Solo cinque canzoni per poco meno di venti minuti per l’Ep dei tre bresciani Andrea Piantoni (voce e chitarra acustica), Andrea Buffoli (chitarra ed effetti) e Stefano Borgognoni, ma quanto basta per mettere in mostra tutta la loro stoffa. Cinque canzoni di puro e limpido Indie Folk dal sapore d’oltre oceano, scritte con una vena compositiva incredibile, perfette nella scelta di melodie, suoni, struttura, il tutto impreziosito da una voce che, seppure non possa dirsi formalmente vicina alla perfezione, presenta una timbrica e uno stile accattivante e carica di fascino (a non volersi soffermare sul problema annoso della pronuncia inglese). Canzoni che se fossero passate tra le mani di band con più mezzi a disposizione, che se fossero state date in prestito a The Lumineers, a Mumford and Sons o Of Monsters and Men, a Bright Eyes o Bon Iver, nel giro di qualche settimana sarebbero tra le orecchie di un bel pezzo di mondo ma sono state scritte, composte, suonate e proposte da una sconosciuta band del nord Italia e, dunque, alto è il rischio che pochi saranno i fortunati a goderne. Hoka Hey è un lavoro che trasuda atmosfere di provincia e campagna statunitense già dai colori della minimale ma seducente copertina ma che non tradisce una volta passati all’ascolto.
Che il Folk sia stato un po’ l’impronta di questo nuovo millennio è indubbio ma che ci potessero essere formazioni italiane ancora in grado di dare un significato a questo stile e farlo in maniera, scontata se sei nato a Denver ma molto meno se vieni dalla Lombardia, non era per niente immaginabile. Cinque canzoni che hanno la nostalgia di luoghi lontani ed epoche recenti, che arrivano forse fuori tempo utile rispetto al periodo d’oro di questa rinascita ma che non suonano per questo anacronistiche. Di cose che funzionano, in questo lavoro degli Oregon Trees, ce ne sono tante, dal gancio iniziale di “Eden”, al ritornello di “Colors”, dalle intelaiature chiaramente Pop e radiofoniche (da non vedersi, in questo caso, come un male) alla facilità di ascolto anche dei brani più intimi come può esserlo “If I Went Back” senza, tuttavia, allontanarsi mai dal nodo cruciale rappresentato dalla musica Folk, Country e Americana. Eppure ci sarebbero anche tanti motivi per muovere critiche a Hoka Hey; dalla scelta di uno stile “fuori luogo”, al voler cavalcare un’onda che ormai vediamo da lontano, oltre gli scogli, passando per arrangiamenti non proprio da Big Band e una somiglianza troppo marcata con i padrini del Folk. Ce ne sarebbero molti di motivi ma, una volta tanto, l’ascolto spazza via tutto e lascia con quel senso di elegiaco appagamento, di meditativa felicità che è quello che solitamente chiediamo a lavori come questo.
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Last modified: 20 Febbraio 2019