Tornano i veneti Soyuz con un altro bel capitolo della loro giovane storia tra i faldoni dell’underground di casa nostra, ed è un ritorno forte e robusto, un’ alternanza di elettricità e concetti scoperchiati che fanno “massa” tra stereo ed orecchio, e che avvertono sulla buona svolta stilistica che la band ha effettuato in questi ultimi frangenti.
“Back to the city” è il disco che sbatte in faccia le basi del nuovo percorso intrapreso, percorso che non contento di abbracciare le nevrosi ponderate di una ampericità allargata, addirittura prende in prestito le dispersioni di ugola indie-punkyes per urlare e strapazzare un disagio a tutto tondo, il malessere dell’urbanità intesa come compressione mentale, etichetta indelebile di chiusura ed isolamento che spersonalizza l’essere, l’insieme (se qualcosa ne è rimasto) e l’anima, ed i margini per sfogarsi dalla claustrofobia di una “tube” qualsiasi si agita qui dentro, sulle dodici ramificazioni di una tracklist che non perdona.
Un disco che potrebbe essere l’esplosiva colonna sonora di un remake del film Who Killed Bambi? di Russ Meyer, tanta è l’ispirazione potente e sottolineata che si trascina come una “delinquenza” ad effetto immediato, un ascolto tiratissimo, a presa diretta, che compulsa e piace da morire dalla prima all’ultima pista; tutto è percussivo e suo modo “orgasmicosamente amplificato”, un trio questi Soyuz che suonano in maniera maniacale le straordinarietà dei nuovi stimoli distorti, un power-force che si materializza tra ipnotico e scellerato, fughe e spasmi ricamati di chitarre che contrappesano ritmi e liriche disturbate e fenomenali tanto da sembrare arrivare direttamente dai mainstream d’oltre confine.
Se avessimo ascoltato questo disco nei primi anni Novanta, ne avremmo senz’altro prese in prestito le veemenze e le colorazioni tumefatte per farci ulteriormente belli e dannati, ma possiamo sempre recuperare dal perfetto evocativo fatto di riff, arrangiamenti curatissimi, prendendo per esempio i singulti brit-pop di basso di “Everything is clear”, la ballata alla Stereophonics “Blind”, il fiatone running che esala “I’ll be back”, nel vedere passare per un secondo i King of Leon in “Perfect day” e nella traccia saracinesca che chiude il tutto “Calling”, una piccola stretta di cuore che ti lascia sospeso tra te e te stesso.
I Soyuz si sono allontanati dalle zone pur sempre pericolose del rock cementato e si avvicinano alla poesia con la spina inserita, un coraggio premiato e convincente che porta il trio ad eloquenza di razza.
Last modified: 13 Giugno 2012