Un debut album che è il trionfo della poesia punk, ruvida ma squisitamente profonda.
[ 10.06.2022 | Chess Club Records | post-punk, alternative, punk poetry ]
Premessa: questo album è prodotto da Dan Carey, che ormai non sbaglia un colpo. Solo quest’anno ha posto la firma sui lavori di Wet Leg, Fontaines D.C. e Honeyglaze, e ha co-prodotto The Line is a Curve di Kae Tempest. Garanzia di qualità.
Time Bend and Break The Bower di Sinead O’Brien è uscito venerdì scorso via Chess Club Records, ed è anch’esso un disco importante. Il debutto dell’artista irlandese spicca per intensità e per la capacità di scrittura. Sono versi graffianti ma profondi, taglienti ma pieni di sentimenti. Il suo spoken word, che per contemporaneità ricorda lo stile di Florence Shaw dei Dry Cleaning, non si articola sulla musica ma scorre di pari passo in una armonia che non è liscia, ma grinzosa e meravigliosamente punk. Ogni parola è calibrata. Misurata nel senso e nel suono per colpire o accarezzare, per scuotere o per addolcire.
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Sinead è cresciuta a Limerick, città famosa per aver regalato al mondo la voce di Dolores O’Riordan. Ha frequentato il Dolan’s, il club più importante della città, prima del trasferimento a Londra per seguire la carriera di stilista di abiti femminili. Senza dimenticare però l’amore per la scrittura, quel mondo che ha dato libero spazio ai suoi labirinti interiori. Così ha dato una forma al ritmo e un ritmo alla forma.
Per questo, Time Bend and Break The Bower è assolutamente autentico. Va letto e ascoltato insieme, e mai una volta sola, perché – come tutto ciò che è poesia – è malleabile nella ricezione e tocca differenti tasti del cuore in base ai momenti.
Guardiamo un pezzo come Like Culture, ultimo della serie dei singoli usciti. Invita a ballare con un veemente e ripetuto “Dance!”, e no, non è un ballare vuoto e inutile: è la dancefloor vista come comunità che assorbe e rilascia linfa vitale e fa crescere, insieme. Come, appunto, la cultura; probabilmente alla faccia di coloro che non vedono nelle comunità musicali una fonte di sviluppo culturale.
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Entrare nelle canzoni singolarmente però sarebbe un errore di fruizione; come dichiarato dalla stessa O’Brien, ogni pezzo prepara il terreno per il seguente. Per cui il modo migliore è partire da Pain is The Fashion of the Spirit, riflessione intorno all’idea del dolore, ascoltare in ordine i pezzi passando da quella Multitudes che contiene il titolo del disco e ne esplicita il significato, fino ed arrivare a Go Again, in cui la musica diviene quasi impercettibile e la voce di Sinead chiude il cerchio recitando versi in cui viene persino fatto il nome di Dante, in un commovente, quasi straziante, crescendo. Che finisce così:
In the head, in the heart, for the first,
go again, snap the stem.
A proposito di versi: Sinead ha scelto di scrivere a mano alcuni dei suoi versi preferiti in undici copie della “Silver Foil Deluxe Version” del disco, uno per ogni brano. Gli undici fortunati che beccheranno queste copie avranno persino la possibilità di essere ammessi in guestlist nel prossimo tour autunnale.
La fortuna aiuta chi osa, e Sinead O’Brien ha osato parecchio: ha messo a nudo la propria sensibilità, l’ha messa a disposizione degli affamati di emozioni. Questo album allevia quella fame: bocconi di arte ruvida ma infinitamente vera.
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Last modified: 11 Agosto 2022