gli Idles)?

Non bisogna esserci dentro, gli stessi Marx e Gramsci non erano dei proletari. Gli Sleaford Mods, che mi piacciono molto più degli Idles, l’hanno forse messa giù nella maniera sbagliata. Quella giusta sarebbe stata: se ci stai dentro racconti le cose proprio come stanno e risulti molto sgradevole. Se sei nato borghese hai un’idea semplicistica del disagio e hai successo presso i borghesi, ai quali unicamente ti rivolgi, proprio perchè non li sconvolgi troppo, ma quel pizzico di esotismo dei bassifondi che metti nelle canzoni ha sempre funzionato, da Brassens in poi e ti dà una bella spinta in più. Presso i borghesi, ovviamente.

“Perché i Måneskin ripetono ossessivamente che non si drogano?” (Esquire) Forse la risposta è fin troppo scontata. E allora, ti chiedo. Perché noi tutti, dal fan all’hater, dall’ascoltatore pop a quello alternativo, siamo tanto ossessionati dai Maneskin? C’entra qualcosa la risposta alla domanda iniziale?

Per me gli hater non sono ossessionati, lo sono invece i fan. Oggi se muovi una critica (non solo ai Maneskin), arrivano torme di fan (e, va detto, anche di troll pagati) che cercano di distruggerti moralmente. Nel mondo antico pre internet era normale dire che una cosa non ti piaceva, oggi sembra diventato assurdo e questo è davvero assurdo. Le riviste che compravamo ci dicevano che musica evitare, oltre cosa comprare perché PAGAVAMO per la musica e quindi un consigliosu come spendere bene i soldi era preziosissimo. Eravamo grati a chi ci avvertiva che quella robaccia che stavamo rischiando di comprare era merda. Oggi nessuno paga più per niente e quello che non avrebbe mai comprato un disco in vita sua e quello che avrebbe speso tutto lo stipendio in dischi perché la musica era la sua ragione di vita sono sullo stesso livello e hanno lo stesso diritto di dire la loro. E alla massa, alla gente, della musica, dei dischi e delle canzoni non frega in realtà niente. Alla massa piace il successo, non le canzoni e le canzoni che non hanno successo economico oggi non sono considerate belle da nessuno. Per questo è inconcepibile che a qualcuno non piacciano i Maneskin. Per la massa, dato che non si è mai visto un successo più grande, se qualcuno non lo ammira questo qualcuno deve avere delle motivazioni torbide, deve essere una brutta persona, un mezzo criminale, uno pericoloso, uno probabilmente da rinchiudere e comunque da escludere. È sempre lo stesso discorso: l’umanità non ha ancora assorbito lo shock culturale di internet, non capisce gli effetti dello streaming e del virtuale e non ha ancora iniziato a resistere culturalmente.

Grazie mille della disponibilità, Umberto. In bocca al lupo per il prossimo concerto al Garbage Live Club di Pratola Peligna venerdì 24 febbraio. Ci sono altre date in programma?

Venerdì 3 febbraio presento il disco con i Lunatici, la full band al Babilonia di Pescara. Metterò anche in vendita per la prima volta il cd. A fine marzo ho un mini tour in Campania e passerò dal Koi e dal Punk Tank, fra gli altri posti. Il 15 aprile sarò al Metro Core a Roma. Come si suol dire, seguitemi sulla pagina per aggiornamenti: https://www.facebook.com/umbertopalazzoeilsantoniente

Adesso ascoltiamoci il tuo album. Anzi, raccontacelo.

Belvedere Orientale è la seconda parte di un discorso iniziato con L’Eden dei lunatici ed è la parte secondo me venuta meglio, le cui canzoni costituiscono la maggior parte del mio attuale concerto. Con L’Eden dei lunatici ho iniziato un viaggio nella memoria, sia per le esperienze esistenziali, che per i personaggi dei testi, che per i riferimenti musicali che sono focalizzati sulla canzone d’autore e sul pop rock funk italiano “nobile” della fine degli anni 70. Ho dismesso le chitarre elettriche distorte e l’oscurità in favore della melodia, della variazione armonica e del ritmo. I miei punti di riferimento in questo viaggio sono, a parte gli inglesi e gli americani che mi accompagnano da sempre, Lucio Battisti, Ivan Graziani, Enzo Carella, Lucio Dalla e Alan Sorrenti. Quello che facevano alla fine degli anni settanta oggi alle mie orecchie suona molto più alternativo della musica alternativa attuale, che si è infognata in una monotonia che sembra senza via d’uscita a furia di inseguire un minimalismo a tutti i costi che è un’idea che era già
diventata vecchia quarant’anni fa. Diciamo che faccio è uno specie di yacht rock o soft rock o pop funk in versione lo fi, realizzato nel mio piccolissimo e minimale studio suonando prevalentemente tutto da solo. Per fare un parallelo con gli stranieri, quello che faccio adesso non è molto lontano da certe cose di Mac DeMarco o del Beck più minimale, almeno come intenzione.

Sappiamo che hai lanciato anche il pre order dell’edizione in vinile. È ancora disponibile?

Sì, ancora per pochi giorni sul sito della Diggers Factory.:

Last modified: 7 Febbraio 2023