Recap vagamente ragionato delle canzoni in gara quest’anno.
Inizio ad avere un’età per cui non ho più tempo da dedicare alle cose che non mi va di fare. Mettici pure che da mesi ormai ho necessariamente adeguato i miei ritmi fisiologici alle prescrizioni dei DPCM e alle ore 22 finisco già per avere un occhio chiuso e l’altro quasi.
Insomma, quest’anno non riesco proprio ad adeguarmi ai tempi estenuanti delle serate del Festival di Sanremo. Da tempo le canzoni sono ridotte a fugaci parentesi del mesto show messo in piedi da Amadeus e dai malcapitati ospiti di turno, ma stavolta il tutto è condito non solo – com’era ampiamente prevedibile – dalla retorica trita e ritrita sul Covid, ma pure da una malcelata smania del conduttore di resettare tutte le polemiche della scorsa edizione sui ruoli assegnati alle presenze femminili.
Insomma, per ascoltare tutte le canzoni in gara ho dovuto spararmi l’intera playlist Spotify (la trovate in fondo a questo articolo), che a titolo informativo dura quanto un giro sul raccordo anulare alle 8 di mattina. Proprio intera magari no, perché alcuni brani li ho bellamente skippati – sempre per il discorso di cui sopra, ché anche se sono impegnata a girare come un condor intorno a Roma non mi va di farlo ascoltando musica di merda o presuntamente tale.
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Partiamo quindi dall’elenco di quelli che non ho ascoltato, per motivi vari ma tutti fondamentalmente riconducibili a un sempre valido “perché sì”: Irama, Måneskin (non subito, giuro che ci ho provato), Fasma (ma chi sei?) Annalisa, Gaia (ma Gaia chi? Ma a voi femmine non ve lo mettono più il cognome?), Willie Peyote e ovviamente Ermal Meta.
In fin dei conti, decisamente pochi. Ho più pazienza di quella che ricordavo di avere.
In un impeto di masochismo il brano di Random me lo sono ascoltato tutto ma mi raccomando, fate attenzione se provate a rifarlo anche voi da casa, perché quelli di Spotify dopo di lui ci hanno messo Gio Evan e dopo ancora Noemi, e messi in quest’ordine si trasformano in una creatura a tre teste che vi perseguiterà nel sonno.
La canzone de Lo Stato Sociale volevo skipparla a prescindere ma con estrema onestà intellettuale confesso di averla ascoltata fino alla fine senza traumi. Con la medesima spocchia avrei voluto skippare il pezzo che Gigi D’Alessio ha scritto per Arisa ma è finita che me lo sono sentito tutto, e pure con un certo trasporto.
In generale tutti i brani che avevo già ascoltato in diretta sono sembrati più belli rispetto alla versione live, quindi mi sa che dopo un anno senza concerti alcuni non sono più in grado di cantare dal vivo – ah no, sono quelli che non lo sapevano fare manco prima. Da questo punto di vista vince Orietta Berti a mani basse: sontuosa, glitterata, zero stecche, quattro vallette, due capesante sulle tette e il gioco è fatto.
A volte ho ascoltato “al buio”, senza leggere il nome dell’artista, e infatti sono successe cose del tipo che Fulminacci credevo fosse Dimartino, Colapesce e Dimartino credevo fossero Max Gazzè, menomale che Max Gazzè sembra sempre Max Gazzè così quando è arrivato il suo turno ho capito pure chi erano quelli di prima.
A distanza di due anni ascolto ancora Rose Viola a ripetizione, per cui stavolta Ghemon è troppo preso bene per i miei gusti. I Coma_Cose sono carucci da morire ma estremamente sanremizzati per l’occasione. Travolgenti gli Extraliscio con Davide Toffolo, se l’altra sera avessi fatto in tempo a sentirli sarei durata altre due ore sveglia davanti alla TV.
In generale direi che un’ora e cinquantasette minuti di canzoni che parlano d’amore non sono una passeggiata, anche se ormai la tendenza è scrivere canzoni d’amore e appiccicarci un ritmo danzereccio per renderle più digeribili (?). Francesco Renga prova ad applicare la formuletta ma il risultato è persino più urticante del solito. Francy, non te la prendere ma è una roba da specialisti, per gente tipo Mahmood: il pezzo che ha scritto per Fedez e Francesca Michielin l’ho riascoltato due volte (e la seconda lo avevo già imparato a memoria) dimenandomi nei limiti di quanto sia possibile dimenarsi sul sedile di un auto nel traffico e gasandomi per aver scoperto che arrivo all’acuto del ritornello (“perso le parole-e-eee”): non so se vinceranno il festival ma so per certo che sarà la canzone che canterò sotto la doccia fino alla fine di marzo.
Oltre a Chiamami per nome, i brani meritevoli di attenzione li hanno portati quelli che l’attenzione la stanno avendo per le ragioni meno attinenti alla musica: Veronica Lucchesi de La Rappresentante di Lista, incitata a depilarsi, e Madame, che non solo non riesce a decidere se le piacciono di più i maschietti o le femminucce ma va pure in giro scalza.
Ultima parte della playlist dedicata alle nuove proposte, ma nessun salto dalla sedia (sono abbastanza vecchia per poter pretendere che i “giovani” facciano cose stupefacenti, o che almeno ci provino). Tutti più o meno con lo sguardo rivolto alle gesta di colleghi stranieri, ma in quest’ottica tra gli otto in gara mi pare che solo il brano di Elena Faggi centri il bersaglio (e pensa un po’, l’hanno già eliminata).
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Ok, fatemi sapere come va a finire, ché anche sabato andrò a dormire troppo presto per poterlo scoprire da sola.
Sempre in tema Sanremo, vi ricordo questo articoletto qui.
E ora vorrei veder tornare pure tutti gli altri festival.
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Last modified: 2 Aprile 2021