Per chi non lo sapesse ancora, Spartiti è il progetto che coinvolge Max Collini degli Offlaga Disco Pax e Jukka Reverberi de I Giardini di Mirò, entrambi già rodati in coppia con le “Letture emiliane”.
(foto di Beatrice Ciuca)
In giro per l’Italia portano Servizio d’Ordine, una sorta di approfondimento del discorso cominciato lo scorso anno con Austerità. Sono spudoratamente di parte: sulla carta già so che sarà una roba di qualità che mi piacerà senza obiezioni. Entro in sala e ad accogliere il pubblico c’è un sempreverde Max al banchetto del merch. Difficile non farci caso. Ne’ a lui ne’ a Reverberi. Il primo perché conserva l’elisir di eterna giovinezza (l’ultima volta che l’ho sentito dal vivo era l’anno domini 2012) e il secondo perché ricoperto da una nostalgica bandiera rossa del PCI. Una volta sbrigate le formalità di mercato, il duo sale sul palco. La formula è quella Offlaga: Max interpreta i testi che oscillano tra il serio, l’istrionico e l’impegnato mentre Jukka cura tutta la parte strumentale: bocca, chitarra e loop station. Lo spettacolo di Max lo apprezzi perché sincero in maniera spietata. Non è il tipico ragazzino figlio della borghesia che durante un moto di ribellione adolescenziale indossa le Clarks sottomarca del mercato, la maglietta del Che e va a suonare la chitarrina all’occupazione del Classico. Lui è un onesto figlio di poracci che ha frequentato una scuola di poracci e che ha poracciamente fatto manifestazioni un po’ per il partito e un po’ per rimorchiare la ragazza vera (ma non Vera). Il filo conduttore del concerto è sicuramente femmina. Max racconta della figlia del prof di Costruzioni e di favori che non implicavano atti sessuali; di Ida e Augusta, le tedesche senza armi che salvarono inconsapevolmente il paesino di Gombio dall’assalto nazista, e poi c’è Elena, che schifa i Diaframma ma alla quale viene riconosciuto il merito di aver “importato” i Nirvana a Reggio. Una sorta di presenza assente è quella del compagno Gonzalo, quasi un terzo membro “amputato” della band che aleggia tra gli ascoltatori e i suonatori. Una notevole assenza presente è, al contrario, quella di Enrico Fontanelli, al quale viene dedicata la cover di chiusura di “Qualcosa sulla vita” dei Massimo Volume preceduta da un applauso che ha quel retrogusto di tragica bellezza.
E mentre tento di riprendermi dalla fine dello spettacolo e ancor di più dal fatto che Collini ci abbia appena scattato una foto col cellulare, inizio a ricordarmi che c’è un seguito. Spartiti è stata una sorta di apertura di serata per persone anziane (stavamo addirittura seduti) ma il vero evento doveva ancora partire.
È infatti in corso la seconda serata di Manifesto, situazione creata dal Monk per la diffusione della musica elettronica. Per i Dengue Dengue Dengue non sprecherò troppo tempo e parole. Sono un duo di caciaroni di Lima che per celare l’identità fa uso di maschere di lana proprio come quei cappelletti che ti rifilano i suonatori di flautini di Pan alle bancarelle durante il periodo di natale. Il seguito del gruppo è tutto un programma: risvoltinati, scappati di casa con camicia hipster e occhiali da sole. Il disagio poteva essere lasciato al guardaroba alla simbolica cifra di 2 euro. Sarà anche la scenografia amazzonica che me li rende più ostici ma per i miei gusti musicali estraggo il cartellino col faccione della Maionchi che dice “per me è no”. Troppi bambù, pifferi e percussioni nel tentativo di creare un mix tra elettronica e musica della terra natia dando luogo a ibridi mostruosi che sembrano la versione remixata male della “Lambada”.
Notevole invece la performance nel mezzo, del misconosciuto progetto Cleo T.
Chitarra, voce e sintetizzatori francesi offrono uno spettacolo per gli occhi con giochi di luce e colori e per le orecchie che a me riportano subito alla mente i ben più noti Blonde Redhead.
Oggi non lavoro, oggi non mi vesto, resto nudo e… Manifesto.
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Last modified: 15 Marzo 2019