shame – Food for Worms

Written by Recensioni

La band inglese riesce finalmente ad issare la propria bandiera sulla cima della metaforica montagna post-punk, laddove in pochi negli ultimi anni sono riusciti ad arrivare.
[ 24.02.2023 | post-punk, art punk | Dead Oceans ]

Fin dal loro esordio nel 2018 con Songs of Praise, gli shame si sono cuciti addosso l’etichetta di quel punk sghembo che ora, a cinque anni di distanza, è diventato il loro marchio di fabbrica.
Con soli tre album all’attivo, il quintetto londinese è riuscito non solo a farsi un nome nel marasma post-punk d’Oltremanica, ma anche a diventare riconoscibile e apprezzato.

Food for Worms è uscito a fine febbraio, e di sicuro è il disco più sperimentale degli shame, quello in cui la band inglese ha voluto smarcarsi dall’hype del momento facendo ciò di cui sentiva il bisogno, libera da vincoli.
In questo nuovo lavoro non c’è più il gruppo che deve farsi spazio nel calderone dei numerosi dischi punk usciti negli ultimi anni, bensì quello che cerca di salire la cima dell’affollata montagna post-punk.
E, a mio modo di vedere, sono riusciti nell’impresa, migliorando in ogni aspetto.

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Fingers of Steel porta subito una novità: un pianoforte che fa capolino, donando intensità ad un brano che si basa sull’introspezione nervosa protagonista dell’album precedente, Drunk Tank Pink. Chitarre e basso sono tellurici, il testo emoziona, attraverso il racconto di un’amicizia non ricambiata in cui ci si può immedesimare subito. Nel mood del brano si sentono echi di Oasis, ma con un’urgenza tagliente.
Six-Pack, uscito come secondo singolo, all’inizio mi aveva lasciato interdetto. Quelle chitarre “wah-wah” così ovattate mi sembravano strane, ma è proprio questa stranezza a rendere il brano diverso, unico. C’è una componente psych, a tratti hard rock che è sì destabilizzante ma che, ascolto dopo ascolto, diviene quella particolarità che ti fa innamorare del pezzo e dell’album intero.

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Imprevedibilità, bizzarria, unicità. Questo rende Food for Worms così affascinante.
Anche in Yankees, un brano che sembra uscire da un album dei Talking Heads ma con le chitarrone dei Sonic Youth, gli shame sperimentano e non si frenano, ma anzi si lasciano andare completamente all’ispirazione del momento. Ne nasce uno degli episodi più riusciti del disco, con i cori nel ritornello che difficilmente scorderemo.
E quanto è bello l’improvviso rallentamento di Adderall (End of the Line)? Un brano dagli echi del migliore Lou Reed, in cui si sente l’influenza dei Fontaines D.C. e, nella lunga coda finale, anche quella dei Black Country, New Road.
Orchid poi è una stupenda ballata introspettiva e dolce, con quelle chitarre docili che ricordano un po’ il Jeff Buckley di Grace e un po’ 1979 degli Smashing Pumpkins.

I testi dell’album trattano molto di amicizia, di rapporti spezzati, di crescita personale. Anche in questo gli shame sono cresciuti tantissimo, dimostrando una profondità ancor più densa. C’è sempre un velo di cupezza in tutto l’album, quasi di arresa. Amicizie che finiscono, dolore per rapporti umani che si disgregano, delusioni che fanno però crescere, che fanno diventare inesorabilmente adulti.
E, se si parla di cupezza, non si può fare a meno di citare The Fall of Paul, il brano più rumoroso e oscuro di tutto l’album. Un noise ben marcato, che tende a sopraffare e lasciare senza fiato.
Poi, dopo tanto affanno, tante chitarre e tanto punk, arriva All The People, davvero uno dei brani più belli mai scritti dagli shame. C’è ancora una volta il britpop degli Oasis, che in questa occasione sembra andare a braccetto con il rock storto dei Pavement. Tutto bellissimo, una chiusura perfetta.

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Essere cibo per vermi significa ritrovarsi vicini al collasso definitivo, spacciati. Ma tutte le persone che fanno parte della tua vita, alla fine, ti fanno crescere, ti danno qualcosa per cui valga la pena andare avanti, rialzarsi e tornare a camminare dritti. Ammaccati e feriti, ma a schiena dritta.
Gli shame di Food for Worms riescono a conficcare una bandiera lassù in cima alla montagna, dove finora poche band punk dell’ultima generazione sono riuscite ad arrivare. A soli 25 anni, Charlie Steen sa già scrivere dei testi pazzeschi, oltre a mangiarsi tutti sul palco.

Un album strano, sperimentale e per questo difficile da capire subito. Serve tempo, serve che la musica fluisca bene dentro le orecchie dell’ascoltatore, che ogni traccia si conficchi e rimanga in testa. Food for Worms riesce in quest’impresa, grazie ad una invidiabile padronanza dei suoni e a dei ritornelli da cantare tutti insieme a squarciagola sotto ad un palco.

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Last modified: 31 Maggio 2023