A TOYS ORCHESTRA Tag Archive

Rock Your Head 2024: la 14a edizione del festival abruzzese con Uzeda, A Toys Orchestra e tanti altri

Written by Eventi

A Montebello di Bertona, dal 12 al 14 agosto, con un programma musicale variegato e diverse attività culturali orientate alla conoscenza critica del territorio delle aree interne.
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Dove il luogo determina la musica – Intervista a Fabio Bortolussi di Sexto ‘Nplugged

Written by Eventi, Interviste

Dal 3 al 7 luglio torna il boutique festival friulano, con Slowdive, bdrmm, Cosmo e tanti altri.
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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #01.04.2016

Written by Playlist

“Wake me up” è il nuovo video degli A Toys Orchestra

Written by Senza categoria

“Wake me up” è il nuovo Video degli A Toys Orchestra, la loro voce contro la violenza sulle donne. Un’anteprima alla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne che si celebrerà il prossimo 25 Novembre. Il video è il frutto di una nuova collaborazione tra il regista Marco Missano e gli A Toys Orchestra. Sia il regista che i Toys concordavano nel voler affrontare a modo loro, con tutta l’arte, la delicatezza, la sensibilità necessaria un tema molto scottante ed attuale come quello della violenza sulle donne. Soprattutto quella più invisibile, consumata nell’intimità della vita quotidiana e all’interno delle pareti domestiche.

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Stati di Agitazione Festival: il video-report dell’evento

Written by Senza categoria

Si è conclusa la due-giorni di Stati di Agitazione, manifestazione voluta della Pro Loco di Trentinara. Le telecamere di QALT, presenti all’evento, hanno raccolto un po’ le testimonianze dei partecipanti, da Massimo Zamboni (CCCP, CSI) agli A Toys Orchestra, gli Yes Daddy Yes e i Capobbanna, fino ad arrivare agli organizzatori. La domanda è la stessa per tutti: cosa significa per loro l’espressione “Stati di agitazione”. A completare il report, i live dai concerti di EX-CCCP e A Toys Orchestra.

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Top e Flop 2014, secondo i redattori di Rockambula

Written by Classifiche

Edoardo Borghini – Fumare per Noia

Written by Recensioni

“Ci riproviamo, ci ricaschiamo”: così comincia Fumare per Noia secondo (capo)lavoro di Edoardo Borghini, giovane cantautore livornese, che vuol dare un seguito al suo primo omonimo disco. Forse questo titolo perché l’artista vuol subito chiarire che, per una sorta di consecutio temporum, “Fumare Per Noia” è il logico risultato di una maturazione artistica avvenuta in un periodo, neanche troppo grande, che passa attraverso arrangiamenti molto più complessi e persino per imitazioni canine in “Canzone di Quel che mi Viene in Mente” (proprio come fece John Lennon quando impersonificò un tricheco in “I am The Walrus”, sesta traccia dello storico Magical Mystery Tour, spesso coverizzata ed eseguita live anche da artisti del calibro di Frank Zappa, Oasis, Styx e dai nostri conterranei A Toys Orchestra). In “Perso l’Occasione di te” si ha la sensazione di imbattersi in un gioco musicale che prende spunto a quella “Eleanor Rigby” tanto cara agli stessi The Beatles e all’estro geniale del già citato Frank Zappa. Di quei riferimenti a Neil Young e a Francesco De Gregori che si erano riscontrati nel precedente compact disc invece è rimasto poco, proprio come se si volesse far capire l’ampiezza artistica di Edoardo Borghini che stavolta ha optato per un repertorio tendente più a Lucio Battisti (quello del periodo Mogol) e agli americani Byrds.

La conclusione è affidata a una “Ho Preteso” che è cantata in maniera piuttosto originale ed eseguita strizzando l’occhio al Jazz e allo Swing degli anni cinquanta. Peccato che il nostro viaggio sonoro con Edoardo Borghini duri solo otto canzoni (una mezz’oretta di tempo circa). Ci stavamo prendendo gusto. E come dice lo stesso Borghini in “Canzone di Quel che mi Viene in Mente”: “No, io non sono quel che si dice un cantautore matto, un canzoniere, un paroliere, ma so solo che a te piaccio così come sono”. E per una volta tanto l’autostima è davvero meritatissima.

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Il Cane – Boomerang

Written by Recensioni

Nuova fatica per Il Cane che torna a due anni di distanza dal precedente disco Risparmio Energetico. Il secondo lavoro si chiama Boomerang ed esce sotto etichetta Moscow in collaborazione con Matteite Records. Un sound elettronicamente moderno scaccia la noia dei soliti cantautori Indie, ormai non sentiamo niente di nuovo da troppo tempo, la paura è sempre quella di scendere nella convenzionalità assoluta. Il prodotto di Matteo Dainese aka Il Cane è fresco, il profumo si sente da lontano, il rancido malessere della mediocrità non passa mai dalle sue parti. “Vero” apre Boomerang in maniera delicata, chitarra acustica ritmata dal sentimento, batteria che apre il pezzo come nei migliori stati di grazia, il riff gira simpatico e dannatamente orecchiabile. Grande impatto il primo brano. Capisco subito di avere tra le mani una produzione importante. Quindi qualcosa di musicalmente valido vive in Italia? Piacerà a molti, attirerà l’invidia dei saputelli musicali. Poi “Il Premio” e l’effetto sole continua ad abbronzarmi la faccia, quasi brucio ma resisto. Particolarmente colpito da “Maledizione”, elettronica cupa, ritmo capace di trasmettere gioia e tristezza. Miscela di sensazioni, tremo col sorriso e nonostante tutto sono felice. “Al Tuo Tempo” arriccia la pelle, intima e violenta. Interiorità trasmessa dalle fredde corde della chitarra, pezzi di vita in musica.

Musica ritmicamente incalzante in “Alla Grande” e “Sguardo Perso”, buona interpretazione vocale de Il Cane, la sua voce rimane impressa come poche. Particolare e da non sottovalutare. “Lacrime” sembra un inno alla delusione, pizzica lo stomaco. Emotività al massimo ed esplosioni Post Rock. Sempre tutto legato da un senso di innovazione, qualcosa di diverso. Sulla stessa linea “Spettri”, un testo bellissimo e la capacità di lasciarsi penetrare incondizionatamente. Perché fare musica significa soprattutto regalare emozioni, e in Boomerang troviamo tanta roba, ascoltate “Cuscino Rosso” e lasciatevi incantare. Le idee girano bene nella testa de Il Cane, girano talmente bene che le soluzioni sembrano essere sempre a portata di mano. Diversa e particolare “Panico”, si gioca molto d’effetto. Si ritrova la potenza delicata dell’inizio nella conclusiva “Sconosciuti”, molto Rock e introspettiva, Il Cane brucia di molto la diretta concorrenza. Non mancano importanti collaborazioni per la riuscita del disco, Egle Sommacal (Massimo Volume), Ilaria D’Angelis (… A Toys Orchestra) e Marco Testa di Fuoco (Giorgio Canali & Rossofuoco) sono soltanto alcuni dei musicisti presenti in Boomerang. Arrivare al secondo album e confermare il primo è roba rara tra le band e i cantautori di questa sporca epoca, Il Cane non solo conferma ma migliora la propria produzione e Boomerang assume una propria personalità garantendo bellezza e originalità. Il Cane è tra i migliori artisti italiani in circolazione, e quelli meritevoli si contano sopra le dita di una mano. Se non volete scendere nella banalità di album fotocopia e finti cantautori questo disco darà la svolta alla vostra ricerca. Pop è bello. Boomerang è stupefacente.

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A TOYS ORCHESTRA nuovo album e date del tour

Written by Senza categoria

Risale al 2007 la pubblicazione di Technicolor Dreams, l’album con il quale gli …A TOYS ORCHESTRA si sono imposti all’attenzione del pubblico e con il quale hanno vinto la Targa PIMI come miglior album dell’anno.
Grazie a quelle canzoni la band campana è riuscita a fondare le credenziali che la vogliono oggi punto di riferimento nell’attuale scenario rock italiano destinato per sua natura al mercato internazionale.
Per tal motivo i Toys hanno espresso e realizzato il desiderio di riproporre le canzoni contenute in quell’album, per ripresentarle al loro pubblico, la maggior parte del quale non ha mai avuto l’occasione di ascoltarle dal vivo.

Niente di meglio che un tuffo nel passato per potersi proiettare direttamente nel futuro.
I Toys infatti sono in procinto di iniziare le registrazioni del loro prossimo lavoro, già interamente scritto e provinato.
La scelta di recarsi a Berlino  il prossimo gennaio per la costruzione di un altro tassello della loro storia è alla base di una necessità che la band ha sentito viva negli ultimi anni grazie anche alla loro partecipazione ad eventi quali l’Eurosonic in Olanda ed il Reeperbhan festival in Germania: confrontarsi con la dimensione artistica europea, mettersi in gioco, provare ad allargare i propri orizzonti e crescere,esattamente come hanno fatto in Italia a partire dal loro primo tour ai tempi di “JOB”.
La produzione esecutiva dell’album sarà curata da Urtovox rec ed Ala Bianca, già partner per il precedente album MIDNIGHT REVOLUTION targato 2011.

Le prossime date del tour:
17-dic Roma Martelive @ Alpheus
20-dic Napoli Casa della musica
22-dic San Benedetto 17 festival
27-dic Palermo Candelai
28-dic Catania Barbara Discolab
09-gen Bologna Locomotiv
10-gen Padova Studio 2
11-gen Perugia Urban

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Jules not Jude – The Miracle Foundation

Written by Recensioni

Tra la cover confusamente psichedelica con qualche simbolo inconfondibile e l’opening track (“Perfect Pop Song”) ordinaria, tutto lasciava avvertire l’immersione imminente nell’ennesimo ascolto di una band figlia dei Beatles con poca voglia di andare oltre. Proprio Lennon e Mc Cartney sono palesemente omaggiati in quella perfetta canzone Pop, almeno nel titolo, che ci apre la porta di The Miracle Foundation (tributo ribadito nel nome stesso della band e in altre circostanze) ma quello che troviamo dentro la stanza è meno polveroso di quanto mi aspettassi. Ammetto di non essere stato tempestivo nella scoperta dell’esordio di tre anni fa, All Apples Are Red, Except for Those Which Are Not Red, e l’occasione buona arriva proprio con questo secondo album. Ovviamente i tanti cambi di line up si fanno sentire, talvolta nel bene e altre nel male, ma quello che è certo è che i quasi trentasei mesi in giro per l’Italia e l’Europa a fare concerti hanno dato la possibilità ai bresciani di detergere il loro approccio con la materia Pop-Rock e, seppure il risultato sia ancora lontano anche solo da un’apparente perfezione, certo Simone Ferrari (voce, chitarre, piano, organo, tastiere), Andrea Buffoli (chitarre, sintetizzatore, effetti), Mauro Parolini (basso, percussioni) e Daniel Pasotti (batterie e percussioni) hanno fatto quel balzo in avanti per togliersi almeno dal gruppone, più numeroso di quello che si possa pensare, dei senza talento e senza idee che arrancano nella salita verso il successo, che non sempre è lo stadio di San Siro colmo di spettatori ma anche un sold out al Circolo degli Artisti.

Come la band di Liverpool, anche qui tanti sono i simboli in parte nascosti, a partire dal nome dell’album che si rifà a quello di un’associazione americana che si occupa degli orfani in India, usati dalla band, per poi sviluppare una forma espressiva che trova nell’abbandono il suo filo conduttore, pur non trattandosi specificatamente di un concept album. Con i Beatles nel cuore, i Jules not Jude riescono, però, a non suonare come l’ennesimo gruppo non accortosi che il 1970 è finito da un pezzo e rincorrono altre strade che li spingono verso una certa psichedelia a stelle e strisce con vaghe sfumature Folk e qualche frizzante passaggio Alt Rock più giovane. Dove però si riesce a limare un difetto palese delle prime cose targate Jules not Jude ecco che altre imperfezioni sembrano iniziare a galleggiare sul mare di note. Lasciamo da parte il discorso sull’originalità della proposta che ormai è merce rara quanto Yesterday and Today con la butcher cover in un mercatino dell’usato. Gli otto brani che compongono la tracklist sono diversi tra loro, ma solo all’apparenza, perché in realtà viaggiano tutti su un’onda di convenzionalismo pericoloso. Ogni cosa è suonata in maniera puntuale ma non c’è nulla che regali alla musica quel qualcosa in più che serve veramente per non passare inosservati. Tutto è buono ma niente è stupefacente e neanche le melodie sono totalmente trascinanti tant’è che faticano ad attecchire nella memoria anche dopo diversi ascolti.

A questo punto vi chiederete perché abbia affermato in precedenza che i Jules not Jude non sono senza talento e senza idee, visto che nell’ultima frase non ne sottolineo certo la riuscita dell’ultima opera. Il motivo è semplice. Come accadde per un’altra band prodotta dalla Urtovox, gli A Toys Orchestra (i quali prestano la voce di Enzo Moretto in “Raise the Hood”) anche se secondo dinamiche diverse, i primi due album, (nel nostro caso, The Miracle Foundation in particolare) hanno messo in luce in maniera più netta del solito le potenzialità inespresse che pareggiano i difetti. Poca sperimentazione, strutture troppo sbrigative, melodie non troppo ricercate e un po’ di confusione in fase di proposta sembrano irregolarità che il tempo, il lavoro e uno spirito autocritico possano risolvere in qualche modo, almeno in parte. Ovviamente le potenzialità potranno poi incanalarsi per una strada a me più gradita oppure seguire il solco già tracciato di chi quantomeno è riuscito a uscire dall’oscurità ma quello che è certo è che se non dovessimo più sentir parlare di loro, sarebbe davvero un peccato. Il Pop Rock dei Jules not Jude non è del tipo che adoro, come non lo è quello dei ben più celebrati A Toys Orchestra eppure come non faccio fatica a comprendere (attenti, non condividere) i consensi di pubblico e critica per la band campana, non sarei stupito se dovessi vedere lo stesso pubblico e la stessa critica acclamare, tra qualche anno, i bresciani Jules not Jude.

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Kash – Full Of

Written by Recensioni

Anche se in ritardo ho scoperto i Kash, gruppo nato nel lontano 1997 e formato dal cantante Stefano Abbà, dal chitarrista Paride Lanciani e dal bassista Luigi Racca, che nel 2012 esce con un nuovo lavoro Full Of, registrato agli Oxygen Studios sotto la regia attenta di Steve Albini (Scott Weiland, Iggy & The Stooges) . Il 2012 è un anno particolarmente fortunato per il gruppo che intraprende un tour promozionale negli USA e in Inghilterra, suonando al BBQ Festival e ATP Festival e in generale con artisti importanti quali: Il Teatro degli Orrori, Marlene Kuntz, A Toys Orchestra, Love in Elevator, Dandy Wharrol e molti altri.
L’album Full Of si presenta sotto la forma di otto brani che genericamente potremmo racchiudere nello scaffale dell’Indie ma che in particolare mi ha fatto pensare a quel Grunge graffiato e malinconico che riconduce ai Nirvana. Al primo ascolto non si capisce bene il significato di questa musica, ma mentre ci si addentra in questo corridoio sonoro si percepisce la necessità di sgombrare la mente e di farci entrare brani come “Monster of Fire”, “Eagle”, “Hero of Lovers” e “Private War”, i cui significati non colpiscono subito la parte razionale della testa ma che alla fine figurano e raccontano quegli elementi reali dell’esistenza di ognuno di noi e cioè l’amore, la paura, i demoni interni, le battaglie del mondo, i colori della mente e gli angeli che ci proteggono.

La registrazione dell’album, inutile dirlo, è uno degli elementi più belli, perché nella sua apparente semplicità si scorge quell’incastonatura sempre molto precisa della batteria con la chitarra, della voce con il basso e della musica con l’anima. Tutti elementi nascosti magari sotto la vocalità sospirata, che comunque sottolinea in maniera evidente la cifra stilistica e l’intenzione musicale che si vuole imprimere nel disco, che diventa Rock sofferto soprattutto nell’ultimo brano “Blood of” come a voler salutare chi sta ascoltando riempiendolo di un qualcosa di etereo e di impossibile da catturare. Che questa sensazione sia musica? Nessuno può dirlo prima di aver ascoltato in silenzio.

 

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Appino e Il Testamento 25 Aprile @Magnolia

Written by Live Report

25 aprile in un Magnolia non pienissimo sono in attesa di partecipare a un live ricco di aspettative, soprattutto musicali, visto che per il suo primo lavoro da solista Appino si è circondato di musicisti di gran rispetto come Giulio Favero e Franz Valente, militanti nella sezione ritmica del Teatro Degli Orrori, ed Enzo Moretto dei navigati A Toys Orchestra. Il lavoro realizzato dalla voce degli Zen Circus si discosta, e non poco, dalla consueta veste nella quale si è solito ascoltarlo. Niente Pop/Punk irriverente e ironico, tutto è momentaneamente congelato per dar spazio a un mondo oscuro, tetro fatto di demoni e masse alienate, di sentimenti dalle sfumature nere come la pece e rosse, di quelle porpora degne di un horror all’Argento. La gente stasera non è venuta con le scarpette lustre e le maglie lucenti per passare una serata scanzonata, è tutta lì per ascoltare un album che ha rapito per la profondità dei testi e il peso delle parole. Il live purtroppo incomincia con qualche problema acustico, il Magnolia è un posto nato per la musica ma questa volta le pecche sono molteplici sia per la voce sia per il basso. L’inizio è comunque oltremodo irruento, rock duro e puro quello che esce dalle note di “Fiume Padre”, “Fuoco” e “Lo Specchio Dell’Anima”. Tripletta devastante dove l’impronta del duo ritmico del Teatro Degli Orrori si fa sentire di prepotenza, manca solo che Appino si trasformi in Capovilla, ma questo per fortuna non accade. Si accentuano le sincopi e i toni psichedelici con “Passaporto”, nella quale Favero abbandona il basso per dedicarsi ai synth. Fino adesso i suoni sono ricchi di distorsioni e la stessa voce di Andrea si fa decisamente più sporca rispetto al disco. il live rende questo disco, grezzo, accentuandone in maniera decisa la durezza. E’ tempo di ascoltare la title track “Il testamento”, dedica a Mario Monicelli ed intensa come poche. Si prosegue con un omaggio e una dedica ad un giorno come il 25  aprile e “Questioni Di Orario” risuona per tutti quelli che sono figli di nessuno, un po’ come noi italiani verrebbe da pensare. L’esplosività della prima  parte lascia il passo a melodie più chiare e delicate nelle quali le chitarre travolgenti si prendono un profondo respiro per lasciare la sola voce di Appino nei “I Giorni Della Merla” a scaldare la platea, tanto che dismessi per un attimo i panni da roker scende a cantare con il pubblico, come se all’improvviso fossimo tutti catapultati ad una festa tra ragazzi che urlano emozioni al cielo. Si continua sul filone ballata con “Godi” e con un marcato accento pisano si fa anche ironia sul tema del carpe diem. Il momento intenso e melanconico si infrange nell’istante in cui si intuiscono le note di “Tre Ponti”, il ritmo riprende e la chitarra di Moretto si incendia, tanto che lo stesso Appino finisce travolto in un duetto all’ultima nota. Segue il primo singolo “Che il lupo cattivo vegli su di te”, una vera ninna nanna di cui però rompe gli schemi tradizionali per trasformarsi in un incubo ad occhi aperti degno dei fratelli Grimm. Pelle d’oca non c’è altro da dire, difficile stare fermi o non cantare un motivetto così pervasivo. Seconda citazione per Monicelli con il brano “Solo Gli Stronzi Muoiono” con annessa invasione di campo o di palco da parte di un troppo esuberante ascoltatore, per fortuna allontanato dal microfono dalla discreta security. Appino si rivolge al pubblico: “Avete paura di morire?” E mentre sale un corale no in sottofondo parte una sommessa marsigliese sulla quale si innesta una paranoica “Schizofrenia” pezzo selvaggio, vero Punk Rock che chiude il concerto. Il gruppo esce ma tutti sanno che manca ancora qualcosa all’appello, e infatti si torna sul palco per i saluti finali e per concludere questo viaggio nell’Ade personale di Appino con due brani: l’attuale “1983”, canzone dedicata al presidente Pertini e al suo discorso di Natale, e con ultima perla: “La festa della Liberazione”. Appino indossa le vesti da cantautore vissuto, imbraccia la chitarra e la fisarmonica e ci incanta con una ballata alla Bob Dylan dal sapore agre come il fiele, che per me vale tutto il concerto.  Il super gruppo ci lascia ai synth e alle distorsioni ad libitum che stonano con tutto l’atmosfera creatasi lasciando gli ascoltatori allontanarsi tra rumori e distorsioni. Bel lavoro, bel concerto, un 25 degno di essere ricordato.

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