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“Frozen”, il nuovo singolo dei The Mugshots
Gcm Music & Alka Record Label presentano “Frozen”, il nuovo singolo dei The Mugshots, prima band europea prodotta da Dick Wagner – storico braccio destro di Alice Cooper e Lou Reed, tra gli altri. Il brano è la personalissima rivisitazione di un celebre capolavoro di Madonna e vede la prestigiosa (e purtroppo ultima) partecipazione al sax e al flauto di Clive Jones della leggendaria band inglese Black Widow, il primo gruppo Rock ad introdurre l’occulto nel Rock. Mixato al Cricio’s Studio da Manu Guerra e Teo Morbio, il mastering è stato poi affidato alle capaci mani del dr. Gil Markle, giá collaboratore di Dick Wagner stesso, Aerosmith, Stevie Wonder e Rolling Stones.
Gibonni – 20th Century Man
Ha una bella faccia, questo Gibonni (al secolo Zlatan Stipisic), una faccia non più giovanissima ma sbarazzina, accattivante, che te lo rende subito simpatico. E il suo ultimo disco, 20th Century Man, il primo sul mercato internazionale dopo una carriera ultra-ventennale che lo ha visto ascendere alla fama prima in Croazia e poi un po’ in tutto il territorio dell’Ex-Jugoslavia, è fatto esattamente allo stesso modo. Una faccia simpatica, sorridente, con qualche ruga qua e là che però forse non è neanche un male, forse è meglio così.
Come spesso rischiano i dischi di artisti non anglofoni che cercano di buttarsi nel vasto mare del Rock’n’Roll internazionale, si ha a tratti l’impressione che 20th Century Man abbia un sapore un po’ retrò, un po’ “ritardatario”. Ma altri episodi più felici ci mostrano un Gibonni viscerale, con un impronta quasi Soul (non tanto come approccio di genere: un uomo pronto a mostrarsi nudo, a cantare col cuore, con l’anima, per l’appunto). Penso a pezzi come l’opener “Hey Crow”, o l’intensa “My Cloud”, dove il Rock più lineare si batte con influssi Southern e inclinazioni Folk con risultati parecchio apprezzabili. Gibonni perde un po’ la strada quando cerca la consacrazione Pop, costruendo un Rock vecchiotto fatto di fiati e effetti vocali (come nella title track – e forse non è un caso che il disco si riferisca ad un uomo del Ventesimo Secolo – o nella conclusiva “Ain’t Bad Enough For Rock’n’Roll”, dal sound Aerosmith), ma appena dopo recupera facendoci percepire l’intensità delle sue emozioni (“My Brother Cain”), anche se macchiate qua e là da eccessi di retorica (“Kids in Uniform” con il coro di bambini…).
20th Century Man pare proprio essere un disco onesto e sincero, con una produzione eccellente (Andy Wright), leggermente dislocato temporalmente, per l’appunto, nel Ventesimo Secolo. Può non essere un male: si legge tra le righe la passione di Gibonni per quel tipo di sound, e anche solo questo basterebbe forse a riscattare il deja vù di certe scelte. Se quest’aria di nostalgia, questo vento di Rock anni ’80, non vi disturba, Gibonni è un compagno credibile per una passeggiata sospesa tra i Grandi del Rock e gli stadi stracolmi che lo accompagnano nei tour nella sua terra natia (e a questo punto non fatico per nulla a capirne il motivo).
Il Tributo da Pagare – Seconda Parte
La seconda persona che mi sento di coinvolgere in questo delicato argomento è una giovane ragazza, fan allo sfinimento degli Aerosmith. Chiacchierando con lei dopo un concerto, scopro che segue da tanti anni una band tributo dei rocker di Boston: i Big Ones.
Da dove viene questa passione per una tribute band? Cosa spinge una ragazza infognata per un supergruppo a seguire i suoi “cloni”? Se la musica è arte cosa c’è di artistico nell’imitazione?
Intanto non parlerei di cloni, a me dà l’idea di un gruppo che scimmiotta senza personalità (e magari anche male) il gruppo a cui vuole rendere omaggio. Non è questo il caso… Il motivo che mi ha spinto a seguirli come tributo è molto semplice: la possibilità di sentire dal vivo la musica dei miei idoli, che purtroppo dalle nostre parti non vengono tutti i giorni, e soprattutto di sentirla suonata bene. Loro non si limitavano a ricreare il sound degli Aerosmith tale e quale, ma ci mettevano anche qualcosa di loro, arricchendolo. Anche questo è fare musica secondo me ed è una qualità. Si sono fatti un nome e un seguito suonando ovunque, ma i Big Ones sono la dimostrazione che si può andare oltre, quando si hanno le capacità e la qualità, che in Italia c’è anche spazio per la musica originale, scoprirete perché…
Quando e come hai scoperto i Big Ones? Cosa ti ha attratto di più? La somiglianza sonora o quella visiva? Che peso hanno questi due componenti in una valida tribute band? Non è un po’ ridicolo vedere un sosia sul palco? Ci sono già i programmi di Gerry Scotti per questo…
Si parla di quasi 7 anni fa. Ne avevo già sentito parlare, ma ero estranea all’epoca al mondo del live, così andai a sentirli a una festa della birra, ero molto curiosa. Ero da poco reduce da due concerti degli Aerosmith. Quella sera, fin dalle prime note, mi è sembrato di rivivere ancora i momenti di qualche mese prima, ero completamente coinvolta da quello che stavo ascoltando. La somiglianza visiva non è stata la prima cosa a colpirmi. È ovvio che abbia il suo peso, basta che non si arrivi al ridicolo, quando si vuole imitare troppo, scimmiottare. Ci va personalità, anche musicale, ed è proprio quello che hanno i Big Ones. È tutto un insieme di qualità che li rende unici.
Fino a dove ti sei spinta a seguire questa band? Quanti concerti e quanti kilometri hai macinato per loro?
In 7 anni direi che qualche chilometro per tutta l’Italia l’ho macinato e ne farò ancora molti! Sono andata anche qualche volta all’estero. Non tengo il conto di quanti concerti abbia visto, ma credo di aver superato quota 100.
Ho saputo che da qualche anno i Big Ones hanno iniziato a comporre musica propria con un discreto successo. Non rischiano che la gente vada a sentirli sperando che suonino “Rag Doll”? Tu che li conosci bene, come sono i loro fan?
Sì, dal 2009 portano avanti con successo un progetto di brani originali in italiano, sono usciti due album distribuiti dalla Warner. Sono stati scelti per comporre la colonna sonora di un film a breve in uscita (“Sarebbe Stato Facile”), di cui farà anche parte il brano “Io Mi Perderò” con musica e parole di Maurizio Solieri, che ha voluto fossero proprio i Big Ones a arrangiare e interpretate il suo brano. Per altro, di questa canzone, verrà girato pure un video.
La gente che li conosce lo sa e, anzi, ai concerti vuole sentire i loro brani originali. Chi li conosce un po’ meno magari viene per sentire “Rag Doll”, ma quando ascolta un loro brano rimane comunque entusiasta, si incuriosisce, ne vuole sapere di più. C’è da dire che il rispetto e la stima per gli Aerosmith c’è sempre, è anche grazie a loro se sono arrivati dove sono ora, ma in ogni caso chi viene ai loro concerti è sempre contento ed è questo l’importante per una band credo, senza i fan è difficile andare avanti. E i sostenitori dei Big Ones aumentano sempre di più!
Non mi resta che lasciare le parole alla musica. Guardate qua e sbizzarritevi.