Roberta Carrieri è tante cose. Simpatica, disponibile, alla mano, ma soprattutto una bravissima cantante e un’autrice divertita e divertente. La raggiungo via mail per un’intervista sul suo ultimo disco, Relazione complicata, ma anche sulle donne in musica, sul valore delle collaborazioni, sulle sue esperienze all’estero e sull’importanza delle proprie radici.
Partiamo dal nuovo disco, Relazione Complicata, uscito da pochissimo. So che è un concept, ce ne vuoi parlare?
Sì, è un concept che si muove intorno al tema delle “relazioni complicate”, idea che mi è venuta a seguito della lettura del libro della psicoterapeuta americana Robin Norwood che affronta la questione delle dipendenze affettive. Ho pensato: perché non provare a scrivere canzoni raccontando in modo ironico varie tipologie di relazione complicata? E sono venute fuori le canzoni di questo disco.
Per relazione complicata non intendo solo quella sentimentale tra uomo e donna, naturalmente. Bari Vecchia, per fare un esempio, parla della relazione complicata nei confronti della propria città… nel mio caso, Bari.
Com’è nato, e come si è sviluppato, Relazione Complicata? Ho letto che partecipano al disco i Rock’n’Roll Kamikazes e i Selton. Come sono nate queste collaborazioni e quanto hanno influito sul prodotto finale?
I Selton sono i “Pirati” de Il Valzer dei 3 giorni. Nutro una grande stima per loro sia come musicisti sia come persone, perché sono sempre solari e ben disposti, dote rara. Mi è piaciuto in questo disco sottolineare l’incontro tra maschile e femminile utilizzando interventi di voci maschili disseminati qua e là… oltre ai Selton, infatti, ci sono anche altre voci maschili, tra cui Aldebran dei Bloody Mary e Andy Macfarlane dei Rock’n’Roll Kamikazes. Con loro ho voluto sperimentare un incontro musicale atipico, visto che io vengo dal folk e e queste canzoni erano, per scrittura, abbastanza pop (nel senso dei ritornelli facili). Volevo vedere cosa sarebbe successo suonandole con un gruppo rock’n’roll/rockabilly e quello che ne è venuto fuori è questo suono un po’ western, surfeggiante a tratti, “Paris, Texas”. Quindi devo dire che sono più che soddisfatta dell’esperimento.
Quanto conta l’elemento femminile nelle tue canzoni? Più in generale: credi che “la donna in musica” sia in qualche modo “condannata” a cantare della propria (o altrui) femminilità, a farci sempre, e comunque, i conti? Secondo te questo è un valore o un limite, o entrambi?
Questa domanda la trovo molto interessante… la donna a mio parere non canta la propria femminilità, né è condannata a farlo… è semplicemente, naturalmente e inevitabilmente quello che è, cioè donna. Quindi non deve farci i conti, non è un valore e non è un limite. È quello che è.
Hai mai fatto la stessa domanda a un uomo? Anche gli uomini cantano inevitabilmente quello che sono come persone, portandosi dietro inevitabilmente la loro mascolinità. (Lo stesso vale per tutte le altre sfumature di identità sessuale naturalmente). Nessuno però se ne pone mai la questione… prova a chiedere agli Zen Circus se si sentono condannati a cantare la loro mascolinità! O agli Afterhours… o a Capossela… Il limite vero, nella realtà dei fatti, è che in Italia le autrici, rispetto agli autori, sono ben più rare, ed è per questo che ci viene da fare questo tipo di domande… bisognerebbe che ce ne fossero di più! Ma vedrai che pian pianino succederà.
Ti seguo abbastanza, e vedo che suoni spesso all’estero (da sola, ma anche “ben accompagnata”, con Voltarelli, ad esempio). In passato hai anche fatto tournée negli States e altrove. Com’è suonare musica italiana per il mondo? Come vengono recepite le tue canzoni nei Paesi in cui sei stata? C’è qualche episodio particolare che ti ha colpito?
Accompagnata benissimo direi! Peppe è un mio grande amico e dividere il palco con lui è veramente uno spasso. Qualche giorno fa siamo stati insieme a suonare a Bruxelles e quest’estate abbiamo condiviso l’intensissima esperienza del Festival di Avignone con anche Gabriella Grasso. L’esperienza all’estero è cominciata per me con i Fiamma Fumana con i quali ho avuto la possibilità di girare in lungo e in largo per Stati Uniti, Canada e Nord Europa. Devo ammettere che la cosa è molto gratificante, soprattutto perché all’estero ho sempre cantato in italiano (le mie canzoni) o addirittura in dialetto, con i Fiamma Fumana. Il pubblico apprezza proprio questo, la nostra identità culturale, e comunque rispetto all’Italia è un pubblico un po’ più curioso rispetto alle novità e alla musica, probabilmente perché meno succube della televisione… un episodio particolare che mi ha colpito è stato quando in America, e precisamente quando ho aperto per Rita Coolidge all’auditorium della Riserva Navajo a Shiprock, N.M., mi volevano pagare i cd più del loro prezzo, insistendo e dicendo che valevano di più!
Ho visto che su Youtube, nella descrizione del teaser inglese del tuo ultimo disco, viene specificata la tua provenienza pugliese. Che rapporto hai con le tue radici, dalla Puglia, al Sud, all’Italia intera? Come accennavi prima, hai anche cantato nei Fiamma Fiumana, uno dei più importanti gruppi di “italian world music”. Quanto conta, nella tua esperienza, la musica popolare?
Sono stata appassionata di musica popolare per anni, poi la mia attenzione musicale si è spostata verso altri lidi, conservando naturalmente quell’imprinting. Sono del Sud e orgogliosa di esserlo, anche se mi è piaciuto assorbire le cose belle dei posti che ho incontrato. Una certa attitudine mediterranea, soprattutto nei rapporti con gli altri, la porto e la porterò sempre con me, cercando di non dimenticarla mai. Un po’ come il mare. La canzone Bari Vecchia contenuta in Relazione Complicata parla proprio di questo, e della relazione conflittuale che si può avere con la città nella quale si è nati e cresciuti, e dalla quale poi, per un motivo o per l’altro, si è dovuti andar via, portando però sempre dentro di sé quel mare a cui si è stati abituati da quando si è nati.
So che vieni dal teatro, e in generale da esperienze attoriali, e che occasionalmente questa tua passione riaffiora (ti ricordo nel ruolo di ballerina indemoniata nel video – molto bello – di Farà Cadere Lei de Il Pan Del Diavolo). Quanto ti porti dentro di queste esperienze, sul palco e nel tuo modo di scrivere?
Quando lavoravo al Teatro Kismet a Bari avevo imparato (grazie agli insegnamenti della mia maestra Teresa Ludovico) a pensare per immagini o azioni più che per parole: se con i Quarta Parete questo si traduceva concretamente in azioni o immagini in uno spettacolo a metà strada fra la musica e il teatro in cui i due frontmen cantanti si muovevano come in un “videoclip dal vivo”, ora che vado in giro a suonare accompagnandomi con la chitarra e ho le mani occupate (!), ho spostato questa attitudine nei testi e nell’interazione col pubblico… in quest’ultimo disco un po’ di teatralità la si può ritrovare anche nel lavoro fotografico del booklet, opera del fotografo (nonché amico) Stefano Ruzzante. Del video de Il Pan del Diavolo conservo un ricordo molto forte… sono tornata a casa con le gambe completamente scorticate ma contenta perché era stata una danza liberatoria (un po’ come la pizzica tarantata).
Per finire, mi accorgo, facendoti tutte queste domande, che collabori tantissimo con altri artisti (se dovessi fare un elenco ci metterei due giorni). Quanto credi sia importante fare “rete”, nel mondo musicale italiano? Credi sia fondamentale per la crescita di un artista, o pensi sia spesso solo un modo per farsi più pubblicità possibile (senza esserci, in questo, necessariamente qualcosa di male)? Nella tua storia personale, quanto ti ha aiutato come artista e come persona? Sono state occasioni casuali o progettate?
Fare rete è importantissimo, soprattutto se si tratta di persone con le quali si condividono intenti e immaginari. Facendo rete si cresce insieme nello scambio di vedute, esperienze e abilità peculiari messe in condivisione. Non penso sia un fatto di pubblicità, io personalmente credo che non potrei condividere il mio tempo e la mia energia vitale con qualcuno che non stimo e che non mi stimoli, solo per farmi pubblicità. Sarei infelice se lo facessi. Certo la collaborazione con Van de Sfroos mi ha dato molta visibilità, ma se alla base non ci fosse stata la simpatia musicale (e personale) e la curiosità reciproca, la cosa non sarebbe avvenuta sicuramente, o comunque non sarebbe durata quanto è durata. Le collaborazioni in generale mi hanno aiutata nel senso che mi hanno dato la possibilità di imparare da chi ne sapeva più di me (o anche semplicemente in maniera diversa da me) e di arricchirmi della sua esperienza, sia dal punto di vista artistico che personale, come, giustamente, dici tu. Questo è successo anche quando nella collaborazione ricoprivo io il ruolo di quella più “brava” o più “conosciuta”, perché è nell’incontro che ci si arricchisce ed è reciproco. Poi secondo me è necessario sempre essere aperti e umili, altrimenti l’incontro non avviene. Quindi, insomma, concludendo, le collaborazioni che mi è capitato di avere non sono mai state progettate, ma per usare una parola importante… sono forse stati “incontri karmici”.
Relazione Complicata è disponibile su iTunes qui.
Intervista Relazione Complicata Roberta Carrieri
Last modified: 11 Marzo 2013