Fa un caldo impressionante, si suda a stare fermi, il mio pc sembra un drago sputafuoco, non si hanno le forze neanche per prepararsi e andare a fare un aperitivo dopo il lavoro.
E no, non vi sto dicendo niente di nuovo.
Fortuna che posso presentarvi il progetto ABWNN (acronimo di A Band With No Name) che invece è nuovo, giovane e anche fresco, così non sembrerò troppo banale.
Quattro ragazzi di Bergamo, tante date live alle spalle racimolate nei soli due anni di attività, un demo autoprodotto, Sweet Irene, e soprattutto sorprendentemente solo diciassette anni ciascuno.
Sorprendentemente perché fin dalle prime battute di Montecarlo bay blows up, traccia di apertura, si nota una buona capacità tecnica, soprattutto della sezione ritmica, e un certo gusto che non ci si aspetta proprio da dei ragazzini. Luca Giazzi (voce e chitarra), Marco de Lucia (chitarra e cori), Giovanni Pasinetti (basso) e Alberto Capoferri (batteria) muovono i primi passi all’oratorio e strizzano l’occhio alle più recenti produzioni inglesi, dai Franz Ferdinand (senza i loro adorabili cambi di tempo però) agli Arctic Monkeys, dai Kasabian ai Bloc Party e Miles Kane.
Revolution Time è una cavalcatona indie con stacchi pulitissimi, una batteria insistente e rapida e cori alla Kasabian. Pregevoli le chitarre in She doesn’t know my name, dove la distorsione più pesante dialoga con sonorità e incisi funky.
Shockwave! è forse la canzone più debole dell’album, per quanto il quartetto continui ad avere un buon tiro e una certa cura di dinamiche, stacchi a suon di charleston e timbri strumentali, solo, a mio avviso, segue troppo il filo della traccia precedente di cui risulta più una diretta continuazione che non un brano con una sua personalità.
Esattamente il contrario si può dire dell’ultima traccia, Words are killers: un vero tripudio di riferimenti inglesi, grande attenzione a piccoli incisi melodici che solo apparentemente si ripetono uguali, ritmo ancora una volta incalzante e testo immediato.
ABWNN ha saputo imboccare la strada giusta per uscire dal coro degli stilemi del panorama indipendente nostrano rivolgendosi a quello britannico, in costante fermento. Il livello artistico e quello più squisitamente tecnico sono decisamente alti e la giovane età dei componenti fa promettere veramente bene. C’è solo da augurare a questi quattro ragazzi di avere la fortuna di intuire i prossimi passi per non rischiare di diventare cloni di qualcosa che, seppure “originale” in Italia, ha già raggiunto altissimi vertici oltre manica e non solo, sia per quanto riguarda la comunicazione, sia per la sperimentazione sonora.