L’ottimo debutto che molti si aspettavano dagli Squid, e ora l’attesa è tutta per la verifica della sua resa dal vivo.
[ 07.05.2021 | Warp Records | post-punk, psych, kraut ]
Dal 2015 al 2021. Tanto è passato dai primi vagiti degli Squid – nativi di Brighton, ma ora di stanza a Londra – all’uscita del loro primo album in studio. Un’attesa che per certi versi era divenuta quasi spasmodica, alimentata sapientemente da una serie di singoli ed EP (uno su tutti: Town Centre, del 2019, contenente l’irresistibile Cleaner) che avevano inevitabilmente finito per catalizzare e stuzzicare l’attenzione di media e pubblico.
Cresciuti sotto l’ala protettrice della Speedy Wunderground, etichetta londinese che ha portato alla ribalta alcuni dei nomi più in voga nell’attuale scena musicale britannica (black midi, Black Country, New Road, The Lounge Society, Tiña), il debutto su lunga distanza degli Squid arriva sotto la Warp Records e si avvale della produzione di Dan Carey, già produttore di fiducia dei Fontaines D.C. e, guarda caso, deus ex machina della stessa Speedy Wunderground.
Fin dagli esordi, la proposta musicale del quintetto di Brighton si è divisa tra brani decisamente ballabili, figli di un art punk sghembo un po’ à la Talking Heads e contraddistinti dal cantato sguaiato del batterista Ollie Judge, e vere e proprie suite psych e kraut, con mostri sacri come Neu! e CAN come evidenti punti di riferimento; ne deriva quindi una miscela sonora sperimentale e variegata, non di facile catalogazione.
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Bright Green Field è un album complesso e molto meno diretto di quanto potrebbe apparire in superficie. È un disco lungo (54 minuti abbondanti sono ormai abbastanza inusuali per un LP), variegato, dalle tante sfaccettature. Ed è complessa anche la struttura dei brani, decisamente poliedrici e cangianti.
Il primo singolo estratto rappresenta forse anche l’esempio più fulgido di ciò che sono oggi gli Squid: Narrator si apre col riconoscibilissimo ritmo ballabile tipico degli Squid per poi snodarsi tra un susseguirsi di accelerazioni e rallentamenti che sono un altro dei marchi di fabbrica della band. Il crescendo che pian piano prende forma sotto la voce di Judge che ripete ossessivamente “I’ll play mine” è di un pathos indescrivibile, con chitarre e synth che creano un palpitante vortice sonoro per poi esplodere e debordare in tutta la loro potenza di fuoco, e con gli acuti della guest Martha Skye Murphy ad accentuare ulteriormente l’impeto di un brano che con i suoi otto minuti abbondanti è davvero un’esperienza sonora impagabile.
Altro brano programmatico del sound della band è sicuramente Paddling, contraddistinto dal classico incedere dance, con la sezione ritmica che concorre a plasmare un ritmo incalzante e irresistibile e le solite, brevi strofe ripetute all’infinito: un loop sonoro e sensoriale che finirà per ipnotizzarvi.
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La dicotomia tra brani tirati e composizioni liquide, quasi ambient, viene perfettamente esplicitata in un brano come 2010, caratterizzato da un’intro vagamente space e squarciato poi da una bordata sonora che è forse il momento musicalmente più violento dell’album: il punk che si fonde con la psichedelia.
Se Peel St. è senza dubbio l’episodio più “in your face” e tirato, l’anima da suite, sperimentale del disco è appannaggio di pezzi come G.S.K., col sax che a metà brano si prende elegantemente la scena, e soprattutto Global Groove, forse la traccia più psichedelica e spaziale del lotto, con chitarre talmente liquide e sognanti che da un momento all’altro ti aspetti una voce fuori campo che annunci “ladies and gentlemen, we are floating with Squid”. Un vero e proprio trip sonoro che testimonia quanto la componente jam sia sempre ben presente nel sound del gruppo.
La chiusura affidata a Pamphlets è una scelta quanto mai azzeccata, col ritorno prepotente degli inconfondibili ritmi dance/art punk pieni di groove ed una coda strumentale in cui la band dà finalmente libero sfogo alla sua vena free form e noise. Un baccanale di chitarre, synth, percussioni che chiude degnamente un viaggio sonoro di quasi un’ora intorno al ricchissimo ed eccentrico universo musicale degli Squid, una vera e propria summa del loro sound.
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Quella degli Squid è musica fatta di contrasti, ambiziosa, contaminata, e questo debutto ne è la prova inconfutabile: tra crescendo irresistibili e rallentamenti inaspettati, l’atmosfera resta costantemente tesa e vibrante, al netto anche di qualche veniale peccato di eccessiva lungaggine disseminato qua e là.
È probabile che gli anni impiegati per la pubblicazione del disco abbiano contribuito fortemente alla definizione e alla codificazione di un sound peculiare e assolutamente distinguibile, oltre che difficile da catalogare e imbrigliare in etichette di sorta, ed è proprio qui che risiede il vero punto di forza della band.
L’attesa è alla fine valsa la pena, Bright Green Field è l’ottimo debutto che in molti si aspettavano dagli Squid e ora l’attesa è tutta per la verifica della sua resa dal vivo: il prossimo ottobre, salvo ulteriori cataclismi, il loro tour toccherà anche l’Italia. Noi iniziamo già ad incrociare le dita.
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Last modified: 10 Giugno 2021