Una cavalcata dentro la scena musicale scozzese dagli anni ’80 fino ai giorni nostri. E tante curiosità e racconti di un broadcaster di BBC Radio…
(a cura di Dario Damico e Claudia Viggiano)
Due settimane fa abbiamo intervistato Vic Galloway, broadcaster per BBC Radio, DJ, musicista e autore di libri. Con lui, profondo conoscitore della scena musicale scozzese, abbiamo fatto un excursus storico tramite alcuni momenti e personaggi chiave, a partire dagli anni ‘80 fino ad arrivare ai più recenti talenti Made in Scotland che si esibiranno al SXSW di Austin, dove lo stesso Vic sta presenziando in questi giorni. In più, gli abbiamo chiesto qualcosa sulla sua carriera e sul suo lavoro.
Dario: Negli anni ’80 la Scozia aveva un’importante scena pop alternativa se pensiamo a band come Simple Minds, The Associates, Altered Images, ecc. Perché secondo te un gran numero di band alt-pop si sono concentrate in Scozia in quegli anni?
Negli anni ‘80 ci fu un’esplosione della musica pop underground in Scozia e credo sia stato a causa del punk. Il punk ha davvero aperto le porte ad ognuno nel mondo e ha incoraggiato la gente ad avviare le proprie etichette DIY, a mettere in commercio i propri dischi e a fare da soli. La Scozia era lontana da Londra, lontana dall’epicentro dell’industria musicale, ma fu ispirata dalla mentalità DIY del punk.
A Edimburgo ci fu inizialmente un’etichetta di nome Fast Product gestita da un uomo di nome Bob Last; loro misero su alcuni dischi incredibili tra i quali Gang of Four, Human League, Dead Kennedys e la prima band chiave scozzese che si chiamava Scars. A Glasgow invece c’era un’etichetta di nome Postcard Records, gestita da Alan Horne. Erano in pratica delle vere etichette indipendenti, gente indipendente che faceva musica indipendente. La stampa londinese prestò attenzione a loro e realizzò che ciò non stava accadendo solamente a Londra.
Ecco, dopo che il punk esplose e ispirò la gente a fare in proprio, alcune band furono influenzate da gruppi come Roxy Music, da Bowie e da tutto quello che invece era proto-punk. E poi ovviamente il sintetizzatore diventò meno costoso, più piccolo e più facile da usare. Quindi, se prendi la mentalità punk e la combini con diverse influenze musicali, inizi ad avere quello che ora si chiama post-punk.
In termini di stile musicale poi, molto era anti-macho; se guardi gli Altered Images, erano piuttosto leziosi e leggeri. Anche i Simple Minds guardavano ai Kraftwerk e non al blues rock o agli AC/DC o ai Rolling Stones. La Scozia negli anni ’70 e nei primi anni ’80 era un posto difficile, c’erano molte risse nelle strade e alle partite di calcio e molta povertà. Penso che a volte la scena musicale indipendente si sia rivoltata contro questo, e si sia opposta al rock, al machismo, all’aggressività diventando quasi fonte di ispirazione.
D.: Se parliamo più specificamente di synth pop, abbiamo i Bronski Beat. The Age of Consent è stato un album rivoluzionario per i suoi temi legati all’omosessualità.
Adesso parliamo tutti di cultura queer. I Bronski Beat lo fecero già all’inizio degli anni ’80. L’omosessualità fu resa legale alla fine degli anni ‘60 nel Regno Unito ma questo era ancora un argomento atipico di cui parlare. È stato molto coraggioso e lungimirante da parte di Jimmy Somerville (l’unico scozzese della band) e dei Bronski Beat.
E di nuovo, credo che il punk abbia molto a che fare con questo; ha aiutato le persone di colore, le donne, le persone queer e gay ad alzarsi e farsi riconoscere. Il punk voleva difendere i perdenti, coloro che in un certo senso non erano considerati parte della società. Ecco, ci sono state diverse ondate di questo fenomeno: gli hippies negli anni ’60, il punk e il post-punk e poi alla fine degli anni ’80 l’acid house e la cultura rave. La controcultura ha aiutato gli strambi, i freak e gli outsider. La musica alternativa è sempre stata una casa per pensatori alternativi.
D.: In che modo i CHVRCHES collegano la loro attitudine pop moderna con quella tradizione pop?
Ricordo di averli visti al loro primo o secondo concerto, eravamo circa una decina di persone; adesso sono un grande band di dimensione mondiale. Li ho avuti nelle session del mio programma radiofonico su BBC per due volte e adesso non credo ne abbiano più bisogno [ride, N.d.R.].
Credo che i CHVRCHES siano connessi con alcune delle band scozzesi dei primi anni ‘80 che abbiamo menzionato prima. Loro usano i sintetizzatori come i Simple Minds, gli Associates e i Bronski Beat; puoi sentire definitivamente quell’influenza degli anni ‘80. Penso anche che, anche se i CHVRCHES sono una vera e propria pop band, ne prendano anche quell’attitudine leggermente attivista. Lauren Mayberry è molto esplicita sui social media sui diritti delle donne e sull’uso sbagliato di Internet da parte di persone misogine, quindi la connessione non è solo musicale.
D.: A metà degli anni ‘80 entrò in scena uno scozzese destinato a cambiare tutta la musica che venne dopo di lui: Alan McGee. Ecco, in che modo Alan McGee è stato un personaggio di svolta nella storia della musica e nell’industria musicale?
Alan McGee è un personaggio estremamente importante e un grande appassionato di musica. Quando diventò un manager si ispirò personalmente a Malcolm McLaren, ai Sex Pistols e a quell’esplosione punk.
Guarda il nome della sua etichetta discografica: Creation. Prende il nome dai The Creation, una band degli anni ’60, quindi direi che è stato ispirato anche dal rock’n roll e dalla psichedelia degli anni ’60.
In un’epoca in cui i sintetizzatori e la musica pop degli anni ’80 erano ovunque, Alan McGee ha contribuito a reinventare il rock’n’roll e le chitarre.
Tutte le band che ha sostenuto con la Creation – come Primal Scream, Jesus and Mary Chain, Teenage Fanclub, BMX Bandits, 18 Wheeler per parlare degli scozzesi, ma anche quelli non scozzesi come Swervedriver, Ride, My Bloody Valentine, Super Furry Animals e naturalmente Oasis – erano tutti gruppi dalle chitarre rumorose. Alcuni di loro incorporarono un po’ di musica dance in seguito, ma all’inizio della Creation si trattava quasi di una riscoperta del rock’n’roll psichedelico con l’attitudine punk. C’erano molte grandi band ma il boom definitivo fu con gli Oasis: hanno incoraggiato i ragazzini a riprendere in mano le chitarre e a scrivere di nuovo canzoni.
Quindi Alan McGee era moderno e lungimirante, ma guardava anche indietro alla musica rock’n’roll retrò e credo lo faccia ancora; se ascolti le band che gestisce ora, sono ancora band rumorose. Alan McGee è decisamente un innamorato del rock’n roll, del punk rock e della psichedelia. Li ha portati scalciando e urlando nel mainstream.
D.: Parlando di una band prodotta da Alan McGee, ovvero i Primal Scream: perché Screamadelica è stato un album così iconico che ha portato gli anni ’80 nel cuore degli anni ’90?
Come i bravi artisti sono soliti fare, alcune band cominciarono a cercare nuova ispirazione e cose differenti. Alla fine degli anni ’80 ci fu l’esplosione dell’acid house. Un sacco di gente iniziò a guardare alla club culture e ai rave, compresi alcuni membri di gruppi. Screamadelica fu un successo perché i Primal Scream collaborarono con le persone giuste che erano al cuore di quella scena: Andrew Weatherall, un grandissimo DJ, e Alex Paterson dei The Orb.
Ha anche qualcosa a che fare con le droghe. A quel punto la nuova droga era l’MDMA e questa influenzò anche la musica: i club acid house a quel tempo erano eccitanti, specialmente se assumevi droga. Quindi, se suonavi in un gruppo rock e trovavi divertente andare in un club, iniziavi inevitabilmente a incorporare i suoni da club nella tua musica. Alcuni gruppi riuscirono in questo, come gli Happy Mondays, gli Stone Roses, i Soup Dragons con la loro cover di I’m Free dei Rolling Stones e i My Bloody Valentine in Soon. La più grande mescolanza però fu Screamadelica: aveva dub, house, alcuni beat hip-hop, il rock’n’roll psichedelico e il gospel tutti sotto lo stesso tetto. Ha fatto apprezzare la musica dance ai ragazzi indie, e il rock’n’roll ai ragazzi a cui piaceva andare a ballare.
Claudia: Recentemente ho letto l’autobiografia di Stuart Braithwaite, in cui racconta della scena musicale in cui sono nati e si sono formati i Mogwai, dei concerti e delle band che hanno creato e influenzato quella scena. Ne traspare un’atmosfera in cui stava nascendo qualcosa di importante e significativo. Com’è stato farne parte?
Non ho ancora letto il libro ma conosco bene Stuart ed è da quando ho iniziato a lavorare che passo i Mogwai in radio. Il mio primo concerto fu nel 1985, e in quel periodo vidi Nirvana, Smashing Pumpkins, Ride, Fugazi e molti altri dal vivo. Ora mi guardo indietro e penso a quanto sia stato entusiasmante come periodo, ma in quel momento eravamo completamente immersi nel presente e tutta la musica che riuscivamo a vedere dal vivo ci entusiasmava.
Personalmente sono figlio del post-punk e del grunge ma in quel periodo sono anche riuscito a vedere le band che sono venute prima, come i Damned o Joe Strummer, oltre a un po’ di hardcore americano e ovviamente band indie scozzesi come i Teenage Fanclub, i Vaselines o i BMX Bandits.
Tutti questi artisti sono stati fonte d’ispirazione per le band di quel periodo – dai Mogwai ai Delgados e agli Urusei Yatsura fino ai Belle and Sebastian e ai Franz Ferdinand. Io vivevo a Edimburgo, dove loro venivano a suonare al Cas Rock, e noi andavamo al 13th Note a Glasgow, dove Alex Kapranos lavorava come promoter. Ogni città o paese alla fine ha la sua versione del 13th Note – il classico locale piccolo, malmesso e a volte puzzolente ma perfetto per suonarci o farci suonare i tuoi amici.
Se 25-30 anni fa mi avessero chiesto se pensavo che i Mogwai sarebbero diventati una delle band indie più famose, probabilmente avrei detto “eh, non lo so!” e loro avrebbero detto la stessa cosa. Ovviamente ne sono felice. Come nel caso di altre scene musicali come Seattle o Manchester, l’atmosfera era quella DIY e indipendente, influenzata da Fast Product, dalla mentalità grunge e dall’attitudine punk. Non volevano farsi chiamare ‘britpop’ da una qualche rivista londinese, ma volevano farsi da soli.
Avevano tutti grande talento ma sono stati anche fortunati perché frutto di quella scena. All’interno della scena c’era molto fermento ma nessuno sapeva cosa/chi avrebbe fatto carriera. In realtà quella non era nemmeno la prerogativa: la cosa più importante era fare musica per piacere e per far divertire gli amici, e poi forse incidere un disco, e poi forse farsi passare in radio da John Peel e così via… E da lì c’è chi ne ha fatto una carriera e uno stile di vita, influenzando nuovi artisti in tutto il mondo. È stato un gran periodo e Glasgow era il fulcro di questa scena.
C.: Avevi anche tu una band in quel periodo?
Ne avevo tante! Non riuscimmo mai a sfondare nella scena di Glasgow perché eravamo di Edimburgo, e nonostante le chitarre noise avevamo un sound un po’ diverso – mentre loro erano influenzati dai Sonic Youth, noi eravamo più spigolosi, di scuola Minutemen. Una delle band si chiamava Miracle Head e un’altra, con King Creosote, Khartoum Heroes. Facemmo qualche tour e riuscimmo anche a farci passare in radio da John Peel, ma eravamo un po’ gli outsider in quella scena.
C.: Avendo vissuto in Scozia, penso che ci sia qualcosa di unico e speciale in un certo tipo di musica scozzese che viene proprio dal suo essere scozzese, e non sarebbe potuta nascere altrove (parlo per esempio di Frightened Rabbit, Twilight Sad e Arab Strap). In una vecchia intervista dicevi una cosa simile, cioè che alcune band sono influenzate dalla geografia e dall’atmosfera scozzese. Lo pensi ancora? E cos’altro le rende tali?
Sì! Infatti i Frightened Rabbit hanno proprio una canzone sulla tristezza scozzese, mentre i Twilight Sad ce l’hanno nel nome… La Scozia ha un contesto unico: un posto remoto al nord dell’Europa, piove sempre, fa freddo e, nonostante le cose stiano migliorando, è ancora un paese principalmente povero, di operai, e al di fuori del centro di Edimburgo e Glasgow è pieno di zone industriali brutte e con un alto tasso di disoccupazione. In un tale contesto è normale abbandonarsi alla malinconia, alla solitudine e alla depressione, ed è ovvio che la musica che ne viene fuori ne sia piena.
D’altro canto la Scozia ha anche creato molta musica allegra, come dicevamo prima – Primal Scream, Altered Images, Orange Juice, Simple Minds, Franz Ferdinand, CHVRCHES, fino ad arrivare a pop star come Calvin Harris e Lewis Capaldi. Però è vero che c’è una parte della musica alternativa che è influenzata dal freddo, dalla pioggia e dall’architettura scozzese. Chi ha un’indole più malinconica ne è automaticamente attratto, e un po’ mi sorprende che musica di questo tipo abbia avuto successo a livello globale. Ho presentato Frightened Rabbit, Twilight Sad e We Were Promised Jetpacks al SXSW e ho visto coi miei occhi il pubblico americano innamorarsi della depressing Scottish music! Poi se pensiamo anche a Jesus and Mary Chain e Teenage Fanclub, anche lì c’è una certa malinconia: scorre nelle vene e nella pioggia.
C.: Per me questa depressing Scottish music ha anche un tratto molto particolare: non prendersi mai troppo sul serio nonostante la malinconia. Lo noto per esempio in molti testi dei Frightened Rabbit, dove spesso una confessione estremamente deprimente è subito seguita da un verso (tragi)comico o autoironico.
Sì, e questa è un’altra caratteristica degli scozzesi: il senso dell’umorismo! Riusciamo a fare ironia sulle cose più tragiche, e più sono orribili più fanno ridere. È una particolarità che hanno anche alcuni comici come Billy Connolly. Quando la vita non ti regala altro che tragedia e povertà puoi piangerti addosso o farti due risate, e spesso finisci a fare entrambe le cose. Gli Arab Strap questa cosa la fanno meglio di tutti: tragici come la morte e divertenti come poco altro! Concordo sul fatto che sia un tratto specifico degli scozzesi, e penso che gli irlandesi e gli scandinavi siano simili a noi in questo senso. Sono le due cose che gli scozzesi sanno fare meglio: deprimersi e ridere.
C. : E bere!
Quella è la terza! E bere si accompagna bene sia con la depressione che con le risate. Praticamente è tutto quel che puoi fare quando vivi in Scozia: ridere, piangere, bere. E andare ai concerti!
D.: La prossima settimana andrai all’SXSW a Austin. Ci sono diversi nuovi artisti scozzesi che suonano e vogliamo sentirne parlare. Puoi presentarli rapidamente?
Sette artisti saranno ospitati al SXSW nello showcase messo in scena da Wide Days. Poi ci saranno altri sei che si esibiranno durante il festival per un totale di tredici acts scozzesi, una buona rappresentazione.
Abbiamo Fergus McCreadie, pianista jazz che ha vinto il premio “Scottish Album of the Year 2022”. I Poster Paints, band indie-pop ispirata agli anni ’60 e allo shoegaze. Brooke Combe, cantante soul di Edimburgo che ha firmato con una major, sta andando alla grande.
Gli Elephant Sessions sono più una band tradizionale che parte dalla musica tradizionale scozzese trasformandola in qualcosa di moderno. I Dead Pony di Glasgow, grande live band con una lead singer, Anna, che è semplicemente fantastica sul palco; hanno canzoni che suonano come classici del rock. I VLURE, direi post-punk misto a musica dance elettronica, grandi sintetizzatori ma anche un frontman che si fa sentire e chitarre rumorose.
I Redolent, li ho avuti in sessione nel mio show su BCC; combinano tecnologia e chitarre in un nuovo suono brillante, come i Radiohead in Kid-A ; sono curati dalla Post Electric di Rod Jones, che ha nel roster anche Hamish Hawk e Iona Zajac.
Infine abbiamo Constant Follower, dal suono acustico e melanconico; Tamzene, cantante soul pop al pianoforte, e Brighde Chaimbeul, artista folk sperimentale, e un’altra band post-punk chiamata Humour.
C.: Com’è iniziata la tua carriera radiofonica?
Abbandonai la scuola nel 1990 con l’intenzione unica di fare musica, cosa che ho fatto per anni e faccio ancora. Vivevo di lavoretti solo per poter continuare a suonare ma, arrivato a 25 anni con zero soldi in tasca e con una band di scarso successo economico, ho iniziato a diversificare scegliendo lavori attinenti alla musica.
Avevo un’ottima conoscenza del mondo della musica, collezionavo dischi e m’interessavo alla critica musicale. La ragazza di un mio amico lavorava per la BBC e mi disse che cercavano qualcuno per presentare la versione scozzese del programma serale che prima faceva Steve Lamacq. Inizialmente ero restio, con ancora gli ideali da musicista e contro il sistema, ma poi ci ho ripensato, ho registrato un demo, poi mi hanno fatto fare un pilot, e improvvisamente ero su Radio 1!
Non avevo mai lavorato in radio ma conoscevo molto bene i programmi di Peel, Lamacq e Mark Radcliffe, quindi ho cercato di creare la mia versione di “presentatore radio più o meno simpatico ma che non fa il coglione”. Il programma si chiamava “The Session in Scotland”, che poi è diventato “Vic & Gill” quando lavoravo con una collega, e poi semplicemente “Vic Galloway”. Sono stato tra i primi presentatori di “BBC Introducing” e su Radio 1 ho lavorato per undici anni e mezzo.
In quel periodo ho iniziato anche un altro programma per BBC Radio Scotland, che presento ancora. E poi da lì ho iniziato a fare un po’ di tv, presentando il festival T in the Park, Glastonbury in radio, e a scrivere per vari giornali. Sono stato molto fortunato ma è una cosa che ho preso sul serio da subito: ho sempre accettato quello che mi hanno offerto, ma non l’ho mai fatto per essere famoso, mi interessano solo l’arte, la musica e le controculture. In estate saranno 24 anni con la BBC; faccio una cosa di nicchia, non sono un volto noto ma ho comunque un lavoro, in radio, a volte in tv, organizzo eventi e scrivo di musica: cerco di fare bene quel che so e che mi appassiona.
C.: L’ultima domanda è sui tuoi impegni al di fuori della radio: hai una band (Check Masses) e hai scritto un altro libro prima di “Rip It Up”. Ti va di parlarci di questi e di altri progetti futuri se ne hai?
Come ho accennato prima, a tutto c’è una fine. Nel 2010 si concluse il mio contratto con Radio 1, persi una rubrica che avevo su un giornale e chiusi una relazione sentimentale di lunga data. Decisi di concentrare le mie energie sulla scrittura, quindi contattai un agente per lavorare al mio primo libro, che poi è diventato “Songs in the Key of Fife”, un gioco di parole tra “Songs in the Key of Life” (il disco di Stevie Wonder) e il Fife, l’area in cui sono cresciuto.
Il libro parla degli artisti con cui sono cresciuto e che conoscevo: Beta Band, King Creosote, KT Tunstall e quello che all’epoca era il Fence Collective [ora Fence Records, N.d.R.]. Erano tutte storie che si intrecciavano l’una con l’altra, quindi dopo il loro consenso e l’approvazione della casa editrice… ho dovuto scrivere il libro!
È stata un’ottima esperienza non solo perché il libro ha venduto ed è stato ricevuto bene, ma anche perché ha aperto la porta ad altre possibilità. Chi l’avrebbe mai detto: se hai pubblicato un libro la gente ti prende più sul serio! Per questo sono poi stato contattato dal curatore del National Museum of Scoltand a Edimburgo che stava lavorando a una mostra sulla storia del pop scozzese. Il curatore mi ha chiesto di scrivere un libro che accompagnasse e facesse da ‘guida’ alla mostra.
E da lì è venuto fuori “Rip It Up”, che parla di settant’anni di musica scozzese. Un giorno spero di modificarlo ed estenderlo, perché essendo una specie di guida è molto succinto e, purtroppo, ci sono dei buchi che vorrei riempire. Vorrei anche metterci più storie di sesso, droga e rock’n’roll visto che per via del museo l’ho dovuto censurare un po’.
Mi piacerebbe scrivere un altro libro, ma è una cosa per cui serve la passione, perché non ci si guadagna molto. Per il prossimo vorrei lanciarmi nel mondo nella narrativa; ho molte idee per racconti brevi.
Faccio anche musica. Check Masses è il mio progetto più recente, con due amici. Il nostro esordio è uscito all’inizio del 2020 [ride, N.d.R.]. Nonostante un tiepido successo su Bandcamp non siamo riusciti ad andare in tour o vendere dischi fisici, quindi un po’ una tragedia. Nel disco ci sono hip-hop, psichedelia, rock’n’roll, indie… cose che magari non ci si aspetterebbe da me. Philly, il cantante, ha una gran voce soul; Andy, alla produzione, porta l’hip hop; e io ci porto il rock. Abbiamo molti pezzi scritti a metà quindi se tutto va bene faremo ancora musica insieme, anche se presto penso che inizierò a lavorare anche a un altro progetto.
Recentemente ho iniziato ad organizzare delle serate chiamate “Vitamin C” (come la canzone dei Can). L’idea è nata dopo la pandemia, per ravvivare la comunità musicale del quartiere di Leith a Edimburgo. Alle serate faccio il DJ insieme a Andy Wake dei Phantom Band. Presento dei podcast chiamati “Whisky Talk: Malts & Music” per la Scottish Malt Whisky Society, in cui chiedo agli ospiti di scegliere un whisky ed associarlo ad un disco, per poi discutere di entrambi. Ho anche intervistato Sam Heughan, l’attore di “Outlander”. Nel frattempo sto lavorando ad un altro programma sul whisky e i viaggi e organizzando dei festival insomma, cerco di divertirmi e guadagnare qualcosa facendo cose che amo.
***
Grazie mille per la fantastica chiacchierata, Vic. Speriamo di vederci presto al Great Escape o a Ypsigrock!
[ENG]
Dario: In the 80s Scotland had an important alternative-pop scene if we think of bands like Simple Minds, The Associates, Altered Images etc. Why do you think a large number of alt-pop bands concentrated in Scotland in those years?
In the 80s there was an explosion in underground pop music in Scotland and I think it was because of punk. Punk really blew up the doors for everyone all around the world and encouraged people to start their own DIY labels, put on their own records, and do it themselves. Scotland was far away from London, far away from the epicenter of the music industry, but it was inspired by the DIY mentality of punk.
In Edinburgh, there was initially a label called Fast Product run by a guy called Bob Last. They put out some incredible records including records by Gang of Four, Human League, Dead Kennedys and the first key Scottish band called Scars. In Glasgow, there was a label called Postcard Records run by Alan Horne.
Basically, they were true indie labels, just independent people doing independent music. The London press paid attention to them and realized that it was not happening just in London.
After punk exploded and inspired people to do it themselves, some bands took influence from bands like Roxy Music, Bowie, and from all that was proto punk. And then obviously the synthesizer became less expensive, smaller, and easier to use. So if you take the punk mentality and combine it with different musical influences, you start to have what’s now called post-punk.
In terms of musical style, a lot of it was anti-macho. If you look at Altered Images, it is quite twee, kind of light-hearted. Even Simple Minds were looking to Kraftwerk and they were not inspired by blues rock or AC/DC or Rolling Stones. Scotland in the 70s and the early 80s was a tough place, there was a lot of fighting in the streets and at football matches and a lot of poverty. I think sometimes the independent music scene stood up against that and became almost opposed to rock, to the macho, to the aggressive, the overtly male and became quite inspirational.
D.: If we talk more specifically about synth pop we have Bronski Beat. The Age of Consent was a revolutionary album for its topics related to homosexuality.
We are all talking about queer culture now; Bronski Beat did it in the very early 80s. Homosexuality was made legal in the late 60s in the UK but it was still an atypical topic to talk about. It was brave and forward-thinking of Jimmy Somerville (the only Scottish band member) and Bronski Beat to do that.
And again, I think punk had a lot to do with this. It helped people of colour, women, queer and gay people stand up and be counted. Punk wanted to stand up for the underdogs, for those not considered part of society in a way. There were different waves of this phenomenon: hippies in the 60s, punk, and post-punk, and then in the late 80s acid house and the rave culture. Counterculture helped the weirdos, the freaks, and the outsiders. Alternative music has always been a house for alternative thinkers.
How do CHVRCHES connect their modern pop attitude with that pop tradition?
I remember seeing them at their first or second concert, there were about ten people. Now they are a massive band around the world. I had them in session on my BBC show twice but they don’t need that anymore.
I think CHVRCHES are linked with some of the Scottish bands from the early 80s we mentioned. They use synthesizers like Simple Minds, The Associates and Bronski Beat; you can definitely hear that 80’s influence. I also think that even if CHVRCHES are very much a pop band, they take that slightly activist attitude as well. Lauren Mayberry is very outspoken on social media about women’s rights, and about the wrong use of the internet by misogynistic people. So, there is not only a musical connection.
D.: In the mid 80s a Scotsman entered the scene destined to change all the music that came after him: Alan McGee. So how was Alan McGee a turning point in music history and the music industry?
Alan McGee is a hugely important character and music enthusiast. When he became a manager, he was personally inspired by Malcolm McLaren, the Sex Pistols and that punk explosion. But take the name of his record label: Creation. It was named after the 60’s band The Creation; so he was inspired by 60’s rock’n’roll and psychedelia as well. In a time where synthesizers and 80’s pop music were everywhere, Alan McGee almost helped to reinvent rock’n’roll and guitar bands again.
All the bands he championed with Creation such as Primal Scream, Jesus and Mary Chain, Teenage Fanclub, BMX Bandits, 18 Wheeler to talk about the Scottish, but also the non-Scottish ones like Swervedriver, Ride, My Bloody Valentine, Super Furry Animals and naturally Oasis, they were all noisy guitar bands. Some of them incorporated some dance music later but at the beginning of Creation it was almost about discovering psychedelic rock n roll again with that punk attitude. There were a lot of big bands but the main explosion was with Oasis. They encouraged young kids to pick up guitars again and write songs again.
So Alan McGee was modern and forward thinking but he was also looking back into retro rock’n’roll music and I think he still is. If you look at the bands he manages now, they are still noisy bands. Alan McGee is definitely in love with rock’n’roll, punk rock and psychedelia. He brought them kicking and screaming into the mainstream.
Dario: Talking about a band produced by Alan McGee, Primal Scream: why was Screamadelica by Primal Scream such an iconic album bringing the 80s into the 90s?
As good artists always do, some bands started to look for inspiration and for different things. In the mid-late ‘80s, there was the acid house explosion. A lot of people were looking at club culture and rave culture, including members of the bands. Screamadelica is a success because Primal Scream collaborated with the right people who were at the heart of that scene: Andrew Weatherall, a brilliant DJ, and Alex Paterson of The Orb.
It also has something to do with drugs. The new drug at that point was MDMA and it influenced the music: the acid house clubs at that time were exciting, especially if you took the drugs. So, if you were playing in a rock band and if you found it exciting going to a club, you were going to start to incorporate the club stuff into your music. Some bands were successful like Happy Mondays and Stone Roses, The Soup Dragons with their cover of Rollings Stones’ I’m Free, and My Bloody Valentine in Soon. But the greatest mixture was Screamadelica: it had dub, house, some hip-hop in the beats, psychedelic rock’n’roll, and gospel all under one roof. It made the indie kids like dance music and made the dance kids like rock’n’roll music.
Claudia: I recently read Stuart Braithwaite’s memoir in which he recalls the music scene at the time Mogwai was born and the live concerts that had an impact on his and other bands. Did you have a similar experience and did it feel like something great was in the making for Scottish music?
I haven’t read that book yet but I know Stuart, and I’ve been playing Mogwai’s music on the radio since the start of my career. I left school in 1990 but I started going to gigs in 1985. During that era I went to see Nirvana, The Smashing Pumpkins, Ride, Fugazi – it was every week.
I look back on it now and realise what an exciting time it was, but at the time we were completely in it – we were excited by all of the music that was going on. I’m a child of post-punk and grunge but I also saw the bands that came before them – The Damned, Joe Strummer – plus American hardcore, as well as the Scottish indie bands – Teenage Fanclub, The Vaselines, BMX Bandits. All of those were a huge inspiration to the scene at the time – Mogwai, Urusei Yatsura, The Delgados, and eventually Belle and Sebastian and Franz Ferdinand. I was in Edinburgh and those bands would come play at the Cas Rock and we would go play at the 13th Note in Glasgow where Alex Kapranos had a night. There’ll be a venue like the 13th Note in every city or town – in a way it was nothing special, small, cramped and smelly, but it was a place to put on your band and your friends’ band.
So if you’d asked me if Mogwai were going to be one of the biggest indie bands 25-30 years ago, I would’ve said “eh, I don’t know”! And they would’ve said the same. But I’m delighted that that is the case. Like many scenes throughout the world – Seattle, Manchester – it just felt like everyone was doing it themselves – there was this DIY mentality influenced by the FAST mentality, the grunge mentality, by punk. They didn’t want to wait for the press in London to call them ‘britpop’ – they looked at Blur, Oasis, Pulp and they wanted to do their own thing. They were really talented and lucky that they all came from that incubator scene.
Did it feel exciting at the time? Yes! But did we think that those bands were destined to have huge careers? I’m not sure! But then I don’t think that was high on their priority list – their priority was to make music you enjoy making and put on a party for your friends, and then eventually put out a record, and then hopefully John Peel plays you on the radio and so on. And then before you know it becomes a lifestyle and career. And obviously it’s gone on to influence people all over the world. It was an exciting time and Glasgow was a great place to be.
C.: And did you have your own band at the time?
I was in lots of bands! We could never quite break into the Glasgow scene cos we were from Edinburgh, and while we had noisy guitars we sounded quite different – if they were influenced by Sonic Youth we were more like The Minutemen, more angular. I was in a band called Miracle Head and then in another with King Creosote, we were called Khartoum Heroes. We toured and got played by John Peel but we were never fully part of that scene.
C.: I’ve always found there is something special and unique about a certain wave of Scottish music that I think comes from their being Scottish (thinking especially Twilight Sad, Frightened Rabbit, Arab Strap but lots more). I found an older interview in which you said something similar – that a lot of it is influenced by their surroundings. Do you still believe this and what other elements do you think make it so unique and give it such a distinctive identity?
Yeah! Frightened Rabbit have a song about how miserable Scotland can be! The Twilight Sad have it in the name as well. There is something about being Scottish: you’re out on the North-Western peninsula of Europe, it rains a lot, it’s cold and while it’s getting better now it’s a poor country, it’s working class, other than the centre of Edinburgh and Glasgow there are also some grim-looking industrial areas with high unemployment. In such a setting you do feel melancholy, lonely, depressed and the music comes out sounding like that – it’s sort of obvious.
But on the other hand Scotland also makes a lot of joyful music as we’ve discussed – Primal Scream, Altered Images, Orange Juice, Simple Minds, Franz Ferdinand, Chvrches all the way to Calvin Harris and Lewis Capaldi – some of the biggest pop stars of the moment. But then there is something about the alternative/underground culture that is more affected by the rain, cold and architecture. People who are more melancholy turn to that kind of music and it amazes me that it’s found an audience globally. I introduced The Twilight Sad, Frightened Rabbit and We Were Promised Jetpacks at SXSW and I watched American audiences fall in love with depressing Scottish music! There’s a sense of darkness and misery to even The Jesus and Mary Chain, melancholy in Teenage Fanclub – it’s in the weather and in the blood.
C.: I also find it interesting however that there’s always a bright side to this depressing Scottish music’. It’s never entirely dark but there’s always an element of not taking themselves too seriously. For example in Frightened Rabbit he’d have a really dark line and then hedge it with something funnier or self-deprecating that I think is a trait!
Yeah, there’s another thing about Scottish people: the humour! we have the darkest humour, and laugh at tragic things, the darker the funnier. You see it in some great comedians as well, like Billy Connolly. When you’re hit with dark stuff – tragedy, poverty – you either feel sad about it or you laugh about it and sometimes it’s both. Arab Strap are the best at this: dark as hell and funny as anything, even in the song titles! I do think it’s a trait – the Irish and Scandinavians also have it. It’s two specific things that Scottish people do well: misery and laughter.
C.: And drinking!
That’s the third! Drinking goes well with both misery and laughter. And with music! It’s all you can do when you live in Scotland: laugh, cry and drink – and go out and listen to live music!
D.: You are heading to SXSW next week. There are several Scottish new acts playing and we want to hear something about. Can you quickly introduce them?
Seven acts will be hosted at SXSW in the showcase put on by Wide Days. Then there will be another six performing across the festival, for a total of 13 Scottish bands, a good representation.
So we have Fergus McCreadie, jazz pianist who won the “Scottish Album of the Year 2022 Award”. Poster Paints, indie pop band inspired by the 60’s and shoegaze. Brooke Combe, soul singer from Edinburgh who signed with a major label, she is doing great.
Elephant Sessions are more a traditional band taking traditional Scottish music and making something modern with it. Dead Pony from Glasgow, great live band with a female singer, Anna, who is just great on stage; they have songs that sound like rock classics. VLURE, I would say post punk mix electronic dance music. Big synths but also a shouty frontaman and noisy guitars.
Redolent, I had them in session on my BBC Show: they combined technology and guitars in a brilliant new sound, like Radiohead in Kid-A. They are managed by Rod Jones’ Post Electric, as well as Hamish Hawk and Iona Zajac.
Constant Follower, acoustic, slightly sad sound; Tamzene, soul pop singer playing the piano; Brighde Chaimbeul, experimental folk artist as well, and one more post punk band called Humour.
C.: How did you get started with your radio career?
I left school in 1990 and my one and only aim was to make music. I did that for many years and still do, and I did crap jobs to keep doing music, but in my mid-twenties I didn’t have any money, and while my band was playing festivals we weren’t making it big so I started to diversify – lighting in venues, writing for fanzines, anything to do with music that wasn’t playing.
I had a knowledge of music, I was a collector and I liked reading music criticism. A friend’s girlfriend was working for the BBC at the time and she told me about this opportunity coming up in Scotland for the evening session which Steve Lamacq used to present. She advised me to go for it. I was initially unsure as I was all like “no, I’m a musician, don’t want to be part of the media establishment!” but then I thought why not, so I made a demo and then I got the call and they had me do a pilot first and then suddenly I was on Radio 1!
I’d never done radio before so I had no experience, but I listened to John Peel, Mark Radcliffe and Steve Lamacq so I did my version of “music guy on the radio who’s not annoying, an asshole and doesn’t try to be too funny”. That was called the Session in Scotland, then it changed to Vic & Gill with my co-host and then eventually it was just Vic Galloway, and I was one of the first presenters of BBC Introducing. I spent 11 and a half years on Radio 1.
In parallel I also started doing a show for BBC Radio Scotland which I still do. Then I ended up on tv, presenting T in the Park, presented Glastonbury on the radio and did other music programmes, doing music journalism for the papers. I’m very lucky but I was also very serious about it – when I was offered a job I went for it, but I never wanted to be a celebrity or famous person, I just care about music and art and the counter-culture. I’ve been very lucky – in the summer it will be 24 years I’ve been doing weekly shows for the BBC. It’s niche, I’m not a household name but I’m still employed, doing radio, occasionally tv programmes, I host events, I write things – I try and do what I’m passionate and knowledgeable about.
C.: Our last question is about your work outside of radio – you have a band (Check Masses) and have another book which you wrote before “Rip It Up”. Can you tell us a bit more about them and any upcoming projects?
Following up from what I was saying earlier, all good things come to an end. In 2010 my contract at Radio 1 came to an end, I lost a newspaper column and I broke up with my long-time girlfriend. I decided to put my energy into writing a book, so I met an agent to discuss my ideas about my first book, “Songs in the Key of Fife”, which is a pun on the Stevie Wonder album Songs in the Key of Life and Fife, the area where I grew up.
The book is about the people that I knew and grew up with: The Beta Band, King Creosote, KT Tunstall, and what was called at that point The Fence Collective. The stories are all intertwined, so I asked them if they were up for it and they said yes, the publishers said yes, and then I had to write a book! And it was a good thing to do because not only did it do well, but it opened the doors to different things. It’s weird: when you have a book published people take you much more seriously!
Because of the book I was contacted by the curator of the National Museum of Scotland in Edinburgh who wanted to do an exhibition on Scottish pop. The curator asked me to write the companion book to the exhibition and I said yes. That’s how I got to write about seven decades of Scottish music.
One day I hope to go back and expand “Rip It Up”, because it was written to go with an exhibition so it’s quite concise and there are some gaps; and I’d also like to get more stories about sex drugs and rock and roll in it because with the museum you had to play it fairly safe.
Ultimately I’d like to write another book, but you have to be really passionate about it, because you don’t make a lot of money from it. What I want to do next is write fiction, and I’ve got lots of short story ideas.
I also make music. Check Masses is my most recent project with two friends, we launched our music at the beginning of 2020(!). It did quite well on Bandcamp but we couldn’t play or tour so it was a bit of a disaster. The record has hip hop, soul, psychedelia, rock and roll, indie, and people might not expect that from me. Our lead singer, Philly, has a great soulful voice, Andy the producer is a hip hop guy and I’m the rock and roll guy so if you put all of us together that’s what it sounds like. Hopefully we’re gonna do more music; we’ve got lots of unfinished new songs. I think I’m gonna work on a slightly different project soon but we’ll keep doing Check Masses.
I’ve just started a new night in Edinburgh called “Vitamin C” (after the Can song) almost as a reaction to the pandemic, trying to do a community thing in Leith at a bar called the Depot. I DJ with Andy Wake from The Phantom Band. I do podcasts called “Whisky Talk: Malts & Whisky” where I match up whisky and music for the Scottish Malt Whisky Society; we get a guest to match a malt whisky with a song and ask them to discuss the whisky and the song. The biggest one we’ve done was with Sam Heughan from Outlander. I’m working on another whisky and travel tv programme, I’m hosting festivals… Just trying to have fun and earn a living doing stuff I love.
***
Thank you so much, Vic! And hopefully see you at The Great Escape in Brighton or Ypsigrock in Sicily!
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Last modified: 21 Aprile 2023