Non riesco proprio a capire come si possa non apprezzare questo “A Safe Place” criticandone la scarsa originalità, la ricerca di strade sicure, la riproposizione di qualcosa già sentito. Per prima cosa vorrei sapere cosa avete ascoltato di cosi originale prodotto in Italia negli ultimi dodici mesi. Fatemelo sapere perché forse in tanti ce la siamo persa questa band tanto innovativa. Anzi, facciamo cosi. Rendo la cosa più facile. Usciamo dai confini della penisola (camionisti permettendo). Ditemi anche una band straniera che ci abbia regalato una musica apprezzabile e mai ascoltata prima.
Forse qualche nome potrei farlo anch’io (James Blake?) ma in fondo non saremmo proprio davanti ad una rivoluzione vera. Cerchiamo quindi di non prendere questa storia dell’originalità come un’ossessione. Copiare non va bene; annoiare non va bene. Fare un disco cosi bello va bene, porca troia. Magari ce ne fossero di più di band cosi poco originali e cosi belle dalle nostre parti. Facciamo cosi. Ogni tanto bruciamoci il cervello e lasciamolo da parte (non correte a prendere la bottiglia di vodka che avete nascosto in camera, era solo una metafora. Ogni scusa è buona…). Scrivere una recensione non significa sempre giudicare o dissezionare nota per nota o fare pubblicità (buona o cattiva che sia). A volte è solo un tentativo mal riuscito di esprimere a parole le emozioni che la musica scalda fino a farle bruciare nel nostro cuore. A volte è solo esprimere a parole quello che le parole non possono esprimere.
“A Safe Place” esce a tre anni di distanza da “Low Fidelity in Relationships” ed è interamente prodotto e registrato dal gruppo (la Dead End Street è proprio l’etichetta della band). Come dire: “Il pallone è mio e ci faccio quel cazzo che mi pare”. Le fonti d’ispirazione dei quattro piemontesi sono, a detta loro, R.E.M., Wilco e Arcade Fire. Come vedremo e ascolteremo però, il sound sembra inserirsi in un filone leggermente diverso. I Farmer Sea nascono a Torino nel 2004 e subito si danno da fare con gli Ep “Where People Get Lost and Stars Collide” e “Helsinki Under the Great Snow”. Il primo sopra citato album esce a cinque anni dal parto ed è prodotto da Borgna (Perturbazione, Zen Circus, Settlefish, Crash of Rhinos). Oltre alle innumerevoli apparizioni dal vivo (Heineken Jammin Festival, MiAmi, tanto per citarne alcune), il loro video “Teenage Love” gironzola per le viuzze di MTV Brand New e Deejay Tv. Nel 2012 è la volta di “A Safe Place” e le promesse fatte negli anni sono tutte mantenute. Un album di una bellezza disarmante già dalla copertina che come una petite madeleine risveglia infiniti ricordi siano essi personali momenti di tanti anni fa o lacrime perdute o il giorno in cui avete avuto tra le mani per la prima volta Spiderland degli Slint (a loro ho pensato quando ho visto quei ragazzi in mezzo al lago). La musica che racchiude è un elogio all’estetica, con la paura (tema portante dell’opera) come fondale emotivo. Il brano d’apertura “The Fear” è tra i più belli in assoluto e riassume interamente il sound della band. Un Pop semplice, con un ritmo fresco e una melodia orecchiabile. Note che salgono al cielo in punta di piedi ricordando per armonie e delicatezza più i Death Cab For Cutie (probabilmente la band a loro più vicina) che appunto gli Arcade Fire, estremamente più complessi e ricercati. Le note iniziali di “To the Sun” vi ricorderanno un altro inizio eccellente (suggerimento: pensate ai Pavement meno lo-fi) e vi trascineranno in un ritmo meno introspettivo e ancor più rassicurante dell’iniziale brano d’apertura. Schitarrate Jangle e ritornello perfetto che vi regaleranno attimi di felicità. Quel Pop che ci piace tanto e che, negli ultimi anni, sembrava poter essere concepito solo nelle terre mica tanto allegre tra Londra e paesi Scandinavi. Pensiamo ai Fanfarlo o a Jens Lekman, in alcuni punti ai Belle & Sebastien per dire ma non dimentichiamoci mai quella sottile vena malinconica che accompagna e caratterizza ogni momento del disco. “Lights” riesce a caricare le atmosfere con le sue ossessioni martellanti senza mai suonare sgradevole ma anzi mantenendo intatta la purezza del suono richiamando il folk di Wilco senza mai farne agnello sacrificale. “Small Revolutions” rappresenta veramente una piccola rivoluzione. Molto piccola a dire il vero. Il ritmo si fa più incalzante e il basso corre come se gli Strokes avessero deciso di darsi una mezza calmata, mettersi il costume e volare in California alla ricerca della felicità. A metà album troviamo “The Green Bed”, forse l’unico pezzo non troppo riuscito o meglio meno facile da inserire tra gli altri brani e soprattutto “Nothing Ever Happened” in cui la formula mista di pop nordico stile Billie the Vision & The Dancers e Cats on Fire e folk pulito, si amalgama senza sbavature agli arrangiamenti sempre perfetti e alle incursioni di strumenti meno banali del solito (nel disco troviamo incastonature mai azzardate ma sempre leggere, di tastiere, organo, xilofono e sequenzer).
“Number 7” allarga il sound dei Farmer Sea come un’“elettronica rinascita” mostrandoci una botola dalla quale esce lieve l’odore di un Post-Rock scuola Mogwai (pensate a The Sun Smells Too Loud) e prepara la strada a uno dei pezzi più belli, “Summer Always Comes Too Late For Us”. Un vorticoso e ripetitivo lento viaggio psichedelico verso le stelle tra schitarrate stile Girls che appena appena ci accarezzano e parole che come flebili sussurri sembrano echeggiare da un luogo lontano ripetendosi ossessivamente come a volerci tranquillizzare a dispetto di quello che è il loro puro significato letterale. Momenti che vorresti non finissero mai. E che dopo sei minuti, finiscono. “Disappearing Season” è forse il pezzo che più richiama i pluricitati canadesi ed è anche quello che ricalca maggiormente la forma canzone per eccellenza fatta d’intro-ritornello-ecc… Aggiunge poco a questo “A Safe Place” ma mantiene costante la voglia di ascoltare. Ultimo brano, “For Too Long”, il mio preferito, prende tutti i punti di forza del disco e li chiude in un fazzoletto. Ritmi lenti e ripetitivi, voce carica di empatia scuola Red House Painters, psichedelica appena accennata a la Girls, musica melodiosa, densa di spleen, affascinante, triste ma non angosciante come abbiamo imparato ad apprezzare dai Death Cab For Cutie. Una perla di amarezza mista ad amenità e leggiadria. Una pioggia di parole flebili e note appassionate. Un sole dall’odore intenso. A Safe Place. Chiudo con una frase di una banalità da galera. Tanto, chi le legge le recensioni fino alla fine. Se non fosse stata una band italiana a realizzare questo disco….!?
P.s. Se non gli date un ascolto, vi meritate Giovanni Allevi che accompagna Fabri Fibra che duetta con Albano a SanRemo presentato da Facchinetti, tutta la vita!