Trio pugliese all’esordio in long playing, i Senhal sono figli legittimi della tradizione cantautorale italiana, e il loro è un disco rassicurante come il corsivo sull’immagine dell’ artwork semplice ed evocativo. Il Rock melodico a base di chitarra, basso e batteria però non basta ad accoglierne l’urgenza delle liriche, per cui i tre si preoccupano di adeguare la formula collaudata con piccole ma efficaci accortezze elettroniche.
Sono infatti dettagli educati e sottili a dare valore aggiunto alle nove tracce di Parapendio, come il lampeggiare elettronico a introdurre la title track o le gradevoli sbavature delle linee vocali di “Grande Schermo”.
Il timbro lievemente imperfetto di Donatello Deramo è confortante e suggestivo nell’evocarne altri più noti – Federico Zampaglione, il Niccolò Fabi più lieve – ma senza alcun intento di imitarli. Il songwriting è limpido e diretto, di quelli che spiazzano e lo fanno senza alcuna pretesa di riuscire a farlo, a volte sa di flusso di coscienza ma è attento alle assonanze, e regala episodi di semplicità illuminante: Ti assicuro che si può andare all’Altro Mondo con gli occhi aperti (“Bianco”), Hai mai pensato davvero alla distanza e a quanto renda gli umori preziosi? (“Mentre stai con me”), e così via, tra le pieghe di un songwriting da sfogliare con cura.
A guidare l’ascolto ci pensano le variazioni gentili tra un brano e l’altro. I ritmi timidamente sghembi di “Duemila” ostentano ilarità con ritornelli quasi Ska, le percussioni lievemente sfasate di “Panoramica” hanno la grazia del Dimartino più candido, “Propagare” cresce cauta e prende fiato nell’inciso, per poi sciogliere la tensione in un breve e intenso momento Post Rock strumentale, “Fiori” è la più sintetica del lotto, allenta la presa e si scompone, svincolandosi dalla forma-canzone e giocando ad alternare cantato e parentesi Psych.
Chiude il disco un brano dall’intro strumentale che è un dolce fatto a strati da gustare con le mani, sezione ritmica secca, elettronica misurata, cori angelici, divagazioni sintetiche e un titolo – “Nonluogo” – che combacia con la tonificante sensazione delle sue virate umorali da cui farsi trasportare.
Quello dei Senhal è un immaginario fecondo e schietto, tradotto con coerenza e maturità compositiva notevoli per una formazione agli esordi.
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Last modified: 3 Aprile 2019