Afterhours Tag Archive

Paolo Tocco, ad ottobre il nuovo singolo

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Si intitolerà “Aveva Vent’anni” e sarà il primo singolo del nuovo disco del cantautore abruzzese Paolo Tocco. “Aveva Vent’anni” è la storia di un omicidio passionale ben ragionato, è un video ironico a cavallo tra satira e libertà, una ballata leggera di musica italiana che coinvolge con un ritornello che si incide a fuoco nella memoria. A distanza di 5 anni dal suo debutto ottimamente accolto dalla critica con il disco Anime Sotto il Cappello e dopo oltre 10 anni di intensa attività discografica come produttore e promoter, torna in scena in prima persona il cantautore abruzzese Paolo Tocco con un nuovo disco in uscita a Gennaio 2015 dal titolo Il Mio Modo di Ballare. Ad anticipare le danze un singolo decisamente accattivante a cui si accompagnerà un divertentissimo videoclip in rotazione radiofonica e sui canali web a partire da Venerdì 3 ottobre. Paolo Tocco e Giulio Berghella ormai nomi di riferimento per la scena discografica abruzzese e non solo, a capo della Protosound Polyproject, dal 2005 hanno sviluppato e dato vita a numerosi progetti che hanno spesso trovato riscontri importanti in ambito nazionale. Degni di nota il Premio TENCO 2012 con Zibba come miglior disco dell’anno a pari merito con gli Afterhours, il Premio MEI 2013 come azienda di maggior spicco in Italia per la diffusione radiofonica ed infine, sempre con il cantautore ligure, un Premio Della Critica e Della Sala Stampa/Tv al Festival di Sanremo 2014. Ma anche tanto Abruzzo, curando le produzioni di Michele Di Toro, Piero Delle Monache, Simone Agostini, Domenico Imperato, Maurizio Di Fulvio, The Gift e tantissimi altri…e ancora la cantautrice brasiliana Tati Valle, il rockabilly dei The Rock’n’Roll Kamikazes e degli storici Rekkiabilly, i baresi U’Papun con la preziosa featuring di Caparezza, il crossover dei Rocky Horror e in ultimo i progetti emergenti di Dola J. Chaplin e degli eclettici UMMO. tanto per citarne alcuni. Con Il Mio Modo di Ballare non scende in campo solo l’anima di un cantautore, ma l’intera squadra della Protosound guidata dalla produzione artistica e tecnica di Domenico Pulsinelli, che coglie l’occasione per confezionare un disco che sia espressione massima di tutta la crescita avuta in questi anni. Un lavoro che promette di emozionare ma anche di mostrare il frutto di un prezioso artigianato sonoro che oggi, con la crisi ormai imperante in ogni ambito sociale e culturale, raramente si ha modo di sviluppare.

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Il Video della Settimana: Miriam Mellerin – “Incolore”

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I Miriam Mellerin sono una band pisana nata nel 2010. Il video è stato realizzato da Marco De Pasquale e Davide Barbafiera, con la partecipazione di Luciana De Luca e Francesco Nerini. La canzone si intitola “Incolore“, ed è il secondo brano del nuovo album Il Vizio [in uscita il prossimo 2 Settembre – presentazione dal vivo a Pisa il 7 Settembre in apertura del concerto degli Afterhours]. Il pezzo vuole urlare in faccia ad una gioventù – già rassegnata e disillusa a causa delle difficoltà di questi anni critici – di rialzarsi in piedi e prendere in mano il proprio destino, scegliere attivamente il nostro irripetibile percorso di vita. La clip di seguito e in home per tutta la settimana.

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Il Nero ti Dona – Aut Aut

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Il cupo suono de Il Nero ti Dona arriva da un posto dove il sole è offuscato da scuri nuvoloni densi. Rock spigoloso e viscido, come le mura umide di una stanza in cui sta appesa al soffitto una squallida lampadina. Non me lo sarei mai aspettato, ma questo posto si chiama Napoli. E tutto l’eterno sporco viene dettagliato in un vortice di suoni grigi e tetri, degni della migliore tradizione Alternative. Nulla di grandioso, nessuna pretesa intellettualoide, solo una manciata di canzoni che esprimono un minuzioso disagio la cui forza che sta proprio nei particolari. “Aut Aut”, uscito a maggio 2014, non è di certo il disco in cui troverete il brano Indie per l’estate e tanto meno un pezzo che vi sconvolga lo stomaco o la mente. Ma ogni parola è messa al punto giusto, ogni sillaba è comandata dalla perforante voce di Maurizio Triunfo, che pare riecheggiare tra lastre di lamiera di una fabbrica disabitata. La desolazione e la disillusione riecheggia già nella opener “Deja vu”, grida e chitarre pare si prendano a testate, in una lotta libera senza freni. E siamo solo al primo di dodici pezzi. I ritmi cambiano subito però, ci pensa “Viola” a farci presente che il nero ha miliardi di sfumature cruente. Ballata tra Afterhours e primi Timoria in cui spicca il riff offuscato dai versi epici (“terra che trema e che ingoia, sassi e macerie e fortuna”) e da echi e respiri femminili che in sottofondo appaiono come un fantasma in mezzo alla lamiera. La cura di questi dettagli e l’espressività della band portano le canzoni ad un altro livello.

“Aria” parte con un chitarrone che rimanda ai gloriosi anni del Grunge. Non si perde il grezzume anche nell’altalenante ballata “Senza Fine”, comandata da un lento arpeggio che scandisce inesorabile il tempo come un pendolo che non perde un colpo, in attesa che accada qualcosa. Ma purtroppo in questo frangente anche la noia vuole la sua parte e dobbiamo attendere gli arrangiamenti di “Kaled Saeed” che smorza qualche sbadiglio di troppo. La canzone è violenta e becera come l’uccisione del ragazzo egiziano che da il titolo al brano. Il suono è verace e rabbioso, il nero si mischia al rosso sangue. La descrizione del barbarico atto da parte di due poliziotti è precisa e attenta, quasi ad indicare che non c’è nessuna poesia davanti ad uno scempio del genere: “Sfinge di fuoco stasera, a Tahrir muore il silenzio”. Anche se usciamo dai confini napoletani questo brano sembra un simbolo, un lampo nel cielo che congiunge mondi distanti e così vicini nel nero colore che ricopre l’ingiustizia e la disperazione. Le mura si sgretolano al suono confuso di “Ketamina” e poi crollano con la title track “Aut Aut”, molto Teatro degli Orrori. In chiusura la più bella ballata del disco, potevano mancare le acque? “Mare Libico” è il suono della speranza che si infrange sugli scogli. E anche lei diventa nera, nel finale contorto del disco si incastra e rimane li a guardare l’orizzonte. Persa, senza più fiato. Non riesce proprio a tenere lontano questi nuvoloni densi.

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GOA-BOA FESTIVAL

Written by Senza categoria

Mancano pochi giorni al ritorno del festival principe dell’estate ligure. Paolo Nutini, Caparezza, Afterhours, Le Luci della Centrale Elettrica, Gorillaz Sound System, Salmo, Mannarino e molti altri

DAL 14 AL 19 LUGLIO 2014

PORTO ANTICO – ARENA DEL MARE

GENOVA

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Nadàr Solo (Theater Quinto Festival)

Written by Live Report

Nuovo appuntamento per il Theater Quinto Festival, e nuovo report per noi di Rockambula. Dopo l’entusiasmante serata che ha visto come protagonista Dargen D’Amico e il suo rap anomalo, si cambia registro e genere, per un live all’insegna dell’Alternative Rock nostrano. Gli headliner della serata sono i Nadàr Solo, il trio torinese, che dall’uscita dell’album Diversamente Come? sta girando lo stivale in lungo e in largo riscuotendo sempre maggiore successo e notorietà, grazie a un sound coinvolgente e immediato; ma facciamo un passo indietro. Parlavamo di serata improntata all’Alternative Rock e infatti il menù proposto dal The Theater ci offre la possibilità di ascoltare, come opening act, ben tre band del panorama milanese. Non è mai facile aprire un concerto e scaldare il pubblico, ma diamo atto che tutte e tre le band, che si sono avvicendate sul palco, hanno trasmesso la loro passione, con diverse perfomance ricche di energia. Primi fra tutti i Jana’s; al quintetto milanese spetta aprire le danze, facendosi apprezzare subito dal pubblico. La formula proposta sul palco è quella di un rock deciso e intenso, con una batteria incisiva, molto presente, a volte troppo, e una buona dose di attenzione nei confronti della melodia e delle liriche. Un mix tra brani inediti e cover, nello specifico “Sangue di Giuda” degli Afterhours e un’inconsueta e coraggiosa “Anna” di Battisti. Dopo un inizio a tutto gas si cambia formazione, è il turno dei Tales of Unexpected. Il quartetto ci piace, siamo sempre all’interno del territorio del Rock, ma con un passo diverso, le forti influenze Grunge si fanno sentire decise e il sound generale è più armonioso. Musicalmente il gruppo è interessante e propone brani ben impostati con un giusto equilibrio tra momenti più melodici e momenti più duri; unica pecca il cantato non sempre pulito all’ascolto.

Che dire, al The Theater si suona e anche bene. La terza band già dal nome dimostra il suo lato aggressivo e infatti i Killer Sanchez ci propongono un live d’impatto, con tante carne al fuoco e picchi vicini allo Stoner, che spesso però creano confusione nell’ascolto e il risultato live non è perfetto. Ci siamo, è arrivato il momento di fare una pausa per un veloce cambio palco. Tre band in apertura non sono poche da gestire sia per i tecnici, che si prodigano per fare in modo che tutto funzioni bene nei cambi e sia per gli ascoltatori un po’ impazienti. Nonostante un aperitivo musicale decisamente lungo nessuno ha mostrato segni di scoraggiamento e al momento opportuno si sono tutti radunati sotto al palco pronti per i Nadàr Solo. Si parte con un inizio strumentale, una sorta d’ intro, di quelle che mettono subito in chiaro le cose, e che portano un messaggio preciso: qui si fa Rock, siete pronti? Le canzoni scorrono veloci e il trio per tutta la durata dell’esibizione dimostra un grande affiatamento e un carattere deciso e ben definito, nonostante composto da tre personalità ben distinte, soprattutto nel modo di suonare, e di vivere il live. Cosi che Filippo, il batterista, finisce scatenato e senza maglietta, il chitarrista, Federico, rimane per tutto il tempo perfettamente concentrato e statuario nell’esecuzione, per arrivare fino all’irrequieto Matteo, che si contorce attorno al basso e al microfono. Un mix inaspettato che riesce a creare un live intenso e a dare anche al disco la giusta dose di forza e spessore. Semplicità e passione sono senza dubbio le qualità migliori che emergono al primo impatto, così come la voce di Matteo De Simone, dal timbro quasi acidulo, che ben si mescola con i suoni, senza però perdervisi dentro. D’altronde la qualità dei testi rappresenta un punto di forza di tutto l’album e non poterne cogliere il senso sarebbe un peccato.

Ci avviciniamo alla fine del concerto e in maniera inaspettata abbiamo la possibilità di ascoltare un nuovo brano inedito e a seguire il singolone “Il vento”, corredato dall’immancabile coro del pubblico, e che grazie al featuring con il Teatro degli Orrori ha dato una buona spinta in termini di visibilità a tutto il lavoro. Dopo un’abbondante ora di piacere, arriviamo alla conclusione, anche in questo casa lasciata ad una coda puramente strumentale, quasi liberatoria, una concessione artistica che mostra anche il lato genuino del gruppo. Che dire anche questa sera il The Theater e tutto il suo staff, sono riusciti a creare quella magia che solo i live possono dare, che ci sia poca o molta gente, che l’acustica non sia proprio quella della Royal Albert Hall, che sia venerdì 13 e il meteo non promette niente di buono. Niente di tutto ciò può fermare la voglia di portare avanti dei progetti musicali che contribuiscono a rivitalizzare anche una zona più periferica, come Rozzano. Non ci resta che aspettare la prossima puntata del Theater Quinto Festival, alla quale non mancheremo.

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Il Terzo Istante – Rapporto allo Specchio

Written by Recensioni

La Special Edition dell’ultimo degli Afterhours costa 14,90€? Quella cartonata dei Pumpkins è in sottocosto a 29,90€? Ma siamo seri? Caro il mio cliente, a lei non va mai bene niente! No, buon commerciante, avete solo ottima merce! Il problema non lo creo io, ma al momento avrei da placare il portafogli che continua a fare a pugni con la mia mania di collezionismo. È confuso e non fa che chiedersi se qui si vendano dischi o biglietti per i live. Sai cosa? Stavolta torno a casa a mani nude, ma con le tasche ancora gonfie. Lo so, è uno scenario inverosimile, ma raccontato in prima persona rende molto più l’idea. Risulta, tra l’altro, essere lo scenario perfetto in cui andare ad incastrare i tre torinesi di cui vi sto per dire. Si fanno chiamare Il Terzo Istante e amano raccontarsi così: “Il terzo istante è la fase del processo creativo più libera. È l’esplosione, il cambio di prospettiva, l’estasi. È il momento in cui un’intera generazione prende consapevolezza. Tre, il numero perfetto”.

La band nasce alla fine di novembre del 2011 ed intavola sin da subito una politica di totale flessibilità. Rompendo gli schemi tradizionali, elimina l’idea di produrre un disco in formato album, abbracciando invece quella di pubblicare una serie di EP, trovando l’apice della suddetta flessibilità nella politica dell’ “offerta libera” tanto per l’acquisto degli EP quanto per l’ingresso ai live. Rapporto allo Specchio è il terzo lavoro, papà di Forselandia e nonno di Come ti Senti?. La tracklist si articola in quattro capitoli di contenuto Alternative Rock, dei quali il secondo dà il titolo all’opera. Il sound presenta un’incredibile eterogeneità passando di traccia in traccia (com’è giusto che accada per un EP), tuttavia eccessiva al punto che sembra quasi di leggere differenti capitoli di differenti libri (il che non è propriamente un punto a favore). L’approccio aggressivo di “Sto dai Miei” si compensa un attimo dopo con la pacatissima “Rapporto allo Specchio” (che istantaneamente porta il mio pensiero al sound de Il Disordine delle Cose), per poi tornare a far capolino nel capitolo successivo e quindi attenuarsi nuovamente nei titoli di coda. Di contro, la poetica si mantiene costante, adottando uno stile Stato Sociale: ambigua e criptica, pur restando non artificiale. In particolare, “Rapporto allo Specchio” presenta quell’ambiguità standard dei testi dei Mistonocivo, raccontando di un uomo ed il suo rapporto con la masturbazione, spacciandolo per incontro erotico, mentre “Sto dai Miei” lascia intendere la fine di una storia (?) più meno nel modo in cui la lasciano intendere gli Agosta in “Niente”.

In definitiva, ciò che viene fuori da questo terzo EP è un lavoro cui è difficile star dietro. La completa comprensione dei testi necessita di ripetuti ascolti, assolutamente non semplici da realizzare, a causa di una melodia piuttosto precaria e della già citata assenza di omogeneità. Un lavoro senza dubbio impegnato, ma che non riesce a focalizzarsi su obiettivo alcuno. Tra interessantissimi episodi (“Sto dai Miei”, in cui si cita sottilmente Rino Gaetano con un “altro che Gianna col tartufo, tu sei di gran lunga più banale”) ed altri noiosamente commerciali (“Cosmesi”), viene a generarsi confusione di giudizio e di idee, lasciando l’ascoltatore deluso, incerto ed insoddisfatto. Peccato, i presupposti erano ottimi. D’altra parte gli stessi artisti preferiscono dir del loro disco come di un qualcosa di effimero, di fine a sé stesso, di appagante sì, ma solo per l’autore. Personalmente, non mi accontento di quattro tracce e di una palese mancanza di messaggio ed attendo il prossimo EP, perché a dirla tutta gli Il Terzo Istante un colpo a segno l’han tirato: hanno centrato in pieno la mia curiosità.

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Nasby & Crosh – Quiet Before The Storm

Written by Recensioni

E poi ti capita di clickare sul link giusto. Pervieni così al progetto di Luca Bittì Cirio. Nasby & Crosh l’ha battezzato e l’EP d’esordio prende il titolo direttamente dalla letteratura leopardiana: Quiet Before the Storm. Buona la prima. Ma cosa conterrà mai questo lavoro? Tanto per cominciare la copertina dell’Extended Play la dice lunga. Un uomo con una chitarra ed una donna distratta che guarda il marciapiedi avanzano l’uno verso l’altra, lasciandoci lì su un “che cosa accadrà?”. La chitarra tappezzata di adesivi riassume in sé la lunghissima strada percorsa dall’uomo e la voglia di farne ancora tanta. La saracinesca ancora chiusa ed il tracciato bagnato lasciano intendere che la casualità è sempre pronta a sorprenderci: quante vuoi che siano le probablità di incontrar qualcuno passeggiando in un’ora morta di una giornata piovosa? Ma non voglio essere il critico d’arte di turno. Mi limito a questo: la copertina funziona e mi invita ad ascoltare il disco, il che vuol dire che l’Art Director ha saputo giocare la sua partita nel miglior dei modi. Il disco si suddivide in quattro capitoli, probabilmente peccaminosi di eccessiva disomogeneità. Strutturato interamente in lingua inglese, mi fa sovvenire un attimo di critica al riguardo, secondo la quale gli artisti italiani dovrebbero esibirsi in madrelingua. Il motivo c’è, ovviamente, ed ha residenza nel fatto che la nostra è una delle lingue maggiormente espressive e complete esistenti al mondo. Utilizzare lingue commerciali, quali ad esempio l’inglese, riduce incredibilmente la poeticità dell’opera. Un esempio al riguardo ce l’han fornito anni fa gli Afterhours, che hanno adottato un sapiente passaggio da lingua inglese a lingua italiana, conquistando la vetta nel giro di pochissimo tempo. Tuttavia sono perplesso, forse Luca ha fatto la scelta giusta, visto il genere. Ma ad ogni modo padroneggia bene la lingua straniera ed io riesco a leggerla piuttosto agevolmente. Non c’è muro che tenga, forse ha ragione lui.

Il capitolo primo si intitola “Gotta Write a Good Song” e sfoggia un più che corretto slang americano. Il testo è senza dubbio una trovata geniale! Ho bisogno di amarti, perché ho bisogno di scrivere una buona canzone, è questa la verità della traccia. Riassume in sé una critica sottilissima alla musica contemporanea nonché un barlume di pura verità. La traccia si sviluppa in un Folk dallo strumentale ben pensato. Ogni strumento interviene dicendo la sua e il dibattito si fa dei più interessanti. Vaghe vene alla America, mescolate con un sound tutto dell’Italia dei giorni nostri, riescono facilmente percepibili. L’incalzante ritmo che fa muovere la testa su  e giù è prettamente Arizona e il pezzo funziona alla grande. Non ho una Cadillac Eldorado Convertible del 68 per correre nel deserto, quindi passo al capitolo due, senza nulla da aggiungere. Il secondo capitolo apre con uno strumentale ottimamente articolato, al punto che sembra quasi essere un Tango ampliato ed esteso ad un pubblico ben più attento alle sonorità. La cosa brutta è che dura appena dieci secondi; poi viene spezzato dalla voce. A parer mio è un’intro meritevole almeno di un paio di giri in più. È ben articolata, ottimamente sincronizzata e soprattutto piace! Perché spezzarla così presto? Non voglio muover critica al buon Luca, che la voce sa bene come utilizzarla, ma mi è sembrato un film troncato all’improvviso in due episodi. E ci sono rimasto male! L’ascolto prosegue e il pezzo non mi colpisce particolarmente. Troppi stacchi a parer mio ed il cantato spezza troppo l’armonia. “Time Travelling” sa il fatto suo, ma dovrebbe puntare ad un maggior grado di omogeneità al suo interno, poco ma sicuro. Non un pezzo da buttare, indubbiamente, ma da rivalutare opportunamente.

Capitolo terzo: “Have You Ever”. Bob Dylan prende il sopravvento e lascia salire a galla tutto il suo talento! Strano che ‘sto pezzo non lo conosca, però. Quasi quasi mi ci soffermo un po’ di più. Cori ed arpeggi contornano l’opera per tutta la sua durata, donando la canzone un’armonia incredibile al punto da renderla una di quelle che si adattano ad ogni circostanza. È un falò di fine serata, una notte romantica o un momento disperato, la traccia tiene bene compagnia. Il ritornello, poi, fa prospettare un’apertura con avanzo di scala che putroppo non arriva, ma che si è fatta ben desiderare. Tutto sommato la traccia parla molto bene di sé e sa di essere il pezzo di maggior spessore dell’EP, seppur fortemente minacciata dalla traccia numero uno. Non mi smuovo, va benissimo così com’è. Skippo e vado avanti. L’epilogo dell’opera mi porge un biglietto da visita molto macchiato di boyband e la cosa mi rattrista, visti gli esordi Country Folk ed i buoni propositi. È un peccato che questa “Angry Eyes” abbia una così spiccata tendenza all’Emo dei Secondhand Serenade, non che io disprezzi il genere o la band, ma, a parer mio, l’organicità è un fatto da non trascurare. La traccia sa molto di evoluzione dei ben noti Augustana, ma sorvolando su tal dettaglio, scorre bene e mi piace. Anche lei è frutto di settimane di lavoro (o forse mesi!), peccato non trovi posto in un disco di tutt’altro spessore e genere.

Dura troppo poco questo EP! Mi sarebbe piaciuto ascoltare qualche altra interessante proposta. Non capita tutti i giorni di aver fra le mani lavori così ben pensati. Ma ahimé è giunta ora di tirare le conclusioni. Un dato immediatamente percebile con l’ascolto è l’impegno estremo che c’è dietro questo lavoro. La musica è talmente ben amalgamata che in ogni traccia si realizza una fusione di strumenti che nel più dei casi non la si vede neppure col binocolo. La voce del buon Luca è senz’altro funzionale al fine e sa essere incisiva al momento giusto e dolce quando occorre. Non mi sovvengono critiche motivate a sufficienza alle singole tracce, se non alla numero due, come già accennato. La critica sincera che mi sovviene va diretta all’omogeneità dell’intero EP, praticamente assente. Ora non so se questo sia dovuto ad una scelta della produzione, volta a mostrare le più svariate vene del progetto, o se sia dovuto alla selezione dei migliori brani. Sta di fatto che son pignolo e tengo a certi dettagli, al punto da penalizzare tantissimo l’opera per tal motivo. Chissà che il disco completo non riservi maggiore omogeneità proprio grazie alla mia provocazione…

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La Band della Settimana: Majakovich

Written by Novità

Majakovich è un trio. Majakovich non sa bene l’inglese ma si adopererà per impararlo. Majakovich non sa fotografare e non credo voglia impararlo. Majakovich tende al partenopeo perchè convinto dell’assoluta potenza della Napulè’essong! Tre majakovich su tre sanno cucinare. Un majakovich su tre non ti crederà mai. Due majakovich su tre pure. Un majakovich su tre è irrimediabilmente bello. Tre majakovich su tre sono amanti di donne altrui. Majakovich è squisitamente eterosessuale. Majakovich è campione mondiale 2007 di tiro alla fune. Majakovich è pizza, mafia e mandolino. Majakovich è assolutamente majakovich.

Majakovich viene da esperienze precedenti. Nasce poco oltre la metà esatta del 2006. Il 20 dicembre 2010 esce Man Is a Political Animal by Nature. Disco di sette tracce registrate al “Blocco A studio” da Giulio Ragno Favero. Dal dicembre 2010 al dicembre 2011 Majakovich suona un bel pò ovunque. Nell’ottobre 2011 Majakovich parte per un viaggio negli Stati Uniti lungo la Route 66 con gli Afterhours e apre il loro show all’Echoplex di Los Angeles. Tornati in Italia, nel dicembre 2011 suonano all’Alcatraz di Milano in apertura agli stessi Afterhours. Nel marzo 2012 esce Meet Some Freaks on Route 66, disco registrato durante il viaggio negli Stati Uniti, in cui suonano “Dolphins” di Fred Neil insieme agli Afterhours. Nel 2012 apre gli show di Afterhours, The Zen Circus, Bud Spencer Blues Explosion.” Da pochissimo è uscito il loro nuovo album intitolato ironicamente Il Primo Disco Era Meglio e sono loro la nostra nuova Band della Settimana!

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Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Novanta

Written by Classifiche

L’Altro Primo Maggio 01/05/2014

Written by Live Report

2 maggio 2014, tutto è pronto per riportare su foglio un  Primo Maggio del tutto alternativo. Fermi tutti! C’è un errore! Il mio pc segna la data sbagliata o sono io che son nuovamente desto? Urca! Questo Primo Maggio è durato un po’ troppo mi sa! “Questa vita mi distrugge”…

Sono le ore 12 in punto. La macchina è carica. Pieno di benzina. Pieno di birra. Pieno di adrenalina. Manca nulla? Destinazione Taranto! Ad accoglierci all’ingresso del parco un ospite del tutto eccezionale, degno del migliore dei Jovanotti: si chiama fango…questo però è reale. Avanzo lentamente alla ricerca di un posto dove adagiare il mio telo, al solo scopo di capire chi sono e perché sono lì. Poi il miraggio. La laguna mi saluta e dona spazio ad una distesa erbosa. Verde. Il mio posto è qui! Ma intanto Caparezza è salito sul palco, io sono distratto e le mie scarpe sono luride. Beh, siamo qui per questo. Il buon vecchio capellone si esibisce a pochi passi dalla sua dimora molfettese e la cosa non passa affatto inosservata. Vuoi che io possa sorvolare e fingere di non aver notato l’infinita platea accorsa a Taranto per l’occasione, vuoi che io possa sorvolare il fatto che siano appena le 15, ma proprio non riesco a sorvolare e far finta di nulla quando mi accorgo che un’elevatissima percentuale degli accorsi sta intonando i testi del ricciolone fuori moda. È inutile a dirsi, qui il Caparezza gioca in casa. E lo fa con immenso stile, donando un’esibizione degna del nome che porta. Un ottimo inizio, azzarderei. La giornata si prospetta interessante.

2 rezophonic

Vorrei tornare alla mia erbetta e, in effetti, sono lì lì per farcela quando il mio sguardo si posa nuovamente sul palco. Vedo volti noti: sulla sinistra un uomo familiare se la gode, sulla destra una donna dai capelli blu. Sono Fabrizio Pollio e Ketty Passa e si stanno per esibire i Rezophonic. È la prima volta che vi assisto, vediamo come se la cavano i ragazzi. Tutto fila giusto, l’audio è un po’ compromesso e male afferro le parole, ma i ragazzi sanno muoversi e coinvolgere il pubblico (e forse anche loro stessi) con estrema semplicità. Il Pollio (frontman degli Io?Drama) scatta con il suo iPhone foto al pubblico ed agli artisti e chissà perché mi tornano alla mente quei bravi ragazzi degli Offlaga Disco Pax, alla vecchia macchina a rullino di Max, alle foto che ha scattato. Le conserva o le getta via? L’esibizione è già terminata. Poco spazio per così tanti artisti (oltre i 30, mi dicono dalla regia).

3 nobraino

Mi allontano e torno al mio posto mentre la voce di Luca Barbarossa (che veste i panni del presentatore) fa un discorso rosso ed invita il pubblico a visionare il prossimo video. Il primo di una lunga serie. Molto lunga. Troppo lunga. Ho tutto il tempo per stravaccarmi sull’erbetta umida e sorseggiare un po’ di sano luppolo, mangiare un che di salutare e navigare in giro per il parco di stand in stand. Che roba! Qui fanno persino lo zucchero filato! Con il palloncino bianco, morbido e appiccicoso torno alla tana e stavolta la voce annuncia la prossima esibizione: si tratta degli SLT Family (acronimo di “Sotto Le Torri”), ragazzotti locali che rappano, strappano, straziano, rompono e si giocano l’unica chance di far sentire cos’hanno da raccontare ad un pubblico ben più vasto del loro uso comune. Cito ancora una volta una frase che mi è rimasta: “Il Rap è come il porno: ci si nasce!” [J-Ax].

4 rubbish factory

Gli Après la Classe (pugliesi anche loro) ristabiliscono l’ordine, riportando la musica sul palco. Poi cedono il microfono ad un gruppo di sofisticato intelletto: i Nobraino. Kruger si presenta vestito al solito modo: alla cazzo. Hanno poco tempo a disposizione per mostrare la loro follia e lo sfruttano al massimo spaziando da tracce proprie (come “Bigamionista” o “Record del Mondo”) a tributi ad artisti di elevato spessore, quali Manu Chao (“Desaparesido”) o Cotugno (“L’Italiano Vero”). La scaletta prosegue, il caro Lorenzo si spoglia della giacca (che stavolta non è quella di Ernesto), si fa spazio e scende dal palco. Lascia che i seguaci assetati gli carezzino mani, corpo e viso. È l’unico a cercare un simile contatto in tutto il festival. Elevatissima umiltà o banale appariscenza?

5 tre allegri ragazzi morti

Le band sono tante, il sole è stanco di sorgere ogni giorno e stenta ad uscire. D’altronde è la festa dei lavoratori anche per lui. Le nubi minacciano pioggia e il fango se la gode. Poi un colpo di corda scaccia via ogni cattivo pensiero ed attrae il mio sguardo sul palco. Direttamente da Roma, i Rubbish Factory se la menano sfoggiando un Metal nuovo di zecca. Risale a novembre del 2013, infatti, il loro album d’esordio The Sun ed in appena cinque mesi ‘sti due romanacci sono riusciti a condividere il palco con nomi quali Afterhours, Caparezza, Capossela, Mannoia e altri a seguire, che tanto la sorpresa è già bella che rovinata. Inutile a dirsi, mi colpirono allora e mi colpiscono adesso. Esibizione degna di nota, nonostante la giovane età del duo.

6 afterhours

Fra un Diodato che a Sanremo sta da dio (ma che qui proprio non l’ho capito), un po’ di Municipale Balcanica che fa ballare tre quarti di piazza (ma che alla terza traccia fa ballare ben altra cosa), una Mannoia più rossa della festa dei lavoratori ed una Paola Turci che cantare “Fuck You” senza gli Articolo 31 è stato un azzardo fallimentare (e di questo non mi riesce di perdonarla), la lista si accorcia e si avvicina uno dei momenti pià attesi ti tutta la giornata. Vinicio Capossela si mette comodo sul palco e si gode per un attimo le urla in suo favore. D’altronde sa perfettamente di essere chi è e lo sa a giusta causa. Spazia a lungo attraverso ballate popolari ben acclamate, facendo tappa su una “L’Uomo Vivo” cantanta ad occhio e croce da tutta la platea. Un’esibizione interessante quella del Capossela, come al solito, d’altra parte.

1 caparezza

Mancano pochi nomi e quelli di scarso interesse son già passati tutti. È sera ormai e tutti i video che ci hanno proposto (o propinato) hanno stancato ancor più del ballare e delle birre. Rivoglio il fango! Torno al mio posto? Non è il caso, ormai siamo agli sgoccioli e non voglio perdermi un finale tanto atteso. Ed intanto che mi concedo qualche riflessione, Mama Marjas ci riporta per un attimo nell’Africa felice attraverso un Raggamuffin che in realtà sa più di Reggaeton. Il pubblico balla ed i volti sono sorridenti. Non apprezzo il genere, ma riconosco il talento nella sua voce e la sua capacità di scena. D’altra parte la giovane Maria Germinario ha un punto a suo favore: si esibisce in madreterra. Cerco di abbandonarmi al ballo collettivo stile centro sociale che ormai dilaga fra il pubblico e mi accorgo che siamo giunti alla a tale fase della serata. La Mama abbandona il palco e, con grandissima angoscia, i Sud Sound System salgono su accompagnati da una fittissima nube di fumo che oscura il lato est della piazza. L’odore è quello tipico: ‘sti tali hanno confuso la Germinario con la Giovanna! I ragazzotti salentini aprono con una prevedibilissima “Le Radici ‘ca Tieni”, cui non posso negar l’efficacia. Mi abbandono e la canto. Son bravi. In fondo piacciono persino a me. Avanzano con una “Sciamu a Ballare” standard, il che mi porta a pensare che i talentuosi ragazzi marcino oramai da anni sulla scia dei loro successi. Ma non mi va di disprezzare, in fondo l’esibizione è degna di nota ed il pubblico canta. Come se non bastasse sono ospite in casa loro e non mi va di fare il maleducato. È indiscutibile: i Sud Sound System sono una band che funziona, nei centri sociali si, ma funziona (e a quanto pare funziona anche a Taranto al Primo Maggio, com’è lecito attendersi). Dopo l’esibizione, torna la Mama Marjas sul palco, al suo fianco due napoletani belli grossi grossi e mi sento di nuovo a casa. I 99 Posse non se la lasciano cantare dai salentini e rispondono a tono con i loro successi. In Puglia “Curre Curre Guagliò” la conoscono proprio tutti e la giovane barese si esibisce al loro fianco intonando i successi napoletani degli sfegatati comunisti. Da “Antimafia” a “Rafaniello”, passando per “Vulesse”, i 99 Posse prendono l’uscita di scena acclamati e cantati dalla Puglia intera. Complimenti anche a loro, lo ammetto.

Sono esausto. L’odore di marjuana mi distrugge e voglio bere. L’acqua è finita, ma il concerto no. Ora tocca ai Tre Allegri Ragazzi Morti. Conquisto un posto in prima fila e me li godo. “Mio Fratellino ha Scoperto il Rock’n’Roll” mi gasa abbastanza e su “Occhi Bassi” mi fiondo nel pogo. Il colpo basso tirato da “Il Mondo Prima” mi strema ed i jeans si infangano quanto basta. Poi il classico “vaffanculo” chiamato dal palco e gli allegri ragazzi (erano un tempo) si dileguano, lasciando spazio agli operatori di scena. L’esibizione è stata ottima, come al loro solito. Scaletta incredibilmente breve, quanto sapiente. Ma loro sono oramai professionisti e ad inciampare non sono più capaci. Magari con un po’ di impegno potrebbero riuscire anche nel fallimento. Ma per ora ce li conserviamo abili e artistici, nonostante la critica negativa. Una snervante attesa precede il miracolo: Manuel Agnelli appare sorridente sotto gli occhi increduli di tutti. Fa casino, gioca con il cavo del microfono, se la gode. Forse la nebbia di poc’anzi mi ha appassito i neuroni. Poi attacca con una “La Verità che Ricordavo” del tutto inaspettata direttamente da uno dei dischi di maggior spessore, quale Non è per Sempre (annata 1999). La scaletta prosegue e l’Agnelli ancora se la gode. Tocca buona parte dei lavori degli Afterhours, navigando attraverso una “Male di Miele” (in diretta dal 1997), una “1.9.9.6” (alla quale il nostro milanesotto provinciale è particolarmente affezionato) e “Non è per Sempre”. Poi un fonico gli dice qualcosa, Manuel scazza e torna ad essere l’asociale di sempre. Smette di essere allegro, intonandosi perfettamente con “Ballata per la mia Piccola Iena” che segue. Al pubblico, tuttavia, questa nuova (solita) versione del frontman piace uguale. Nonostante la formazione fin troppo dinamica negli anni, i ragazzi sembrano sapere il fatto loro ancora una volta, mostrando capacità di collaborazione ed un’organicità interna degna dei più grandi nomi della storia (ci sarà un motivo eh?) e gasano il pubblico con un’antica, quanto funzionale, “Lasciami Leccare l’Adrenalina”. Di traccia in traccia l’evento scorre rapido e mi accorgo che non è un breve intervento, ma un vero e proprio concerto. Ospiti d’onore, non si lasciano sfuggire una “Padania” recente quanto sottilmente satirica ed una “Bye Bye Bombay” con la quale salutano un pubblico infervorito dal pogo e dal delirio. Inutile a dirsi, la critica stavolta ha ragione: “una delle band italiane di maggior spessore degli ultimi 20 anni” (e a parer mio di sempre).

Sono soddisfatto! L’evento è stato grandioso e, “aggratis”, ho visto ancora una volta gli Afterhours su un palco che sembrava allestito apposta per loro. Di tutto l’evento ho trovato due sole pecche, a parer mio, eccessivamente gravi. La prima è un commento di Luca Barbarossa, secondo il quale a Roma festeggiano il Secondo Maggio, perché il Primo Maggio è qui. Bravo, Luca. Buttar fango sull’evento parallelo è molto molto professionale. Complimenti al “genio” della musica italiana. La seconda va sotto il nome di protesta: troppe chiacchiere, troppi video e troppe persone sul palco a raccontarci storie che abbiamo già sentito e in cui non credono più neppur loro stesse. Siamo al Primo Maggio e qui la gente (forse ignorante?) viene per la musica, non per i convegni. Le otto ore lavorative sono passate di moda, inutile appendersi a lampioni fulminati. Oggi i problemi sono ben altri!

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Sherwood Festival: concerti a 1 euro

Written by Senza categoria

Inizia a comporsi il cartellone di Sherwood Festival 2014: dopo l’annuncio dei Die Antwoord come primi headliner, oggi annunciamo tutta una serie di live – di primissimo livello – alla cifra simbolica di 1 euro.
Ormai formula consolidata e distintiva della rassegna culturale e musicale padovana, quella del “1 euro può bastare”.
L’apertura, l’11 giugno, è affidata alla travolgente formazione di patchanka italo-argentina Espana Circo Este, insieme ai F.A.S.K. (ovvero il progetto rock perugino Fast Animals and Slow Kids) che presenteranno il nuovo disco Hybris.
Il 13 giugno il trio pisano Zen Circus presenterà al pubblico di Sherwood il nuovo disco Canzoni Contro la Natura, che ha debuttato subito in top 10 nella classifica ufficiale dei dischi più venduti in Italia. Il 15 giugno, Sherwood – in collaborazione con Radar festival – presenta il live del quartetto newyorkese Pains of Being Pure at Heart che presenteranno a Padova – per una delle quattro date italiane – il loro nuovo disco in uscita a maggio. Il 18 giugno, il palco sarà tutto per i 99 Posse, tornati di recente alla ribalta per Curre Curre Guagliò 2.0, versione arricchita di alcuni inediti dello storico album degli anni ’90, punto di riferimento per la scena alternativa e militante italiana.

A luglio, sul palco (e sempre a 1 Euro): il cantautore Brunori Sas (2 luglio) che presenterà il nuovo e acclamato disco Il Cammino di Santiago in Taxi; i Perturbazione, applauditi performers arrivati sesti al Festival di Sanremo, in tour per presentare il nuovo album – il settimo disco della band attiva da vent’anni – Musica X (5 luglio). Infine, dopo 11 anni, il ritorno live degli Estra, il gruppo di Giulio Casale che da Treviso ha conquistato la scena nazionale e ora torna con un tour e materiale inedito per i fan (18 luglio).

SHERWOOD FESTIVAL 2014 / :: line up in via di definizione ::
www.sherwood.it
11 Giugno – 19 Luglio c/o Parcheggio Nord Stadio Euganeo – Padova
11/06 | Espana Circo Este + F.A.S.K. (apertura festival)
13/06 | The Zen Circus
15/06 | Sherwood in collaborazione con Radar: The Pains Of Being Pure At Heart
18/06 | 99 Posse
22/06 | Die Antwoord
25/06 | Dub Fx
27/06 | Caparezza – presentazione nuovo album
02/07 | Brunori Sas
05/07 | Perturbazione
06/07 | New York Ska Jazz Ensemble
11/07 | Afterhours
16/07 | Radar Festival Day One con SLOWDIVE live – prima data italiana reunion tour
18/07 | Estra

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Nuove date live per il tour estivo degli Afterhours

Written by Senza categoria

Altre date si aggiungono al tour estivo degli Afterhours. A grande richiesta, la band guidata da Manuel Agnelli si esibirà sui maggiori palchi italiani la prossima estate, in una serie di show che toccherà lo stivale da Nord a Sud in uno spettacolo tutto nuovo.
Annunciamo oggi l’aggiunta delle tappe di Trento, Castagnole Delle Lanze e, dopo il grande successo dello show di Rimini, quello di Ravenna!

Di seguito le date aggiornate del tour estivo di AFTERHOURS

03.05 POLLICA (SA), Acciaroli – Torre Caleo, Slow Festival Viviamocilento
02.07 TRENTO (TN), Summer Festival
11.07 PADOVA Sherwood Festival
17.07 GENOVA Arena del Mare / Porto Antico
18.07 VILLAFRANCA (VR) Castello Scaligero
23.07 BRESCIA Piazza della Loggia
25.07 PRATO Piazza Duomo
26.07 PESCARA Stadio Adriano Flacco (Antistadio)
28.07 ROMA Rock In Roma
27.08 CASTAGNOLE DELLE LANZE (AT), Piazza San Bartolomeo
06.09 SESTO SAN GIOVANNI (MI) Carroponte
12.09 RAVENNA (RA), Festa Democratica

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