Nato nel 2013, il progetto Sixty Drops ruota attorno al duo Salvatore Carducci/ Daniele Vergni, quest’ultimo già fido collaboratore dell’ex Diaframma Miro Sassolini nei suoi S.m.s. oltre che quinto e ultimo membro della formazione Darkwave Christine Plays Viola. Nel primo lavoro, intitolato Zodiac, grazie anche alla presenza delle voci di Ludovica Mezzadri e Jacopo Santilli (À L’Aube Fluorescente) furono subito palesate le influenze e lo stile che i due avevano intenzione di sviscerare, rielaborare e scandagliare. Un Trip Hop mai troppo approfondito in terra italiana, suggestionato dai nineties e che univa le anime più sperimentali di Massive Attack e Portishead; tuttavia, quel primo eccellente lavoro non era nient’altro che il germe di qualcosa di molto più complesso che apprezzeremo nel debut album. Messe da parte le due voci suddette che tanto, soprattutto sotto l’aspetto melodico, davano al sound, il soffio vitale dei Sixty Drops diventa più naturale, spostandosi verso territori consoni tanto a Salvatore Carducci, quanto, forse in maniera ancor più netta, a Daniele Vergni. Il Bristol Sound e il Downtempo trasfigurano in una sorta di pretesto per osare e, seppur integra rimane la loro voglia di non staccarsi eccessivamente dalla “musicalità”, si finisce inevitabilmente per approdare in ambiti prossimi ad artisti quali Aphex Twin, Boards of Canada, Autechre con diverse spigolature rumoristiche proprie di Fennesz, Oval, Murcof e tanti altri. Ciò che ne consegue è un’alternarsi di tracce le quali richiamano atmosfere molto più nordiche e gelide del passato eppure capaci di avvolgere l’ascoltatore in una nebbia umida e accogliente e non è un puro esempio utile alla resa narrativa quello che vuole descrivere le note come generatrici di certune situazioni visuali giacché il duo sta già lavorando alla volta di una commistione audio video che esplicherà in maniera netta le visioni già qui lasciate sgocciolare abbondantemente. Ridotta al minimo la parte lirica (vedi l’iniziale “Zero.1/ Fold 013”) che quasi suggerisce scorribande esotiche, suona quasi come un omaggio, la seconda traccia “Connect-I-Cut/ zero.2” che inevitabilmente riporta alla mente i lavori del produttore di Vancouver chiamato, guarda caso, Connect-icut (qui e qui le mie recensioni di Crows & Kittiwakes & Come Again e Small Town by the Sea usciti per Aagoo Records e Rev Laboratories) anch’esso ispirato dal Glitch dei maestri citati ma più propenso a divagazioni Noise e Ambient. Ancor più asettiche, ben inquadrate e cristalline le tracce seguenti, dalla bellissima in stile mùm “Zero.3/ Another Break in the War”, fino alla minimale e melodica “Clarity & the Other Lies/ zero.6” prima del trittico conclusivo in cui quegli stessi ecosistemi sonici si fanno più lugubri e impenetrabili grazie anche alla dilatatissima “The Beatless/ zero.8”, che fornisce un altro spunto riflessivo il quale pone i Sixty Drops sulla scia di alcune indagini Radioheadiane. Non è semplice definire un lavoro come questo Torquoise e non lo è perché non è una definizione di se quello di cui ha bisogno per esprimersi al meglio. I nove brani sembrano piuttosto suggerire sensazioni, sfociare in un Glitch che è più che Glitch, in un’Elettronica deliziosamente amorfa, a volte quasi Art Rock in stato embrionale, Dance Music che non vuole farti ballare, rumore che vuole accarezzarti le orecchie. Parafrasando lo stesso duo, Torquoise è un distillato di suoni che, goccia dopo goccia, vuole traboccare ovunque verso l’ascoltatore e, ad ascolto concluso, vi ritroverete fradici di un liquido terso senza sapere di cosa vi siete bagnati, cosa avete bevuto, annusato e toccato.
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Last modified: 20 Febbraio 2019