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“Vladimiro (È Sotto Shock!)”, il nuovo video di Sergio Zafarana

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Il videoclip del singolo “Vladimiro (È sotto shock!)” tratto dall’EP Zafarà, primo progetto solista del siciliano Sergio Zafarana, co-prodotto dall’etichetta indipendente Muddy Waters Musica e registrato ed arrangiato da Aldo Giordano presso il Rec-Studio. Sergio Zafarana è siciliano e scrive musica da che ne ha memoria. È chitarrista e lead vocalist in diversi progetti. Zafarà è il suo esordio da solista. Ha collaborato, tra gli altri, con Cesare Basile e Daniele Coluzzi (Io non sono Bogte). Tra molte esperienze artistiche, di alcune va particolarmente fiero: il premio “Città di Milano” nella rassegna Rock Targato Italia, con Deaprimavera; il premio della critica al festival Risonando De André, con i Trifase; l’EP Storie all’Ombra dei Grattacieli, il brano “A Sara non Piace Viaggiare”, registrato presso il Metropolis studio di Lucio Fabbri. Il suo stile è fortemente influenzato da bevitori dalla voce roca (Tom Waits, Vinicio Capossela), da poeti estinti (Fabrizio De André, Giorgio Gaber), da milanesi capelloni (Afterhours, Paolo Benvegnù), da incalliti sperimentatori (Radiohead).

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Afterhours, dopo Prette anche Ciccarelli esce dal gruppo.

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Dopo Giorgio Prette anche Giorgio Ciccarelli lascia gli Afterhours, nel prossimo tour teatrale entreranno a far parte della band Fabio Rondanini e Stefano Pilia. Di seguito il comunicato ufficiale della band.

“Quello che è successo quest’anno nelle nostre vite è di ben altra grandezza e importanza rispetto a quello che abbiamo appena annunciato e a quello che stiamo per annunciare, ma ci ha reso più determinati nel prendere delle decisioni che era giusto prendere da tempo. Per essere quello che vogliamo essere davvero, come uomini, non come musicisti e, in qualche caso, per ritrovarci. Termina, dopo 15 anni, anche la collaborazione fra Giorgio Ciccarelli e gli Afterhours. Per motivi molto diversi da quelli che hanno portato Giorgio Prette a lasciare questo progetto ma, anche in questo caso, sempre e comunque frutto di un lunghissimo periodo di tentativi, discussioni laceranti, ripensamenti e contraddizioni. Tutto, bello o brutto, eroico o squallido, semplicemente vero. Semplicemente nostro. Semplicemente vita. Per questo chiediamo rispetto per quello che sta succedendo.

Sono tempi bui. Il complottismo da sbarco, il gossip morboso, la malafede, la superficialità e, nel migliore dei casi, il nichilismo, sono segnali della disperazione che ne deriva. Per questo vi chiediamo di fidarvi.

Non è facile per chi va e non sarà facile per chi resta ma le cose GRAVI, nella vita, sono altre. Gli Afterhours sono sempre stati un gruppo di persone inquiete e in movimento. Non sarà mai diverso da così perché è quello che siamo nel profondo e di questo siamo fatti. Questo ci causa da sempre un sacco di problemi. Ma abbiamo imparato a essere orgogliosi della nostra natura. Ci sono, fra di noi, anni di comunione totale che ci legano comunque e che vanno anche oltre quello che sono i nostri rapporti e i nostri desideri di vita oggi. È possibile quindi che, in un futuro vicino o lontano, si torni a suonare insieme. Oppure è possibile che non accada mai. Ma le nostre vite adesso sono più importanti di questo. Ogni volta che abbiamo affrontato uno sconvolgimento, ed è successo più di una volta, è stata anche una grande occasione di rinnovamento. Quest’ultimo gruppo di persone ha espresso una coesione artistica che mai si era realizzata prima negli Afterhours, eppure non si trattava certo della formazione originale. Per noi che restiamo, questa è una prova da affrontare con grande energia e, sì, con grande euforia, perché l’instabilità ci appartiene e non ci spaventa. Ancora una volta per noi è un’occasione. Per questo vi chiediamo di fidarvi.

Si uniscono a noi, per questo tour teatrale, due grandissimi musicisti: FABIO RONDANINI e STEFANO PILIA. Con loro non vogliamo tamponare un’assenza o replicare quello che abbiamo già fatto ancora e ancora in passato, ma provare ad esplorare di nuovo. Sono due fra i migliori talenti che questa generazione ha espresso, abbiamo la fortuna di conoscerli. Abbiamo la fortuna di essere amici. Comincia un nuovo percorso. Chi vuole essere con noi sa che non troverà quello che già conosce, ma è per questo che esistiamo. Sapete che l’unico modo che abbiamo per rispettarvi veramente, per non comprarvi, per non ipnotizzarvi è ESSERE SEMPRE NOI STESSI. Come uomini non come musicisti. Anche quando è doloroso. Anche quando non vi piace. Chi vuole essere con noi sa che l’aspettiamo. Perché abbiamo voglia di voi. Perché abbiamo bisogno di voi. Perché noi siamo se voi ci siete. Per questo vi chiediamo di fidarvi.

Chi non vuole essere con noi, lo diciamo molto chiaramente, sia coerente e ci abbandoni.
Siamo solo un gruppo. La vita, la nostra e la vostra, è più importante di questa cosa.

Con infinito amore,

AFTERHOURS

Manuel Agnelli
Xabier Iriondo
Rodrigo D’Erasmo
Roberto Dell’Era”

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Il Video della Settimana: Vintage Violence – Metereopatia

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Artisticamente sbocciati nell’ormai remoto 2001, i lecchesi Vintage Violence hanno da poco pubblicato il loro nuovo album, Senza Paura delle Rovine composto di tredici tracce inedite e con la partecipazione di Enrico Gabrielli (Afterhours, Calibro 35), Karim Qqru (Zen Circus, La Notte dei Lunghi Coltelli) e con testi interamente in italiano. “Metereopatia” (Videoclip a 360° realizzato con 6 GoPro©) è l’ultimo videoclip estratto e vede la regia del duo Marco Mazzoni, Riccardo Rossi. Potete guardarlo di seguito ed in homepage per tutta la settimana.

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“Tristi Tropici” è il nuovo singolo/video dei SUS

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“Tristi Tropici” è il primo singolo dall’omonimo nuovo album dei SUS, prodotto dal leggendario Fabio ‘Magister’ Magistrali (già all’opera con Afterhours, Bugo, Marta sui Tubi, Perturbazione e molti altri) e licenziato da Technicolor Dischi. Un viaggio di undici brani nelle periferie del pensiero, un rito di iniziazione all’incertezza scandito da un sound popolare e psichedelico. Il video di ‘Tristi Tropici’ , ispirato dalle atmosfere del film indipendente “Noi Albinoi ” di Dagur Kari, è stato realizzato dalla giovane regista Miriam Tinto.

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Marlene Kuntz – Pansonica

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Non vorrei essere azzardato, ma sbaglio o i Marlene stanno tentando un back to origins? Era il 2010 quando gli artisti cuneesi mi colpirono in basso e mi lasciarono tanto di quell’amaro in bocca da farmi girare la faccia e concedermi il dono dello skip tanto per Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini, quanto per Nella tua Luce, facendo scattare nella mia mente un meccanismo stante il quale la loro discografia era bella che terminata nel 2007, con Uno, un lavoro a metà strada fra il bello e lo spiro. Tuttavia è d’uopo ammettere che, anno corrente, la loro performance al Premio Maggio (30/04/2014) mi aveva lasciato a dir poco senza parole, concedendomi il beneficio del dubbio circa il limbo in cui si trovava la loro arte. Ed è una sera di ottobre quando i fantasmi bussano alla porta: sono i Marlene e non hanno alcuna intenzione di liberarsi di me! Mi propongono una nuova opera, uno smartbook da sette capitoli: Pansonica. Un amore altalenante, ma tanto intenso da sortire sempre un certo effetto su di me. Ed eccomi qui, a concedere un’altra possibilità ad una band che, si dica quel che si dica, sa più di immortale che di Rock.

A conferma di quanto proposto in via diretta, i Marlene sembrano voler perseguire una sana gestione di ritorno ai tempi andati e lo fanno già attraverso il titolo del loro nuovo EP: Pansonica è senza dubbio uno di quei termini in pieno stile Marlene, calza perfettamente con vecchi titoli e trova una sua dignità nell’oceano di nomi intriganti (vedi Ho Ucciso Paranoia, Catartica, “Trasudamerica”, “Sonica”) tipici del repertorio dei cari amici piemontesi. L’eccessiva evidenza del ritorno proposto, tuttavia, trova fondamento nella storia del disco, che presenta una tracklist composta da soggetti abbastanza datati. Tutte le tracce sono infatti frutto di un lavoro eseguito nei primi anni di attività della band, ma che non hanno mai trovato la giusta collocazione. Il disco è dunque null’altro se non un omaggio ai fan più affezionati, che da tempo aspettavano di ascoltare un po’ di old school. Ma non ho alcuna intenzione di soffermarmi su simili minuzie da nerd nostalgico.

Il disco apre in gran stile, con un aggressivo “Sig. Niente”, caratterizzato da un giro di basso notevole su cui si stagliano le chitarre del buon vecchio Tesio. Il testo è parlato e la combinazione lineare di aggressività, poetica ed ars oratoria mi riporta alla consapevolezza di “Ape Regina”, confermandomi che Godano è ancora in grado di stupire persino gli scettici come me.  Le tracce successive mantengono l’aggressività della open track, tuttavia ne guadagnano certamente in melodia. Basta fare uno skip verso “Parti”, per abbracciare una melodica poesia. Incazzata si, ma melodica. In questo capitolo si lascia notevole spazio a chitarre non distorte, lievi e ben cullate. Poco Marlene mi si dirà, ma incredibilmente funzionale, senza dubbio alcuno. Nelle scene successive il coinvolgimento diviene totale. Il volume sale a stecca, chiedo scusa al mondo, ma mi spengo per un po’. Si viaggia attraverso titoli che se le suonano di santa ragione, senza esclusione di colpi, che gettano d’istante nel dimenticatoio tutte le buche in cui sono inciampati i ragazzi negli ultimi anni. Un nirvana artistico lungo 3 minuti e 20 secondi che va sotto il nome di “Oblio”, in pieno stile “Nuotando nell’aria” sopprime la mia voglia di nicotina e mi costringe al replay continuo e non mi dà tregua. Chiuso per ferie. Ci scusiamo per i disagi. La mia mente inizia a viaggiare a ritroso nel tempo, torno bimbo e mi emoziono. Il mio sistema nervoso assume una configurazione nuova e mi dà una nuova certezza: i Marlene sono immortali. Faccio un passo indietro e torno su “Ruggine”, quarto episodio della serie. La combinazione perfetta dei singoli sound ci dona un Sole di mezzanotte, capace di illuminare a giorno il più buio dei baratri. La track è incredibilmente aggressiva, il testo semplicemente perfetto. Non ho altro da aggiungere, 30 e lode.

Tirando le somme, mi sovvengono le considerazioni di cui a breve. Qualche mese fa abbiamo avuto modo di ascoltare un remake di Hai Paura del Buio, un’idea Afterhours assolutamente geniale, che ha coinvolto un gran numero di artisti, molti dei quali giovani e talentuosi. Meno di un mese fa, lo sguardo indietro l’hanno lanciato gli Interpol, sotto il titolo di El Pintor. E che dire degli Smashing Pumpkins, che hanno saputo sintetizzare evoluzione e radici in una mistura intitolata Oceania, risalente a ben due anni fa. Se lanciamo uno sguardo agli ultimi anni, ci accorgiamo di quanti passi indietro siano stati fatti dalle più grosse band di sempre. Sarà marketing, o forse semplice nostalgia, ma quelli come me si limitano a dire “Grazie”. La stessa scia è stata intrapresa di recente dai Marlene Kuntz, ma degni del nome che portano, hanno saputo tenere in grembo l’idea per un considerevole numero di anni. Il risultato è strabiliante! A 25 anni dalla loro nascita e 20 dal disco di esordio (Catartica) riescono a donarci un salto diretto nel 1990 che non può che suscitare applausi e lacrime di commozione. Un modo geniale per dire “Noi ci siamo ancora e, per chi l’avesse dimenticato, siamo questi qui!”. L’esito è inevitabile, il giudizio è pienamente conforme al dono. Il dieci tondo lo tengo in tasca e lo dispenserò soltanto a patto che Pansonica sia l’equivalente di “è stato un piacere essere stati amati da voi”. Perché il vero attore è colui il quale sa esattamente quando è il momento di uscire di scena.

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Codeina

Written by Interviste

Ciao ragazzi. Complimenti per la vostra ultima fatica Allghoi Khorhoi. Partiamo da una domanda banale ma necessaria. Che c’entra il nome di una creatura leggendaria, un enorme verme che vive nel deserto del Gobi con i Codeina e la vostra musica?

Ci piaceva l’idea di un verme, per consuetudine creatura infima, non considerata, disprezzata, che in questa occasione assume una posizione di forza. L’Allghoi Khorhoi è un mostro mitologico che si nasconde in lunghi cunicoli scavati sotto il deserto e attacca l’uomo con scariche elettriche o secernendo acido. Quest’essere è talmente radicato nel folklore di quelle zone che ancora oggi la sua figura è vissuta con grande rispetto mantenendo allo stesso tempo il potere di incutere timore. L’abbiamo interpretato come un simbolo di rivalsa, di ribellione dal basso. Una rivoluzione nascosta e silenziosa, che striscia nelle profondità del terreno ed è pronta a esplodere all’improvviso.

Passiamo a voi. Come nasce una band come la vostra e un album come Allghoi Khorhoi?

I Codeina nascono nel 1998 in uno scantinato di periferia. Da qui passano gli anni accompagnati da tanti cambi di formazione alla ricerca degli elementi più “psico-sociopatici”. I Codeina che vedete oggi suonano insieme da tre anni e, fortunatamente, non si registrano danni a persone o cose. Allghoi Khorhoi non è nient’altro che la naturale evoluzione di Quore. Hidalgo Picaresco, il nostro primo album. Un’“evoluzione” del processo creativo, con un approccio più libero e maturo alla proposta e all’elaborazione del pezzo. Allghoi Khorhoi è la prosecuzione di un’esigenza comune di tradurre in musica disagi e insoddisfazioni quotidiane, da una sfera personale e intima a un’altra più ampia e strutturata, sociale e culturale, che riguarda l’intero nostro paese.

La codeina è un derivato della morfina ma Codeine è anche il nome di un mitico gruppo Slowcore statunitense. A quale di questi due paragoni siete più legati? Conoscevate la band di Stephen Immerwahr al momento di scegliere il nome e c’è qualcosa che vi lega, musicalmente parlando?

Dovendo scegliere a cosa siamo più legati, sicuramente sarebbe il derivato della morfina. Ai tempi non conoscevamo i Codeine e non esiste un legame musicale nonostante sia un gruppo che oggi apprezziamo.

Ascoltando i brani di Allghoi Khorhoi sembrano ritrovarsi diverse chiavi di lettura. C’è qualcosa in particolare che unisce le dodici tracce, sotto l’aspetto delle tematiche trattate più che, ovviamente, sotto quello puramente musicale?

Senza alcun dubbio il nervosismo quotidiano. Ogni singola traccia nasce come un esercizio atto a reprimere, veicolare ed espellere il nervosismo che viviamo quotidianamente in qualcosa che sia legale, lecito e magari anche terapeutico.

La vostra musica rimanda soprattutto al più canonico Alternative Rock in lingua italiana. Gli scomodi paragoni si rifanno a Verdena, Afterhours e Teatro degli Orrori. Quanto c’è di vero in queste similitudini? Quanto sono cercate e quanto sono naturale evoluzione dovuta alla vostra formazione personale?

Afterhours direi forse per i primi dischi, per gli altri due paragoni le fonti “estere” da cui hanno e abbiamo attinto sono prettamente le stesse. Noi non facciamo che suonare ciò che maggiormente ci piace ascoltare.

La scena alternativa (passatemi il termine) italiana si sta spaccando pericolosamente in due tronconi. Da una parte il cosiddetto Indie Pop Cantautorale stile Dente, Luci e Brunori, Lo Stato Sociale e dall’altra chi prova a suonare più Rock, violento, nudo e crudo. Per ora il pubblico sembra apprezzare più i primi ma è veramente una questione di scelte o piuttosto un sapersi “vendere” con più efficacia?

Pensiamo si tratti di scelta della massa: semplicemente il cosiddetto pop cantautorale è parte della storia musicale italiana che tutti conoscono (Battisti, De André, Dalla, De Gregori, Guccini ecc ecc.) mentre non ci vengono in mente gruppi per così dire “violenti nudi e crudi ” che abbiano un seguito di simili proporzioni… Basta chiedersi quale sia ancora oggi il festival musicale più importante in Italia…e la risposta si delinea ancora di più. Poco cambia in ambito “alternativo” perché siamo da terzo mondo in materia di cultura musicale e non solo…

Tornando a questa questione, sembra sempre più raro vedere andare a braccetto la qualità e, conseguentemente, il riconoscimento della critica, con i numeri dati dalle vendite di Cd e merchandising, oltre che di ingressi ai live e chiamate per i concerti. Qual è allora il problema, se esiste un problema?

Pubblicità, interessi, soldi. Una proposta musicale sui mass media è incentrata esclusivamente su questi valori. Incapacità o svogliatezza di giudizio critico dal lato del ricevente.

Dall’ascolto di Allghoi Khorhoi, emerge un lavoro intenso, carico di rabbia eppure non troppo originale nello stile. Quanto conta oggi suonare diversi dagli altri e quanto è utile e importante, in termini di riconoscimento di pubblico e critica, essere diversi in superficie e quindi formalmente o piuttosto nella sostanza?

Credo sia un po’ arduo in questo preciso momento storico avere l’obiettivo, la capacità e la superbia per poter anche solo pensare di fare musica “diversa e originale”. Ci concentriamo più su un lavoro di sostanza.

Recentemente, in occasione del M.E.I., mi è capitato di leggere diverse discussioni circa il ruolo attuale delle etichette. Da una parte chi sosteneva che siano le band a dover fare gran parte del lavoro di “formazione” di una base di fan per rendersi appetibili alle label e dall’altra chi ritiene più opportuno che siano le stesse etichette a fare il lavoro che far crescere le band, in ogni senso. Voi da che parte state? Che rapporto avete con la vostra etichetta?

Noi non abbiamo alcuna etichetta. C’è un po’ di verità in entrambe le affermazioni ma credo che la situazione generale a livello di etichette e fondi sia abbastanza grigia e al limite della sopravvivenza. Per cui fanculo e DIY!

Torniamo al disco, Allghoi Khorhoi. Provate ad essere sinceri. Quali brani sono quelli che più sentite vostri, rappresentativi del vostro stile e del vostro carattere? C’è almeno un pezzo che proprio non vi piace?

Sono tutti lati dello stesso carattere, nessuno escluso. Va bene autodefinirsi “psico-sociopatici” ma non siamo ancora del tutto pazzi da inserire nel disco materiale che non ci piace. Oltretutto non abbiamo imposizioni, pressioni o obblighi contrattuali cui sottostare.

Che rapporto avete con la critica musicale? Su Rockambula avete avuto una sufficienza e parole buone ma tiepide. Ha ancora un valore che vada oltre la mera propaganda, il lavoro del critico/opinionista musicale?

Per il primo album abbiamo contattato direttamente webzine e riviste, ottenendo stranamente un buon riscontro sia in termini di numeri sia oserei dire di critica… per Allghoi Khorhoi siamo solo all’inizio.Tante volte ci può essere mera propaganda dietro al critico. C’è chi si improvvisa critico o chi si trova a recensire qualcosa che detesta o di cui non ha un background conoscitivo. In ogni caso dietro una recensione, positiva o negativa che sia, si capisce subito se chi sta analizzando un disco ha gli strumenti giusti per poterlo fare o meno.

Perché un ipotetico lettore di Rockambula, che si trova davanti a centinaia di consigli e suggerimenti ogni mese, dovrebbe dedicare a voi un’ora della sua vita?

Perché il disco dura 44 minuti e noi gli regaliamo i restanti 16 minuti per fare ciò che più gli piace.

Quando e dove potremo vedervi suonare dal vivo? E che tipo di spettacolo dobbiamo aspettarci?

“Il più grande spettacolo dopo il big bang”. A breve ritorneremo a calcare le scene partendo dalla Brianza e Milano.

Ciao e speriamo di vederci presto.

Grazie, a presto!

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Il Video della Settimana: Paolo Tocco – “Aveva Vent’anni”

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“Aveva Vent’anni” è la storia di un omicidio passionale ben ragionato, è un video ironico a cavallo tra satira e ironia, una ballata leggera di musica italiana che coinvolge con un ritornello che si incide a fuoco nella memoria. A distanza di 5 anni dal suo debutto ottimamente accolto dalla critica con il disco Anime Sotto il Cappello e dopo oltre 10 anni di intensa attività discografica come produttore e promoter, torna in scena in prima persona il cantautore abruzzese Paolo Tocco con un nuovo disco in uscita a Gennaio 2015 dal titolo Il Mio Modo di Ballare. Con Il Mio Modo di Ballare non scende in campo solo l’anima di un cantautore, ma l’intera squadra della Protosound Polyproject guidata dalla produzione artistica e tecnica di Domenico Pulsinelli, che coglie l’occasione per confezionare un disco che sia espressione massima di tutta la crescita avuta in questi anni. Un lavoro che promette di emozionare ma anche di mostrare il frutto di un prezioso artigianato sonoro che oggi, con la crisi ormai imperante in ogni ambito sociale e culturale, raramente si ha modo di sviluppare. Paolo Tocco e Giulio Berghella a capo della Protosound Polyproject che dal 2005 ha sviluppato e dato vita a numerosi progetti di comunicazione e di produzione discografica raccogliendo in qualche modo il passaggio di quasi tutta la scena italiana degli ultimi anni. In stretta collaborazione con L’Altoparlante di Fabio Gallo portano a casa anche traguardi come il Premio TENCO 2012 con Zibba come miglior disco dell’anno a pari merito con gli Afterhours, il Premio MEI 2013 e un Premio Della Critica e Della Sala Stampa/Tv al Festival di Sanremo 2014.

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Hai Paura del Buio?: il cast completo dell’unica data a L’Aquila.

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Torna il festival Hai Paura del Buio?, che l’anno scorso ha registrato il sold out nelle tre date di Torino, Roma e Milano: un evento capace di intrecciare l’estetica di una rassegna alla collaborazione e allo scambio di esperienze tra gli artisti coinvolti. Un festival all’interno del quale il pubblico assiste a performance uniche, muovendosi tra spazi, arti e registri diversi, facendosi “contaminare” dalla cultura. Il festival, ideato da Manuel Agnelli, quest’anno farà tappa il 4 ottobre a L’Aquila, in data unica, grazie all’impegno dell’associazione culturale Keep On. La scelta della città abruzzese non è casuale. Dopo la ferita del terremoto del 2009, L’Aquila è oggi il simbolo di quel “buio” che si può e si deve superare anche attraverso la cultura. Già nel maggio 2012 gli Afterhours, insieme a Il Teatro degli Orrori, diedero vita al primo grande appuntamento musicale dopo il terremoto. In quella circostanza venne chiesto a gran voce dalla cittadinanza e dalle istituzioni di non lasciare quell’episodio isolato ma di dargli seguito e contribuire così alla rinascita del tessuto sociale, in particolar modo quello giovanile, del capoluogo abruzzese. Anche per questa ragione si è lavorato a lungo con il sindaco e le istituzioni locali intorno all’ipotesi di far svolgere il festival nell’area del Set Action & Stage, giovane e coraggiosa realtà locale affiliata al circuito nazionale dei club riferito a Keep On. La sostenibilità di un festival gratuito come Hai Paura del Buio? è affidata in parte al Comune, che ha messo a disposizione le infrastrutture, in parte a una rete di sponsor privati e di giovani imprenditori locali che ha consentito di sostenere gli impegni economici, e per finire è resa possibile dalla disponibilità di tutti gli artisti coinvolti, che andranno in scena in cambio di un minimo rimborso.

Oltre alla partecipazione di Manuel Agnelli con i suoi Afterhours, l’edizione 2014 vedrà alternarsi sul palco:
Antonio Rezza e Flavia Mastrella (performance teatrale)
Piero Pelù (concerto)
Paolo Giordano con Plus (Minus&Plus) (reading)
Bachi da Pietra (concerto)
Versus – Cristiano Carotti VS Desiderio (performance dj e vj set)
Valentina Chiappini (performance)
Diodato (concerto)
Enrico “Der Maurer” Gabrielli + Sebastiano De Gennaro (musica contemporanea e attitudine punk)
Ghemon (hip hop)
Le Indiesponenti (dj set)
Graziano Staino (video-arte)
Isabella Staino (installazione pittorica)
Luminal (concerto)
Nebulae (danza)
Ura (concerto)

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Uomini, il libro su Edda e i Ritmo Tribale

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Il primo libro biografia dei Ritmo Tribale che ripercorre la loro storia, ma anche quella della scena milanese in cui sono nati e cresciuti, fino ad arrivare ai giorni nostri con la carriera solista di Edda e i NoGuru, è opera di Elisa Russo. Frutto di cinquanta ore di interviste ai protagonisti riportate in forma diretta, in un racconto (c)orale. Viene ripercorsa la storia dei Ritmo Tribale, dall’incontro sui banchi del liceo negli anni Ottanta fino al successo dei metà Novanta e lo scioglimento. In mezzo alla storia dei Tribali: Manuel Agnelli e gli altri Afterhours raccontano di come passarono dai primi dischi in inglese a quelli in italiano grazie all’esempio di Edda e di come nacque un album come Hai Paura Del Buio?; vengono analizzati i cambiamenti della discografia (dalle indipendenti come la Vox Pop all’illusione delle major), si narrano le vicende del Jungle Sound e molto altro. Fino ad arrivare ai giorni nostri con il ritorno di Edda e la sua carriera solista e i NoGuru. Ci sono inoltre i testi delle canzoni, stralci di articoli e recensioni e più di 100 fotografie, di cui molte inedite. Ben tre prefazioni in apertura, Federico Guglielmi (Il Mucchio, Rumore, Blow Up, Radio RAI), Christian Zingales (Blow Up), Vittorio Bongiorno (scrittore e musicista).

Il 28 ottobre esce, inoltre,  il terzo disco solista di Edda (Stavolta Come Mi Ammazzerai?, Niegazowana). La prima presentazione del libro, invece, si terrà in Santeria a Milano il 10 ottobre alle ore 19; interverranno l’autrice, Edda, i Ritmo Tribale e Marco Maccarini (ex Vj MTV, oggi su la effe Tv) come presentatore. Il 15 novembre alle 13, l’autrice e Edda presenteranno il libro al Teatro Dal Verme, per BookCity Milano.

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Il Video della Settimana: Rame – “Ambra”

Written by Senza categoria

Testi in italiano, attitudine Rock e gusto Alternative. I Rame sono un giovanissimo combo torinese già al lavoro  nel 2012 con gli Gnu Quartet (Baustelle, Afterhours, Tiromancino) per la registrazione di alcuni brani nello storico Transeuropa Studio di Torino. Uno di questi inediti, “Kilometri”, viene scelto tra i 40 brani finalisti di Area Sanremo 2013. Il 13 Marzo 2014 esce il loro primo videoclip autoprodotto del brano “Ambra” ed è questa la nostra nuova, sempre spiazzante, scelta di questa settimana. Potete vedere il videoclip di seguito e in homepage fino a sabato prossimo.

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Afterhours 27/08/2014

Written by Live Report

Il festival Contro, di Castagnole Lanze in provincia di Asti, marca, per i piemontesi, la fine dell’estate. E per me, con l’esibizione del 27 agosto degli Afterhours, chiude un cerchio iniziato tanti anni fa. Perché la band di Agnelli è stata la prima che ho visto dal vivo, in una di quelle occasioni assurde in cui sei ancora così piccola che tuo padre ti accompagna a vedere un concerto e sta fuori in auto a fumare per due ore, commentando fra sé quanto siano strani i tuoi amici. E sempre in piena adolescenza, il 27 agosto 2003 (chissà se gli organizzatori l’hanno scelta di proposito questa data anche per il 2014), ero a vederli per quella che era già almeno la terza volta della mia esistenza, esattamente a Castagnole, a urlare di volere una pelle splendida. Undici anni dopo, sulla soglia dei 30, posso dire che la mia pelle, nicotina e tutto, si difende alla grande. Ma su questo faremo bene a tornare tra una decina d’anni di sigarette, litrate di birra e vita varia. Gli Afterhours, in questo tour, suonano tutto Hai Paura del Buio, da cima a fondo con tanto di intro. Sono così filologici nella ripresa che sono persino vestiti come allora, con le loro camicie colorate dai colletti larghi e le giacche con un taglio di almeno una decade anteriore all’uscita del disco.

Ricordavo che la volta precedente, in piazza San Bartolomeo a Castagnole, Agnelli aveva censurato la bestemmia di “1.9.9.6.” per via della chiesa antistante. Nel 2014 ha vinto la filologia. Non crediate, nonostante l’adorazione brufolosa che avevo per la band, che io abbia passato gli ultimi dieci anni a farmi delle gran seghe mentali sui dischi degli Afterhours. Grazie a dio ho aperto i miei orizzonti e, se anche ho avuto modo di apprezzare alcune delle loro ultime fatiche, con I Milanesi Ammazzano il Sabato avevo smesso di seguirli. Ed ero veramente scettica sulle doti vocali di Agnelli che invece ci ha regalato esecuzioni di tutto rispetto e urla strazianti alla vecchia maniera su “Male di Miele”, “Lasciami Leccare l’Adrenalina” e su “Rapace”. Belle anche “Dea” e “Simbiosi”, intense come allora “Pelle” e “Voglio una Pelle Splendida”. C’è di che sentirsi vecchi a urlare la strofa di “Sui Giovani d’Oggi ci Scatarro Su” saltando come un’idiota e pensando che non cambia mai un cazzo, in fondo, in questa società. Finiscono il disco. Bravi bravi.

E ma che vuoi da gente che comunque suona da più di vent’anni. Escono di nuovo, si sono cambiati: tutti vestiti di nero, tranne quell’eclettico di Roberto Dell’Era che si è conciato in maniera del tutto improbabile, in un mix bianco ghiaccio tra Elvis e Elio e Agnelli annuncia che è venuto il momento di fare sul serio. Il pubblico, per altro poco numeroso (forse sconfortato dai venti euro di biglietto), è gasatissimo. Peccato che seguano venti minuti di rottura di palle devastante (“Spreca una Vita”, “Ci Sarà una Bella Luce”, “Costruire per Distruggere”, “Io So Chi Sono” e “Padania”). Aritadeci gli anni 90. E il secondo encore ci accontenta. Una “Strategie” tiratissima ci ricatapulta indietro nel tempo, giusto in tempo per far spazio a “La Verità che Ricordavo” e alla sempreverde “Non è per Sempre”. Mi stupisco di essere quasi la sola a cantare “Ballata per la Mia Piccola Iena”. Eppure quello era ancora un gran bel disco della formazione milanese. Seguono “La Sottile Linea Bianca”, “Quello che Non C’è” e, finalmente, “Bye Bye Bombay”. E su quella mi saluto. Saluto gli Afterhours che non credo onestamente rivedrò più nella mia vita, perché quell’epoca è finita, e saluto la piccola me, tutta fasci di nervi, incazzatura facile, grandi speranze, letteratura, ambizioni, speranze e psicodrammi che non sono un cazzo rispetto a tutto quello che viene dopo, nel bene e nel male.

Io non tremo, è solo un po’ di me che se ne va.

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Codeina – Allghoi Khorhoi

Written by Recensioni

L’ultima fatica dei Codeina è Allghoi Khorhoi registrato e mixato da Fabio Intraina al Trai Studio di Inzago (MI). L’Allghoi Khorhoi è  un verme rosso brillante leggendario, che sputa acido, emette scariche elettriche ed è in grado di uccidere un uomo. Più che gli Afterhours sembrano i Verdena dei primi dischi già nell’ascolto di “22 Dicembre”, il singolo di lancio dell’album. Si sgola Mattia Galimberti (“non sei uguale a me”) probabilmente contro la massa, intenta, sotto le feste, a fare regali o a scoppiare botti: “Anche se sei bello ricco e intelligente sappi che sei merda”. Si sentono i Germi degli After nel DNA dei Codeina e la voglia di scatarrare sui giovani d’oggi. Il “Male di Miele”, la melodia e il rumore ritmico controllato di Emanuele Delfanti al basso e Alessandro Cassarà alla batteria. Il sound attufato, per scelta, trova finalmente un po’ d’aria in “Cascando”, canzone intima, sull’ansia di essere amati o no e si fa notare anche qualche similitudine con il Teatro degli Orrori. Sembrano un “Carrarmatorock” in “L’Appeso” ma con le voci più lontane rispetto a quella di Pierpaolo Capovilla mentre mi ricorda “Dea” degli After, il brano “Crepa”. È un derivato dell’oppio la Codeina e non è proprio la musica giusta da ascoltare in estate.

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