Claustrofobico, ipnotico, intrigante, misterioso: l’esordio del collettivo irlandese, sospeso tra folk e doom, punta a lasciare un segno indelebile nel tempo.
[ 27.10.2023 | Irish doom folk, drone, experimental rock | Claddagh Records ]
Sean-nós, tradotto dal gaelico irlandese: “senza accompagnamento”.
La sola voce di Radie Peat incide con precisione chirurgica una corazza che fino ad ora pensavamo fosse solo immaginaria, ci dilania strato dopo strato, ci trafigge l’anima.
Sono trascorsi soltanto poco più di sette mesi da False Lankum, da Go Dig My Grave, una fine in un inizio, e ancora una volta ci lasciamo ipnotizzare da questa voce dal timbro inconfondibile, che riconosceremmo fra altre migliaia; familiare, inquietante ma al tempo stesso rassicurante.
Nei nove minuti di Cruel Mother, Radie Peat torna a raccontarci un’altra storia, più intensa che mai.
“Cruel mother”, una madre crudele, colei che dà la vita per poi inevitabilmente sottrarla e affogare il resto della propria esistenza in tetri rimorsi e oscure visioni.
Un racconto violento che sembra volerci scuotere per le spalle ad ogni singola parola, una storia di sensi di colpa, nauseanti ed oppressivi; si tratta di una murder ballad di origine scozzese, ma largamente diffusa in Gran Bretagna ed Irlanda, in una grande varietà di testi e melodie diverse (in questa versione, ispirata all’arrangiamento di Andy the Doorbum).
Per conoscere le origini dei misteriosi, intriganti ØXN è necessario fare un passo indietro nel tempo, fino al 2018; il collettivo deriva da un side project della citata Radie Peat – già nota voce femminile dei Lankum – e Katie Kim, cantautrice originaria della contea di Waterford in Irlanda ma stanziata a Dublino, artista dall’inafferrabile sensibilità e dall’animo dark.
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Il 6 gennaio 2021, in occasione della ricorrenza irlandese del Nollaig na mBan (tradotto come “Women’s Christmas”), le due artiste sono protagoniste di un evento audio/video trasmesso in streaming, a lume di candela, registrato in una suggestiva location a sud di Dublino.
Ad accompagnarle, due ulteriori illustri ospiti: Eleanor Myler, un terzo degli eccellenti Percolator in qualità di percussionista, e John ‘Spud’ Murphy, musicista nei Percolator insieme alla Myler, oltre che acclamato produttore (Lankum, black midi e caroline, giusto per citare i nomi più noti con cui ha lavorato).
Il quartetto così formato è autore di una vera e propria esperienza sensoriale a 360 gradi, della durata di circa un’ora: solide radici ben ancorate alla tradizione folk irlandese che smuovono il terreno estendendo i propri estremi alla sperimentazione, esplorandone gli anfratti più neri, accogliendo sonorità drone e doom, scrollando via la polvere da antiche ballate tramandate di generazione in generazione.A rendere ancor più interessante la percezione visiva accostata all’estasi sonora, il contributo di Vicky Langan e delle sue immagini surreali e disturbanti.
Il progetto, complici i numerosi consensi ricevuti, prende ufficialmente vita in CYRM (pronuncia “sy-rum”), un album di sei tracce registrate in studio.
Un disco che, ancor prima della sua pubblicazione ufficiale, detiene già un record importante: dopo 18 lunghi anni, gli ØXN sono infatti la prima band a firmare con la storica etichetta dublinese Claddagh Records, fondata da Garech Browne e Ivor Browne e con sede nella zona di Temple Bar.
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Se Radie Peat incanta e sconvolge nella sua interpretazione di Cruel Mother, il ruolo di protagonista passa a Katie Kim nel successivo brano, The Trees They Do Grow High, rivisitazione di un’altra celebre ballata di origine britannica.
Una voce eterea e fluttuante – in bilico fra Tori Amos, Zola Jesus e la nebulosa malinconia dei Low – si snoda delicatamente sulle note di un piano che sembra preso in prestito ad un languido Thom Yorke nell’era Amnesiac, in un’atmosfera sinistra e funerea e al tempo stesso di un’inedita dolcezza.
La coda strumentale, da brividi lungo la schiena, è indubbiamente uno dei momenti più emozionanti dell’intera opera. Il fruscio del vento che si può chiaramente percepire negli ultimi secondi del pezzo è una registrazione effettuata quasi casualmente durante una vera tempesta, nel gelido cuore di una giornata invernale a Dublino; l’effetto cinematografico è da pelle d’oca.
Ed è proprio l’attitudine da colonna sonora una delle peculiarità di CYRM, continuamente sospeso fra tensione e spiritualità, saturazione e vuoti cosmici.
Basti ascoltare l’angoscioso crescendo del singolo Love Henry, o l’ipnotica The Feast (unico brano originale dell’opera, frutto della prolifica penna di Katie Kim), per rievocare nella propria immaginazione le contorte visioni di David Lynch, gli universi distopici di David Cronenberg, un pizzico della realtà distorta di Charlie Kaufman e – last but not least – The Lighthouse, spettrale capolavoro in bianco e nero di Robert Eggers, con quel suo perenne, sottile ma diabolico rumore di sottofondo da far perdere la testa.
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L’epico gran finale è affidato a Farmer In The City, rivisitazione dell’omonimo brano di Scott Walker in una chiave ancor più oscura e mozzafiato che sicuramente non deluderà i fan di Michael Gira e dei suoi Swans. La voce di Katie Kim rimescola, mastica e trascina brandelli di testo su un maestoso tappeto drone, crescente e strabordante, in un’atmosfera apocalittica senza precedenti.
“It was the journey of a lifetime”: “era il viaggio della vita”, in omaggio al poema di Pier Paolo Pasolini scritto come addio a Ninetto Davoli, citando quelle che sono fra le ultime parole comprensibili, prima che soffitti e pareti collassino sotto il peso dell’interminabile, eccezionale, claustrofobica coda doom che stravolge ogni equilibrio e traccia gli ultimi segmenti di chiusura del cerchio.
Il viaggio della vita, un ciclo infinito, come nell’antico simbolo celtico della triquetra: vita, morte e rinascita che si intrecciano in una linea che non si spezza, racchiuse da una forma circolare, a simboleggiare continuità.
Una forma senza inizio né fine, che prosegue nel suo intento senza mai esaurirsi; così come la musica, per sopravvivere e non finire, necessita evoluzione, cambiamento, trasformazione, spirito di adattamento.
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CYRM è un monumento fatto di acciaio inossidabile, indistruttibile cristallo e impermeabile roccia; infrangibile ma non inflessibile, è costruito per resistere, forgiato e plasmato a dovere per resistere ad un tempo e ad uno spazio a cui non appartiene.
Nessuna pioggia irlandese potrà corroderlo, il vento non lo consumerà, le inconsistenti mode passeggere che gli transiteranno accanto non riusciranno a scalfirlo.
Esiste qui, ora, non dimora nel passato, tantomeno guarda con occhio indiscreto al futuro; è un momento estraneo ad ogni dimensione, che inganna ogni percezione e ci porta a domandarci se dovremmo essere lieti di averlo vissuto, o affranti perché risiede già nella memoria.
A noi, attoniti al cospetto di tanta bellezza racchiusa in una sola opera, resta solo un sommesso senso di nostalgia e una fortissima speranza che possa davvero durare per sempre.
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PS: Se gli ØXN vi hanno incuriosito, di seguito il link ad una playlist Spotify che include alcuni dei brani dell’album riarrangiati e reinterpretati da altri diversi artisti, oltre a due episodi a tema tratti dal podcast Fire Draw Near curato da Ian Lynch dei Lankum.
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Last modified: 6 Novembre 2023