2016 Tag Archive

Coez, il “Niente Che Non Va” Tour il 25 giugno al PostePay Rock In Roma

Written by Eventi

Dopo la presentazione del nuovo singolo “Niente di che” al Concerto del Primo Maggio di Piazza San Giovanni a Roma e il successo della prima parte del Niente Che Non Va Tour, che ha registrato sold out ovunque, Coez si esibirà all’Ippodromo di Capannelle sabato 25 giugno per PostePay Rock in Roma.
Inizio ore 21.45 – Apertura porte alle 19.30
Ippodromo di Capannelle, 
via Appia, 1255
Biglietto: 17,25 euro
Alla data di Roma, seguiranno concerti in tutta Italia. Qui sotto le prossime date finora confermate.
25/06 – Roma – POSTEPAY ROCK IN ROMA
13/07 – Salerno – BITS FESTIVAL
06/08 – Gallipoli (LE) – POSTEPAY  SOUND PARCO GONDAR 2016
27/08 – Fabro (PG) – FESTA CONTADINA
04/09 – Treviso – HOME FESTIVAL

Coez è l’autore del più originale crossover tra rap e canzone d’autore che ci sia attualmente in Italia. Il suo ultimo disco “Niente che non va”, uscito il 4 settembre 2015 per Carosello Records. L’artista romano si è afferma to ormai come uno dei rappresentanti più amati e apprezzati del nuovo cantautorato italiano. Tra gennaio e febbraio 2016 il “Niente che non va tour” ha registrato sold out ovunque, ed il concerto di Roma è stato trasmesso in diretta nazionale da Radio2 con la trasmissione Radio 2 Live, partner del tour.
“Niente di che” è il nuovo estratto dall’ultimo album di Coez, che si intitola Niente che non va.

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Bea Sanjust – Larosa

Written by Recensioni

Ci sono incontri che ti cambiano la vita. A Bea Sanjust questo tipo di incontro capitò nel 2004 quando conobbe Tom Cowan, chitarrista inglese col quale l’artista romana volò a Brighton entrando a far parte del Willkommen Collective, un’alleanza musicale tra una dozzina di elementi poi cresciuti nel tempo il cui nome si ispira a Will Calderbank, violoncellista e pianista presente in  buona parte dei progetti nati da questo collettivo (The Leisure Society il nome più famoso) tra i quali gli Shoreline (band con Cowan tra i suoi elementi) coi quali Bea iniziò a collaborare. Da quest’avventura una crescita, non solo artistica, che ha portato la Nostra, rientrata in Italia, a produrre con la collaborazione di Marco Fabi e Simone De Filippis, questo suo lavoro nel quale troviamo un nutrito gruppo di collaboratori di Brighton come di Roma, tra i quali Fabio Rondanini dei Calibro 35 solo per citare il nome più conosciuto.

Larosa, scritto nell’arco di 8 anni, pur guardando anzitutto al Folk britannico non manca di esalare vapori psichedelici come profumi retro’ tra trame musicali sempre ben costruite. La voce di Bea (che escludendo un breve passaggio in italiano canta sempre in inglese) è ineccepibile, non una sbavatura oltre che una capacità non comune di dimostrarsi calda e accogliente qualsiasi cosa esprima, molte sono le cantanti alle quali potremmo associarla ma più che farvi un inutile elenco credo sia opportuno dire che ci troviamo di fronte ad una delle migliori voci italiane che si possano trovare oggi in circolazione. Tra i momenti migliori del disco “Julia”, primo singolo estratto, il pezzo più Rock di questo esordio, dove ci si chiede quanto bene possiamo conoscere le persone che ci stanno accanto; l’essenzialità Folk delle delicate “Two Sisters”, “She Needs Me” e “The Eye”; la suggestiva “Marijuana” (che vede partecipare alcuni membri degli Shoreline), monito verso l’uso delle droghe, anche se leggere, che nella seconda parte diviene un inno d’amore per le cose semplici della vita. Ed ancora “Wildflowers”, forse il brano più triste ed introspettivo del lotto (qui a partecipare sono alcuni membri dei romani Canialga) capace di farci sentire scivolare sulla pelle sottili fili di pioggia accompagnati da un leggero soffio di vento come di farci portare lo sguardo lontano, verso nuovi e sereni orizzonti; la costruzione un po’ più complessa di “Honey Bye Bye” col suo umore variabile che porta sentori Ragtime Bluesy senza lasciarsi sfuggire una certa mediterraneità, ed infine la toccante “Kings”, rifacimento di un brano scritto da Tom Cowan tratto dal primo Ep degli Shoreline.

Disco intimo ma aperto e ricco di colori sfumati tra i quali spiccano il verde ed il celeste. Larosa è una raccolta di 11 brani che sono panni profumati stesi ad asciugare al sole ed al vento, brani non arditi ma che sanno essere eleganti riuscendo a risultare sinceri, brani scritti da una donna che, come canta in “The Eye”, ha voluto la sua mente libera, ed ascoltando questo lavoro, semplice ma significativo, pare riuscita nel suo intento.

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Love in Elevator – “Unlocked” [VIDEO-INTERVISTA + STREAMING]

Written by Anteprime

Love in Elevator è una band veneta attiva dal 2004 ed ha fulcro e anima nella figura di Anna Carazzai. All’attivo un EP, Venoma (Jestrai, 2004), e tre album: Sue Me (Jestrai, 2005), Re Pulsion (Jestrai, 2008), Il Giorno dell’Assenza (Audioglobe / Epic&Fantasy / Go Down Records, 2010).

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Duracel | Puro Punk made in Italy

Written by Interviste

“Amore da oggi siamo poveri”, il nuovo singolo dei Borghese

Written by Novità

Il cantautore 2.0, divenuto vera e propria band col secondo album In Caso Di Pioggia La Rivoluzione Si Farà Al Coperto (TouchClay Records, 2015), torna con un nuovo singolo, uno dei brani più romantici del disco, “Amore da oggi siamo poveri”.

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Vinicio Capossela – Canzoni Della Cupa

Written by Recensioni

Canzoni Della Cupa è il decimo album in studio di Vinicio Capossela. Diviso in due parti per 28 brani e una durata di più di due ore, Canzoni Della Cupa è un atto d’amore e di testimonianza verso un tempo passato che ormai è fuori dal tempo, mitizzato nell’immagine brusca e insieme rasserenante di una società contadina, ruvida e sincera, in cui si vive e si canta della vita, e quindi dell’amore, carnale soprattutto, ma sempre giocoso, vinoso, anche quando è serio; della morte e delle creature della notte, degli spaventi nelle ombre dei fuochi e dei monti sotto la luna; dei campi, dei poveri, del sudore, del lavoro; dei primi treni, dei viaggiatori, delle verità scolpite nella pietra dei proverbi e della saggezza popolare.
Ineccepibile nella produzione e nella resa, il disco continua la parabola del mito, della rivisitazione della tradizione (o tradizioni) che Capossela sta portando avanti da Marinai, Profeti e Balene (con in mezzo Rebetiko Gymnastas) ma che è stata da sempre una sottotraccia di tutta la sua produzione, interessata fin dai primi dischi alla rielaborazione del popolare/tradizionale (ritmi sudamericani, armonie mediorientali, atmosfere mediterranee).

Questo disco è l’ideale proseguimento di quella parabola e insieme il suo compimento totalizzante e definitivo: il ritorno nella terra degli avi, l’archeologia sentimentale nei racconti e nelle leggende, nelle storie e nelle musiche che erano la colonna sonora di un affascinante tempo che fu, che qui vira seppia, come le foto, e diventa quasi un’età dell’oro, un mondo che, nei suoi dolori, suonava forse più diretto e vero, più libero, certo più povero e più stanco ma senza perdere la fame d’amore, di festa, di paura anche, quella un po’ superstiziosa che eccita e riunisce il gruppo intorno alle luci e ai canti dopo l’angoscia, il cuore affaticato e una spaventosa, fantastica storia da raccontare.
Non sorprende quindi scoprire che Canzoni Della Cupa fosse in cantiere da più di dieci anni: è una sempreverde voglia di mito a spingere Capossela verso la rielaborazione e la testimonianza per riportare al suo oggi delle tradizioni che, sotto la polvere e oltre l’ombra della memoria, appaiono estremamente vive, anche (e soprattutto) grazie alle sue doti di interprete e riscrittore eccelso, maestro del racconto, sciamano della voce e della parola.

La nota dolente, per i fan del cantautore, potrebbe però nascondersi qui attorno: scavando si trovano tesori, ma ci si ingobbisce; gli occhi si fanno miopi a guardare tanta terra smossa. Canzoni Della Cupa è un progetto ambizioso, pensato ed eseguito senza passi falsi o sbavature (non ci saremmo aspettati di meno); è un racconto mitico e preciso, immaginifico e appassionato, da godersi senza remore, scoprendo in ogni brano una storia affascinante, divertente, incredibilmente vicina. È perciò con una certa amara sorpresa che alla fine, quando rialzi gli occhi stanchi dalla terra e dai suoi tesori, ti accorgi di quanto sia ormai sfocato e nebbioso l’orizzonte: lontano più di quanto, forse, dovrebbe.

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Explosions In The Sky @ Circolo Magnolia, Segrate (MI) 31/05/2016 [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Il circolo Magnolia di Segrate (MI) ha ospitato martedì 31 Maggio sul suo palco esterno i texani Explosions in the Sky.
I ragazzi di Austin hanno pubblicato il 1° Aprile scorso la loro ultima fatica The Wilderness, disco che personalmente, per quanto ben suonato e per quanto al suo interno si trovino pregevoli trame, trovo un po’ piatto ma che eseguito dal vivo riesce a trovare maggiore visceralità (inevitabilmente considerando che on stage i ragazzi, come noto, non si risparmiano).

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I picchi emotivi più elevati sono comunque giunti coi brani più datati del repertorio del quintetto tra i quali “Greet Death”, “The Birth and Death of the Day”, “Your Hand in Mine” ed il travolgente finale di “The Only Moment We Were Alone”.
Insomma, anche questa volta le esplosioni, nel cielo e nel cuore, non sono mancate.

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Clowns From Other Space – Zeng

Written by Recensioni

Disco d’esordio dell’ensemble abruzzese, Zeng è un frullatone di Rock distorto e melodia, immerso fino alle ginocchia negli anni ’90 soprattutto inglesi, dove batterie lineari ma con personalità si accompagnano a un intreccio di chitarre sempre ragionato, mai sciatto. I pezzi sono gonfi di suoni: c’è in Zeng un’attenzione lodevole all’insieme compatto e pieno degli strumenti, ma questo non va a inficiare la resa melodica del disco, che è un disco di canzoni. I brani riescono a distinguersi, a rendersi riconoscibili pur in un contesto uniforme e coeso.

La voce di Cesare Di Flaviano, strascicata, sghemba, che sembra quasi stonare senza mai risultare fuori luogo, è un accompagnamento melodico perfetto. Lo scazzo generale è molto british, ma non disturba particolarmente, anzi: rende i brani piacevolmente equilibrati, li fa giocosi, sospesi come sono in quella terra di nessuno che non è Rock duro, non è Grunge, non è Brit-Pop, ma è un po’ tutto questo insieme.

Alcune scelte di composizione sono forse troppo facili: arrivano subito, questo è vero; rimangono nelle orecchie, ma sorge il dubbio che sia così perché già sentite altrove, già sperimentate tante (troppe?) volte. Piccolo neo anche per quanto riguarda i testi: un inglese non eccelso, che non convince al 100%. Interessante l’idea di dare al disco un’architettura strutturata, con la prima parte più diretta e la seconda più misterica, criptica; una distinzione che però non si percepisce molto nei fatti e che magari poteva essere maggiormente sottolineata.
I Clowns From Other Space hanno costruito un disco godibile nella sua interezza, che non fa magari innamorare perdutamente ma regala quei quaranta minuti (per nove tracce) di piede battente e testa oscillante. Forse osare di più aiuterebbe, ma la direzione presa è buona e il passo non è casuale, e si sente.


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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #04.06.2016

Written by Playlist

Il Video della Settimana || Blastema – “Asteroide”

Written by Novità

Tortoise @ Cap 10100, Torino, 27/05/2016

Written by Live Report

Tortoise sbarcano a Torino in un caldissimo venerdì sera di Maggio.  Sede dell’evento è il Cap 10100 (il concerto è però organizzato dal meno capiente  sPAZIO211 e da TOdays Festival), altro locale sul fiume della città ma sulla sponda  opposta rispetto al Magazzino sul Po ed ai famosi Murazzi.
Quando entro in sala, intorno alle 21,40, saranno presenti una cinquantina di persone abbondanti e sotto il  palco trovo il gruppo dei soliti noti, quelli che ci si vede sempre in prima fila durante i live nei posti più piccoli del comunque non immenso Cap, dove  in passato nonostante la scontata presenza simultanea è spesso capitato di non riuscire  a trovarsi.
Così, mentre la sala va riempiendosi (non sarà sold out ma credo ci mancherà molto  poco) di pari passo con l’aumento della temperatura al suo interno, si riescono a  scambiare due piacevoli chiacchiere (l’argomento principale ve lo lascio indovinare)  che ci portano all’ora x: le 22,30.

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Eccolo, il combo chicagoano per la prima volta davanti ai miei occhi, con quella marea di strumentazione che i 5 polistrumentisti portano con loro sul palco: al centro due batterie che si guarderanno negli occhi per tutta la durata del concerto ma che flirteranno realmente solo durante “High Class Slim Came Floatin’ In” e “Gigantes” e per non più di un paio di minuti a brano, dietro di loro una postazione di synth ed una tastiera, lateralmente vibrafoni, marimbe, ancora synth, senza ovviamente dimenticare basso e chitarre.
Durante l’esibizione gli avvicendamenti alle varie postazioni saranno numerosissimi ed ovviamente saranno i brani tratti da The Catstophist a fare la parte del leone nel corso di una scaletta che andrà comunque a pescare anche da lavori meno recenti pur non proponendo nulla dai primi 2 dischi, con dispiacere che accomuna un po’ tutti per quel che riguarda il loro zenit Millions Now Living Will Never Die e che invece risulta sicuramente più individuale per quanto concerne l’omonimo esordio che personalmente preferisco al più celebre (e comunque prezioso) TNT, d’altronde il quintetto sul palco ha cominciato a lavorare insieme proprio nel 1998 anno della loro terza e più famosa fatica.

P1060243 (635x640)Il live parte con la title-track dell’ultimo album che dal vivo guadagna in calore ed è seguita dal cubismo sintetico di “High Class Slim…” (che come tutti i brani del live tratti da Beacons of Ancestorship andrà a guadagnare punti rispetto al disco) primo dei due brani con doppia batteria, in questo caso con John McEntrie e John Herndon seduti uno di fronte all’altro (dei 3 batteristi, includendo dunque anche Dan Bitney, risulterà essere McEntrie il più presente allo strumento, nonché il più sorridente e caloroso dei 5 sul palco, ma questo è un altro discorso), il brano è indescrivibile, come si può descrivere la perfezione? La band suona che è una meraviglia, il pubblico già bello caldo per ragioni climatiche oltre che per l’assenza di almeno un minimo d’aria condizionata o di un paio  di ventilatori da soffitto, si scalda ancor di più.
Poi arrivano il gustoso (dal vivo ancor di più) Funk di “Hot Coffee” e soprattutto quella “Shake Hands With Danger” che per chi scrive è il loro più bel brano post 1998 e che rappresenta perfettamente la loro grande coralità ed anche dal vivo si conferma, facendoci godere dei magistrali arrangiamenti della band e del perfetto dialogo tra le  parti in questo seducente brano dalla grande percussività e dal forte sapore  d’Indonesia; di seguito la seconda perla di The Catastophist quella “Yonder Blue” che  orfana della voce di Georgia Hubley perde però gran parte del suo fascino risultando  niente più che una ballata strumentale, neanche delle migliori considerando che  strumentisti abbiamo sul palco questa sera.

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Intanto, per evitare di morire dal caldo e per darvi dunque anche la possibilità di leggere questo report, mi sposto a fondo sala dove la porta d’ingresso, aperta sull’atrio con le finestre spalancate, regala un leggero soffio d’aria ritonificante.
Da qui mi godo la seconda parte della scaletta che trova i suoi momenti migliori nei perfetti incastri di “Gigantes” e nella ballata minimale e jazzata “The Suspension Bridge  at Iguazu Falls” con la solita splendida sezione ritmica qui con vibrafono in primo piano, oltre che con un gran lavoro di Jeff Parker alla sei corde.
Ritornato in qualche modo nel mondo mi rituffo davanti approfittando della breve sosta pre-bis.
Al rientro sul palco i Tortoise ci sbattono in faccia un altro momento di una grandezza  e di una bellezza sovrumana, l’esplosione di “Prepare Your Coffin”, il suo pathos, i suoi magistrali saliscendi, dal vivo questo brano ti entra dentro come non pensavo potesse accadere, vorresti non finisse mai, fanculo al caldo! Continuate a suonarmelo, per sempre…
Altra pausa, brevissima, e secondo encore, questa volta più rilassato con una “The Clearing Fills” perfetta per introdurre “I Set My Face to the Hillside” brano che parte facendo venire in mente un qualche western morriconiano per poi evolversi in una  giostra percussiva (anche qui con vibrafoni in primo piano) marchio di fabbrica di una  band che lascia il palco, questa volta definitivamente, tra le urla e gli applausi sinceri del  pubblico.

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Il suono dei Tortoise live risulta perfetto, come su disco, ma in qualche modo più asciutto, e questo è un bene, perché soprattutto i momenti più statici risultano meno manieristici ed in qualche modo più ricchi di una vitalità latente nell’ascolto su disco. Signori, il pubblico questa sera ha avvertito nell’aria sentori di Stereolab, di Neu!, di Weather Report, di Portishead, di Battles, di Cul de Sac, di Soft Machine…ha ascoltato Jazz, Free Jazz, Dub, Kraut, Experimental, Fusion, Trip Hop, Minimal…come suonano i Tortoise? Che genere fanno? Rassegnatevi, continueremo a non saperlo,  anche perché tutti gli stili sopra citati sono eseguiti in un modo assolutamente peculiare  ma con grandi contaminazioni.
Finché questa band sarà capace di offrire serate del genere fatevi bastare il fatto che facciano Musica, con la M maiuscola, e che la suonino (dal vivo ancor di più)  veramente come pochissimi altri e senza mai risultare scontati nemmeno nei momenti  più “semplici”.

Per i più curiosi ecco la tracklist della serata (spero indovinata, il caldo non ha aiutato): “The Catastrophist” \ “High Class Slim Came Floatin’ In” \ “Hot Coffee” \ “Ox Duke” \ “Dot/Eyes” \ “Shake Hands With Danger” \ “Yonder Blue” \ “Eros” \ “Gigantes” \ “Ten-Day  Interval” \ “The Suspension Bridge at Iguazu Falls” \ “At Odds with Logic”

Encore 1: “Prepare Your Coffin” \ “Crest”
Encore 2: “The Clearing Fills” \ “I Set My Face to the Hillside”

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Recensioni | Giugno 2016

Written by Recensioni

Never Trust – The Line (Alternative Rock) 6,5/10
Energico Punk’n’Roll influenzato dai Paramore degli inizi e dalla melodia acida dei Guano Apes. Il timbro camaleontico di Elisa Galli conferisce ai brani una marcia in più. In “Turmoil” aleggia lo spettro dei Lacuna Coil, aprendo le porte ad influenze Gothic che hanno un senso compiuto nel contesto del brano. Peccato che le cartucce più spinte vengano sparate tutte nell’arco dei primi pezzi, ammorbidendo troppo il sound col passare dei minuti.

[ ascolta “A.I.M.B.” ]

Anadarko – Tropicalipto (Post Rock, Noise) 4/10
Gli Anadarko sono un trio di Trieste e propongono un Post Rock molto spigoloso, fatto da riff netti e decisi ripetuti in loop, vitalizzati ogni tanto da influenze Jazz. Quasi tutti i brani hanno lunghi momenti di ripetizione, ma risultano monotoni non avendo molte stratificazioni sonore e cambi di ritmo. Questo fa si che non si riesca mai a catturare l’ascoltatore e trasportarlo nel mondo raccontato. La ripetizione non genera ossessione, i suoni non ti lanciano nel cosmo o ti rinchiudono in un quadro post apocalittico. La sensazione e che ci si trovi davanti a brani figli di sessioni di improvvisazione piuttosto che a lavori rifiniti e cesellati da sofisticati incastri sonori. Le basi ci sono ma andrebbero esplorate e ampliate.

[ ascolta “Aterfobia” ]

Hoax Hoax – Shot Revolver (Post Rock, Noise) 4/10
L’ambizione di questo progetto è strettamente legata alla dimensione live, perchè è quella di creare un palcoscenico globale dove ciò che viene offerto per l’esperienza è al punto di incontro tra la musica degli Hoax Hoax, le video proiezioni e la luce. Nel loro Post Rock ci sono tanti sconfinamenti, come col Noise di “Huacos”, ma talvolta nettamente fuori contesto. Nel complesso quello che manca non è un senso logico ed organico, ma è un lavoro che senza il contesto multimediale non può essere apprezzato a pieno.

[ ascolta “Ablution” ]

Light Lead – Randomness (Dream Pop) 6/10
I bresciani Davide Panada, Beppe Mondini e, soprattutto, la voce di Michael Israeli confezionano questo Ep d’esordio dal sapore vagamente Beach House, anche nello stile vocale molto simile a quello di Victoria Legrand, ma con una maggiore semplicità e, purtroppo, decisamente meno talento. Eppure le cinque tracce di Randomness rapiscono già ai primi ascolti, grazie a suoni incastonati alla perfezione tra i vuoti delle corde vocali e a melodie eteree e rilassanti. Assolutamente da rivedere sulla lunga distanza, partendo dalla straordinaria opening “We Won’t Get Lost”.

[ ascolta “We Won’t Get Lost” ]

Rufus Party – Connections (Alternative Rock) 3/10
Gli emiliani Rufus Party gonfiano il proprio ego ri-presentandosi con un’opera che vuole essere una sorta di concept sul collegamento che intercorre tra gli uomini e la realtà attuale, sulla saldezza dei rapporti e delle relazioni che si instaurano tra i diversi attori che solcano il palco della vita. Una sorta di concept che però concept non è e che, dal punto di vista musicale, miscela Blues, Soul, Grunge in un miscuglio informe, banale, mal costruito e dal sound che oscilla tra inutilità e mediocrità. Cantato interamente in inglese, Connections è tutto quello di cui non avevamo bisogno, gradevole come una rassegna di band locali a costo zero alla sagra della birra di un paesino di provincia.

[ ascolta “Mothership Connections” ]

Mandela – Paint-sweating Hands (Alt Jazz) 7/10
Ottimo e purtroppo breve concentrato di Alt Jazz sinuoso e avvolgente come le spire di un grosso, lucido serpente. I cinque Mandela ci trasportano sul fondo di un oceano che si agita maestosamente e con placida grazia, tra il torrido di richiami esotici e il rarefatto di atmosfere nebbiose. Tastiere e synth mai fuori luogo, batterie che sanno venire in primo piano per poi arretrare, chitarre frizzanti e inserti di fiati che pennellano sapienti. Più cool di così si gela.
[ ascolta “Massive” ]

Weird Black – Hy Brazil (Psych Pop) 7/10
Italianissima formazione dedita a esperimenti lisergici ma senza prendersi troppo sul serio, che alla lezione Neo Psych dei C+C=Maxigross applica l’approccio scanzonato e Lo Fi di Mac DeMarco e una mollezza Folk da menestrelli d’altri tempi, elettrificata nei momenti opportuni, ad aprire parentesi sinistre (“In The Grave Of Lord”) oppure semplicemente a ricondurci nel presente, evitando abilmente di cadere in mere citazioni.
[ ascolta “Despite The Gloom” ]

Leave The Planet – Nowhere (Dream Pop, Synth Pop, Nu Gaze) 6,5/10
Duo londinese dalle origini italiche, i Leave the Planet sono Jack ai riverberi e Nathalie ai sussurri Shoegaze. Il Dream Pop del loro EP di esordio cavalca l’onda sintetica revivalista à la Slowdive, per sei gradevolissime tracce fatte di molti layer, soffici e giustapposti. L’assaggio stuzzica il palato, non resta che augurarsi che alla prova in full-length i due arrivino con qualche elemento in più a personalizzare la propria cifra stilistica.  
[ ascolta “Forever” ]

Femme – Debutante (Pop, Dance, EDM) 6,5/10
Un pixie cut rosa candy che campeggia sulla copertina del suo debut, ritmi easy da dancefloor sempre al limite del pacchiano e voce squillante e zuccherosa che ogni volta salva il tutto, specie quando si placa nelle ballad: è questa la formula di Femme, che si va a collocare nel folto esercito delle eroine del Pop danzereccio internazionale, per portarci una manciata di singoli appiccicosissimi, un’estetica accattivante e una buona dose di ironia.
[ ascolta “Light Me Up” ]

23 and Beyond the Infinite – Loath: Insane Mind Festival (Noise, Psych) 5,5/10
Quella della formazione beneventana è una psichedelia che deve molto alle origini del genere, chitarre distorte che si afflosciano narcotizzate, le liriche in inglese del cantato allucinato, esotismo quanto basta per catapultarsi nei mitologici 60’s. “From The Future to You” si sbilancia verso un Garage Rock oppiaceo ma è una promessa ingannevole: ci si gode il trip ma si resta insoddisfatti quando al termine dell’album appare chiaro che il viaggio è verso il passato, ed è di sola andata.
[ ascolta “From The Future to You” ]

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