La new wave in un mondo falso, crudele e contraddittorio.
[ 16.04.2021 | Cagnìn Records | post rock, new wave ]
La band di Cesena torna dopo 8 anni di silenzio con un quarto disco pieno di riflessioni personali e riferimenti a tematiche sociali attuali. I Suez hanno mantenuto la formazione originale: Luigi Battaglia (voce e synth), Ivan Braghittoni (chitarra), Marcello Nori (batteria) e Manuel Valeriani (basso), un chiaro segno che questa band ha ancora tanto da dire e farci ascoltare.
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The Bones of the Earth si apre con Hard to Say: la voce di Luigi ricorda un po’ quella di Tom Smith degli Editors, ma il modo di raccontare sembra quello malinconico di Nick Cave, avvolto da synth e chitarra acustica. Segue We Are the Universe, il primo singolo scelto per promuovere il nuovo disco; una decisione comprensibile per una traccia che ci potremmo ritrovare a urlare a pieni polmoni sotto la pioggia dopo una giornata difficile e che forse ci farebbe subito sentire meglio. Insomma, un brano perfetto per racchiudere la vera essenza di questo album pieno di dolore.
La canzone successiva, Robert, è forse la mia preferita del disco: riconoscendo un po’ di New Order (in particolare quelli di Ceremony) il mio cuore è stato subito rapito. Questo gruppo sicuramente non utilizza band facili come punto di riferimento, ed è un chiaro segno di sicurezza e fiducia nella loro identità, anche dopo 8 anni di assenza.
La title-track, che richiama Atmosphere dei Joy Division, parla di Alan Kurdi, il bambino siriano di 3 anni diventato purtroppo simbolo della crisi europea dei migranti dopo essere morto per annegamento. La foto scattata alla giornalista turca Nilüfer Demir che lo ritrae privo di vita sulla spiaggia e che si è rapidamente diffusa su ogni piattaforma ha generato molte risposte da parte delle comunità nazionali ma anche dei Suez, che dedicano questo brano a chi cerca di sopravvivere ma alla fine viene schiacciato dalla brutale e disumana realtà individualista in cui viviamo.
Harriet esplode nel suo ritornello new wave e post punk che ammicca a band come i Cure e gli Echo and the Bunnymen. Hit the Man, che ci fa apprezzare il basso al meglio, è un brano vorticoso che ancora una volta ci mette davanti alla cruda realtà, ricordandoci del mondo feroce in cui cerchiamo la salvezza. Segue Humanity is Dead, pezzo post-rock che i Suez hanno deciso di usare come secondo singolo-cavallo-di-battaglia: come ci suggerisce il titolo, è un brano che si concentra sul fallimento della società umana, realtà che ha perso ogni forma di altruismo ed empatia.
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Best Place e Kobane chiudono l’album, due brani potenti, il secondo in particolare, che parla di Ayse Deniz Karacagil, caduta in un combattimento contro l’Isis vicino a Raqqa a 24 anni (di cui parla anche ZeroCalcare in “Kobane Calling”). Non un modo semplice per concludere un album impegnativo ma mai pesante, di cui dobbiamo essere estremamente riconoscenti ai Suez, che speriamo di vedere presto live.
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Last modified: 22 Aprile 2021