La svolta allucinogena e sintetica della band californiana promette di creare assuefazione e dipendenza.
[ 18.08.2023 | synth punk, garage punk | In the Red Records ]
Otto nomi cambiati, diversi avvicendamenti in formazione, sperimentazioni variegate. E poi ventisei dischi in studio (e non sono neanche sicuro di aver contato bene), un po’ di album live e svariati EP all’attivo. Quella degli Osees è un’epopea degna dei Carolingi, una parabola da manuale di storia antica più che da sito che tratta di musica.
A dirla tutta, credo di poter dire di avere un rapporto bizzarro con la band californiana. Amata da sempre, ascoltata a profusione, eppure mai vista dal vivo (almeno per ora). Né ho mai posseduto un solo suo disco. E tantomeno ne ho mai scritto in passato. È come se l’avessi sempre ammirata da lontano, da un punto di vista sicuro e distaccato.
Se quella di non averli mai visti live è una lacuna che spero di colmare quanto prima, il fatto di non aver mai avuto voglia o modo di parlarne mi pone una questione di non facile risoluzione. In realtà, se penso alla loro sterminata discografia, non ho un album davvero preferito.
Sì, ok, Carrion Crawler / The Dream è fantastico e ha rappresentato probabilmente il vero punto di svolta per la creatura di John Dwyer. Così come la doppietta Mutilator Defeated at Last–A Weird Exits è tuttora un piccolo culto in ambito alternativo. Per non parlare di Floating Coffin, che contiene uno dei riff più clamorosi degli ultimi dieci anni.
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Del resto, la band dai mille nomi e dalle altrettante trasformazioni incarna uno spirito ben più ampio e totalizzante, intrinsecamente impossibile da limitare in lavori o passaggi ben definiti. Uno spirito che, partendo da radici garage, punk e psichedeliche dal forte retrogusto californiano, ha plasmato nel corso del tempo un suono assolutamente riconoscibile e peculiare.
La naturale evoluzione di tale processo non poteva che essere il divenire un vero punto di riferimento per tutta una scena mondiale, quella che appunto fa del connubio tra garage e psichedelia la propria cifra stilistica.
Una scena a cui John Dwyer ha dato veramente tanto non solo in veste di musicista, basti pensare che la sua preziosa Castle Face Records ha di fatto contribuito a lanciare artisti del calibro di Ty Segall e King Gizzard & The Lizard Wizard.
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Intercepted Message segue di dodici mesi il precedente A Foul Form (d’altra parte, pubblicare dischi ad agosto è una delle tante prerogative degli Osees) e segna anche una sorta di rottura con l’ultima incarnazione sonora della band. Le sfuriate hardcore punk in odore di Black Flag e Dead Kennedys vengono infatti accantonate in luogo di un suono in cui sono i sintetizzatori a prendersi la scena, per un synth/dance-punk molto più affine a Devo e simili.
Una svolta che evidentemente è stata incentivata anche dall’ingresso in pianta stabile nella band di Tomas Dolas, indicato non a caso come “keyboards guru” nei crediti, per quello che ora è a tutti gli effetti un quintetto.
Questa nuova fatica conferma inoltre la tendenza da parte della band di San Francisco di condensare la propria musica in un minutaggio più contenuto, soprattutto se si pensa ai corposi lavori di fine anni ‘10. Il risultato è un album diretto e concentrato, godibile e divertente in tutta la sua durata.
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La titletrack è un brano perfetto per comprendere la nuova veste degli Osees: i chitarroni garage si incastrano alla perfezione con l’avvolgenza dei synth, creando un intreccio sonoro che viene reso ancor più intrigante dalla solita, tentacolare sezione ritmica composta dalle imprescindibili batterie di Rincon e Quattrone.
La svolta danzereccia cui si accennava poc’anzi è quanto mai palpabile in un brano come Die Laughing, un’allucinazione dance-punk in cui sembra di sentire gli echi dei Viagra Boys più storti e sperimentali.
Se però temete che la componente garage e abrasiva sia del tutto scomparsa, non perdetevi d’animo: Goon è perfetta nella sua bizzarra carica synth garage, un banger da inserire immediatamente tra i classici della band.
Tra una riuscitissima cover dei Blurt (The Fish Needs a Bike) e la stravagante e caleidoscopica Sleazoid Psycho, il disco scorre via in maniera godibile e divertente, aggettivi che in effetti ricorrono spesso nella mia mente quando penso alla musica degli Osees.
Se però volete addentrarvi nel filone più sperimentale ed eccentrico dell’album, il finale ha in serbo più di una sorpresa. Immersa in una matassa di synth mai così liquida e sognante, Always at Night è la sorprendente jam ipnagogica e new wave che non ti aspetteresti mai, per uno dei pezzi più “chill” e dilatati mai scritti dalla band.
E nella coda conclusiva di LADWP Hold ci si addentra addirittura in territori quasi IDM, per un album che proprio al suo tramonto raggiunge il climax in fatto di estro e sperimentazione.
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Eccentrico e stravagante, sperimentale ed intrigante, a suo modo addirittura pop, Intercepted Message somministra una consistente dose di allucinazione sintetica al garage punk classico della band. Un album certamente non perfetto, ma che in più di un’occasione spiazza e stupisce, in attesa di capire se questa versione a metà tra synth garage e dance-punk verrà ulteriormente affinata in futuro.
Quel che è certo è che, qualunque sarà la prossima direzione intrapresa, gli Osees la perseguiranno a modo loro, senza calcoli né compromessi di sorta. Il tutto senza mai prendersi troppo sul serio o sembrare eccessivamente pretenziosi, il che è già a priori un successo di non poco conto.
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Last modified: 12 Settembre 2023