Oso Oso – life till bones

Written by Recensioni

Tra amore e morte, Oso Oso affronta i suoi demoni con trenta minuti di perfetto emo (power) pop.
[ 09.08.2024 | Yunahon Entertainment LLC | power pop, emo, indie pop ]

È il 2022 quando Tavish Maloney, cugino e braccio destro di Jade Lilitri/Oso Oso, muore improvvisamente. Il disco su cui i due stavano lavorando – sore thumb – era poco più che un demo, ma il dolore è talmente forte che Lilitri decide di dargli una sistemata in fretta e furia e di pubblicarlo così. Troppo forte il colpo subito, troppo importante che nei brani si percepisse tangibile la mano del suo amico e collaboratore. Una scelta antitetica rispetto alla parabola intrapresa dalla band, da poco approdata su Triple Crown Records e reduce dal successo del precedente Basking In The Glow, ma una decisione che mostra umanità, integrità, e una certa dose di scelleratezza e indipendenza.

Due anni dopo ecco life till bones, un ritorno all’autoproduzione e al passato (Lilitri ci ha lavorato con il primo produttore Billy Mannino), e soprattutto un disco che cerca di fare pace con quanto successo, rispondendo a vecchie domande e creandone di nuove. 

life till bones è il quinto album a firma Oso Oso, al quale dobbiamo aggiungere una mezza dozzina di split ed EP, e arriva a cementare una carriera ormai decennale in cui Lilitri (pseudonimo di Jonathan DiMitri, già in State Lines e Hotelier) si conferma alfiere di un emo (power) pop al tempo stesso dolce e sardonico, in cui i cori sono semplicissimi da mandare a memoria e le melodie ti crescono dentro come i semi di un cocomero.
Una carriera da mastro artigiano del genere, che in life till bones raggiunge il perfetto compromesso tra quantità e qualità: 10 brani, 29 minuti, 0 skip. All killer no filler, come il pop punk più radiofonico insegna.

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many ways è una semplice introduzione al disco, ma fa in tempo a dargli anche una direzione ben precisa: “I love you but life is a gun / Once you pull that trigger, what’s done is done”. Siamo davanti a un disco che guarda dritto negli occhi sia il concetto di mortalità che quello delle relazioni, scendendo a patti con il primo e cercando di districarsi nel tortuoso percorso del secondo (“I wanted to show you who I see inside me / But you beat me to it, god how did you find me?” canta Lilitri in skippy), ma lo fa con il sorriso beffardo di chi affronta questi temi mettendo una band di scheletri sulla copertina mentre imbracciano le chitarre di Guitar Hero: sono temi importanti, ma non per forza devono essere pesanti.

E allora via di hit, una dopo l’altra! the country club fa il verso agli Strokes, mentre il testo fa i conti con i cocci di una relazione ormai andata. Per rimanere in tema indie sleaze, that’s what time does entra in orbita Phoenix (più band dovrebbero suonare come i Phoenix!) e anche la voce di Lilitri si avvicina a quella di Thomas Mars, e chissà che la sua relazione con Sofia Coppola abbia un po’ ispirato questo racconto di una coppia che vede il proprio rapporto sfociare nella routine quotidiana, e il conseguente adattamento alla stessa. Tutto questo in appena tre minuti da cantare con il dito rigorosamente puntato al cielo in un ritornello che occupa almeno 2/3 di brano.
Ian Cohen su Pitchfork ha detto che Lilitri ha imparato a “fare economia” in questo disco: non me la sento di dargli torto.

all of my love si aggiunge alla lista di brani che sarebbero le più grandi hit di ogni altra band (quel battito di mani è così inaspettato da diventare una di quelle peculiarità che mi fanno ossessionare con le canzoni), mentre skippy ricorda la melodia di the view (da Basking In The Glow) ibridandola con cori e piccoli intarsi pop. other people’s stories ha una duplice chiave di lettura: quella di una relazione talmente totalizzante che gli altri perdono d’importanza (“No, i can’t fall in love if it’s not with you / Cause other people’s stories got me feeling bored”) o quella del rapporto Lilitri/Maloney, con il primo che fa ancora fatica a superare la perdita di un amico e collaboratore così prezioso, con cui aveva sviluppato una tale affinità personale ed artistica.

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E allora, come un pugno nello stomaco, seesaw arriva più o meno a metà scaletta come tributo dichiarato a Tavish Maloney, una lettera a cuore aperto per cercare di rimarginare la ferita. Quella dei brani acustici registrati in low-fidelity è una caratteristica che Oso Oso ha replicato ad ogni album (one sick plan, get there, all love), ma mai come stavolta la forma è così adatta alla sostanza, alla natura viscerale del racconto:

“There are things we can’t explain, that we must do
And that explained blood more than I ever knew
He captured every single color in hue
Yeah, that was a brother the entire way through”

Tra amore e morte, emo e pop, life till bones abbraccia tutti questi lati del proprio essere, il più delle volte mischiandoli tra loro e creando colori del tutto nuovi. Non è un disco che piacerà a chi cerca la sperimentazione ad ogni costo, e neppure ai duri e puri del genere che si divertono a spaccare la presunta scena con l’accetta.
Oso Oso flirta con il pop senza paura di sporcarsi le mani, ma rimanendone incredibilmente pulito: se Basking In The Glow era il grande salto e sore thumb l’improvvisa caduta a terra, life till bones si rialza con la forza di chi è riuscito trarre nuova energia dalla propria sofferenza. Non dimenticandola, ma rendendole onore.

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Last modified: 19 Agosto 2024