“Con queste e con molte altre considerazioni inutili si torna a casa dopo un’esperienza come il Primavera Sound Festival.”
14,6 km per 20892 passi: questo il mio record di tutti i tempi secondo la app Salute, registrato sabato scorso 2 giugno 2018 a Barcellona. Ventiquattro i piani saliti: se togliamo i 5 che mi sono serviti a tornare a casa tutti gli altri li ho fatti su e giù per i gradoni dell’iconico Rayban stage, che quest’anno mi ha regalato più di un momento felice. L’ultimo proprio sabato sera, mentre i Grizzly Bear chiudevano il set col climax di “Sun in Your Eyes” ed io non ho voluto perdermene neanche un secondo, infischiandomene dell’alert sul cellulare a ricordarmi che nel giro di un quarto d’ora Alex Turner e soci sarebbero saliti sul palco Mango già preso d’assedio da ore dai seguaci più accaniti. Avrei potuto evitare un’esperienza come il live degli Arctic Monkeys all’interno di un festival, sconsigliabile per più di una ragione. Mi avrebbe accolta Oneohtrix Point Never in area danzereccia Primavera Bits, inaugurata nel 2016 e ogni anno sempre più vasta e ricca di proposte live oltre ai dj set. Dopo di lui mi avrebbe rapita Jon Hopkins, o forse sarei corsa dai Deerhunter. Ma dopo quasi 15 anni a cantare a squarciagola “I Bet That You Look Good on the Dancefloor” sotto la doccia sembrava quasi doveroso sentirla urlare da Turner in persona, a costo di doverlo fare in mezzo a una bolgia di spagnoli ubriachi che intonano cori in opinabile inglese.
Con queste e con molte altre considerazioni inutili si torna a casa dopo un’esperienza come il Primavera Sound Festival. I quindici kilometri scarsi con cui ho collezionato una decina di performance al giorno sono roba da principianti in confronto ai Big Jeff più agguerriti, ma è pur vero che a stare a considerare ogni volta tutto ciò che sta succedendo a pochi (?) passi da te si rischia di uscire completamente pazzi, e soprattutto di non godersi nulla. E invece quella appena trascorsa è stata una edizione carica di momenti significativi e messaggi importanti, a cui è valsa la pena di concedere il tempo necessario.
Lo slogan alle spalle del Primavera w/ Apple Music stage non è servito solo ad affollare i profili Instagram di tutti gli astanti. In un frangente storico in cui l’idea imperante è quella che si debba aver paura di luoghi affollati e moltitudini umane, l’esortazione ad adoperarsi per far sì che eventi come il Primavera Sound possano continuare ad essere ciò che sono è stata la maniera migliore di accogliere le migliaia di partecipanti all’ingresso del Forum. Non è stato l’unico messaggio forte veicolato dall’entourage del festival catalano: anche l’adesione al protocollo No Callem è stata una cassa di risonanza a livello internazionale per l’importante iniziativa intrapresa dal Comune di Barcellona contro le aggressioni sessuali.
A dare significato ad ogni altro coreografico significante ci hanno pensato poi gli artisti di razza presenti in cartellone, a partire da Bjork e dalla necessità di ambire alla sua Utopia davanti all’urgenza di problematiche come i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale, istanze inderogabili a cui l’arte che possa chiamarsi tale ha il dovere di sensibilizzare. Introdotta dallo scorrere sui maxischermi di un monito a perseguire la costruzione di una società in cui natura e tecnologia possano fondersi e convivere, la performance dell’artista islandese ne è stata una dimostrazione tangibile ed estasiante: concettuale e ispiratrice come sempre, tra un tripudio di flora in scenografia e nei visual, contornata da un nugolo di flauti a inseguire i suoi vocalizzi per un atmosfera mitologica che ha donato nuova rigogliosa vita anche agli arrangiamenti collaudatissimi di brani come “Isobel” e “Human Behaviour”.
Venerdì sera Matt Berninger ci ha accolti con la consueta eleganza in completo nero ma con camicia arancione (e calzini a riporto) per aderire al National Gun Violence Awareness Day, istituito allo scopo di indurre consapevolezza verso un problema – quello del possesso indiscriminato di armi da fuoco – che non cessa di generare episodi di violenza negli Stati Uniti. Per poi stenderci però con “About Today”, che dal vivo è una vera e propria fucilata al cuore, e d’altronde The National si sono confermati dei fuoriclasse anche coi brani del nuovo Sleep Well Beast. Ezra Furman in perle e rossetto – non solo sulle labbra: durante la performance si è tirato giù la parte superiore del suo jumpsuit per mostrarci il “queer power” che con lo stesso rossetto si era scritto sul ventre – interrompe per un attimo il flusso di energia androgina e dirompente per precisare che durante il suo live ci sono alcune regole da rispettare, e la prima è che è vietato toccare chi non vuol essere toccato. Altrettanto categorico nei confronti della violenza di genere (e non solo) il post hardcore degli Idles e del loro ‘Joy as an Act of Resistance’ per presentare Brutalism, esordio sulla lunga distanza per la formazione inglese che a suon di liriche sferzanti e attitudine punk deflagra in versione live e dimostra a chiare lettere che può ancora esistere musica “di sinistra” che non risulti anacronistica, non solo nel sound ma anche nei contenuti.
Anche quelli che si esplicitano su un piano più strettamente personale non sono stati da meno in quanto a resa emozionale tra il pubblico. Come una Charlotte Gainsbourg in jeans e t-shirt – e senza bisogno di altro per risultare la prima in classifica in fatto di eleganza – che si muove sinuosa tra le cornici in neon di una scenografia minimal chic quanto lei mentre muoviamo il bacino a ritmo di “Deadly Valentine”, per aprire poi una struggente parentesi sedendosi al piano a intonare il francese di “Kate” dedicata alla sorella scomparsa. O anche una Rachel Goswell che ai riverberi degli Slowdive aggiunge un sorriso che dura per tutto il live e che sottintende un commosso grazie, incantando la platea con lo stesso emozionatissimo sguardo che sfoggiava durante il Primavera Sound 2014 in quella performance che li riconsegnò ai palchi di tutto il mondo. C’è molto altro oltre alla musica nel tributo dei Twilight Sad che concludono il loro concerto con “Keep Yourself Warm” dei Frightened Rabbit, tributo all’amico Scott Hutchison recentemente scomparso, o nell’irriverenza di Arca che si scaglia contro ogni sorta pregiudizio, con una presenza scenica così dirompente che quasi nessuno fa caso al fatto di star assistendo a un dj set e non a un live (mi sarebbe piaciuto condurre un talk show in tv ma non l’ho mai fatto perché mi vergogno a stare al centro dell’attenzione, ci confida irresistibilmente sornione mentre si spoglia e resta in tacchi e perizoma). E poi ovviamente Nick Cave, dove la catarsi dell’artista stesso è ciò che innesca la performance, la chiave per entrarci letteralmente dentro, in una sorta di rito sciamanico con cui Cave neutralizza il dolore umano – il proprio e quello altrui – affiancato da quei musicisti strepitosi che sono i suoi Bad Seeds.
Numerosissime le performance memorabili: Kim Deal e i suoi The Breeders, un Father John Misty in gran forma il giorno stesso della release ufficiale di God’s Favourite Customer, Nils Frahm a destreggiarsi tra i synth con la luna piena a vegliare sul suo set, la poesia di The War On Drugs al tramonto, il talento di Stephen Bruner che in versione Thundercat dimostra con disinvoltura che sul palco il suo habitat naturale è la prima linea, i Beach House collocati sullo stage della dimensione giusta e con l’acustica migliore per poterli apprezzare in tutto lo splendore elettronico del loro nuovo album.
Ma il motto dell’edizione 2018 è stato un cartel sin letra pequeña. Così promettevano annunciando la line up, e hanno mantenuto la parola. La qualità è stata altissima anche tra le piccole grandi scommesse della kermesse barcellonese, sempre alla ricerca di quegli artisti che nei prossimi anni sapranno di certo conquistarsi lo status di headliner: dai Metá Metá, con la loro miscela fluida e geniale di post punk e musica tradizionale brasiliana al ‘tough pop/soft punk’ dei Rolling Blackout Coastal Fever freschi di debutto su Sub Pop, dai giovanissimi e talentuosissimi Yellow Days, Rex Orange County e Vagabon fino alle proposte locali come F/E/A e DobleCapa.
Inizia oggi il NOS Primavera Sound di Porto, proprio mentre vengono resi disponibili gli early birds per il 2019 a Barcellona (solo per 48 ore). Se proprio non potete correre in Portogallo in questo momento, almeno fatevi un regalo: l’anno prossimo siateci. [ www.primaverasound.es/entradas ]
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Last modified: 21 Febbraio 2019