Qualche settimana fa ho recensito il disco delle Roipnol Witch, qui. Il mio giudizio non è stato particolarmente positivo sul piano prettamente artistico, ma, come si suol dire, de gustibus.
E credo che questo sia un tacito accordo tra chi propone il proprio lavoro discografico per farsi giudicare, chi scrive e chi legge.
Dal mero pretesto della recensione, poi, ho tratto occasione per riflettere sul fatto che, ad oggi, ancora, si parli di band al femmine, di ragazzacce del Rock, di stereotipi, insomma, che parlando più di gender che di genere musicale. Spesso oltretutto più da parte “nostra”, della stampa, dei media o di chi deve fare promozione, piuttosto che dai diretti interessati.
Inutile dire che nell’epoca possibilista del digitale, sono stata subito intercettata da Giulia Guandalini delle Roipnol Witch. E che mi aspettavo di venire insultata.
Non solo questo non è successo, ma è nato un bel dibattito costruttivo, partito semplicemente dall’ammettere di avere opinioni diverse sul ruolo della donna e il modo di comunicare la propria identità sessuale e sociale. Da difendere, preservare, tutelare, osannare, sempre, per Giulia. Per me uno status da considerare come tale (“Com’è essere donna in una band?” “Non lo so, com’è essere una donna che mangia un panino?”, per citare una recente intervista alle Savages). Con questo non voglio dire che non ci sia bisogno, ancora oggi, di difendere la donna in quanto tale – specie visto che le cronache sono ancora piene di fatti tristissimi di violenze proprio sulle donne – ma mi piace credere che ci siano ambiti nei quali si può fare a meno di doversi identificare attraverso il sesso.
Nell’ “analizzare” le Roipnol Witch– musiciste, con i loro testi in rima, i capelli colorati e le gonne corte, non ho considerato (e come potevo? Del resto non è neppure quello che mi viene richiesto di fare quando devo giudicare un disco!) il loro essere semplicemente coerenti (e fiere) con ciò che mostrano suonando e, ben più importante, crederci tanto da aver creato un movimento – che ho già menzionato, Rock With Mascara – che mette in rete le realtà musicali femminili presenti sul territorio, in uno spirito femminista che può essere ritenuto anacronistico, ma che comunque restituisce a queste ragazze uno spessore che davvero io non avevo colto.
Per questo, abbiamo deciso che un’intervista sarebbe stata una buona idea per poter parlare di donne in musica, anche laddove il gusto e gli ascolti pregressi mi hanno fatto esprimere un parere non positivo sulla creazione artistica.
Nel nostro “dibattito” in chat, mi hai detto di aver espresso giudizi come un “maschio”. Come giudica, secondo te, un “maschio” una produzione come quella delle Roipnol Witch?
Non c’è ovviamente un giudizio univoco da parte maschile sulla mia band. Nel corso degli anni abbiamo trovato tanti ragazzi che ci hanno sostenuto, a partire dalla nostra etichetta Maciste Dischi. Devo dire però che spesso le critiche che arrivano dall’emisfero maschile sono quelle di chi non apprezza l’orgoglio femminile/femminista che ci contraddistingue e che altrettanto spesso viene messo in difficoltà dalla nostra “estrosità” nei colori e nel look. In un certo senso è come se per forza le due cose non potessero coesistere. Ragazza semplice nel look, un po’ menefreghista sull’aspetto = cantautrice seria, ragazza appariscente = Spice Girls che dovrebbe pensare a studiare musica invece che tingersi i capelli….questo estremizzando ovviamente.
Nel panorama musicale nostrano (ma direi anche internazionale), credi che ci siano dei preconcetti di fondo sulle band tutte al femminile? Quanto ci gioca la band stessa? Intendo, per esempio: voi avete un batterista maschio, eppure il gioco-forza promozionale delle Roipnol Witch si incentra tutto sul trio di donne che ci sono in formazione. Non è una scelta che strizza l’occhio a un mercato disciminatorio – se vogliamo, laddove la discriminazione è proprio il primo componente che condannate?
Ecco vedi questo è il tipo caso di messaggio distorto. Colpa nostra probabilmente che forse in più di 15 anni di attività non abbiamo lasciato il segno o di chi si basa sull’ultimo post di Facebook. Se si va a ritroso nelle foto (e nei video continua a esserci) il nostro batterista c’è sempre stato. Caso vuole che per motivi di lavoro e determinata data e il batterista non quel giorno non è riuscito a partecipare all’ultimo minuto.
Tornando alla domanda su Italia vs Estero bisogna dire che la situazione è diversa. Nei paesi anglosassoni hanno attraversato prima questo problema socio-culturale. Donne come Patti Smith, Kathleen Hanna hanno aperto la strada e ora non c’è quasi più bisogno di lottare per imporre “le quote rosa “ nella musica (ho detto quasi). In Italia siamo più indietro, forse stiamo vivendo adesso i primi risultati di sbattimenti e lotte fatte negli anni scorsi, ma c’è ancora tanto da fare. Ora le cantautrici hanno raggiunto il rispetto (vedi Levante, Maria Antonietta, Una ecc…) speriamo si arrivi a vedere come normalità anche una band composta da donne e non come fenomeno da baraccone…ecco quello sarà il momento della svolta…quello dove non servirà nemmeno più un progetto tipo Rock With Mascara.
Ci siamo trovate molto d’accordo sull’importanza di Carrie Brownstein per le nostre rispettive formazioni musicali e individuali. Chi identificheresti come modello femminile attuale?
Carrie è una dimostrazione di come gli States siano più avanti nella tabella di marcia. In Italia chi potrebbe essere una sua corrispondente? Avrei mille nomi adatti da citare tra colleghe musiciste, djs, giornaliste, che hanno sicuramente fatto la differenza n questi anni.(Una la devo citare però Jessica Dainese autrice del libro “Le ragazze del rock”). La differenza in Italia è che a questi modelli non verrà mai affidata la conduzione di un programma televisivo come è successo oltre oceano. Forse Serena Dandini ha fatto qualcosa di simile per le donne nel campo della tv della comicità, ma nella musica le donne più potenti chi sono? Esempio: Beyoncé sta a Laura Pausini come Carrie Brownstein sta a….E questo non significa che non ci siano le candidate giuste, ma in Italia non ti danno lo spazio manco per arrivare a un livello medio..o sei popolare-mainstream o sei Indie e rimane una nicchia per pochi e non parlo più di musica.
Parliamo di Rock With Mascara, che ho riconosciuto da subito come un progetto di grande valore, prima di tutto musicale, poi sociale. Perché avete sentito l’esigenza di creare un movimento di questo tipo? Come funziona?
Come dicevo prima quando non ci saranno più discriminazioni, quando l’essere una donna che suona insieme ad altre ragazze non sarà più visto come una cosa più unica che rara allora non ci sarà più bisogno di RWM. È come la festa delle donne. C’è chi dice che sia anacronistica, io non ne sarei così sicura. Poi fare squadra non significa per forza dover lottare contro un avversario; può voler dire anche condividere, scambiare conoscenze, esperienze. Se nel 2005 è nato questo progetto per dare spazio ad una scena fino a quel momento sacrificata, magari a distanza di più di 10 anni notiamo dei passi in avanti ma ci va di continuare comunque a stare unite anche al di la della musica. RWM agglomera band e musiciste donne in tutta Italia. Non è una booking ma all’inizio ci si scambiava date ed così che alcune di noi sono andate a suonare agli estremi opposti della penisola. Poi è diventato anche un mezzo per fare politica sociale attiva. Si sono creati eventi benefit a sostegno dei centri antiviolenza, in collaborazione con le UDI, con le commissioni Pari opportunità di svariate città. È nato persino uno spettacolo teatrale e dei programmi radio.
Come funziona? Semplicemente sbattendosi, cercando di organizzare serate in giro e chiamando le altre band a parteciparvi.
Insomma, tutto un altro spessore rispetto a quello che lasciavano trasparire i brani scanzonati pieni di rime, e un punto di vista che, concordi o no, si deve riconoscere essere ben argomentato e sostenuto da tanta vivace passione.
Un grande in bocca al lupo, da donna a donna.
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Last modified: 21 Febbraio 2019