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Persian Pelican – Sleeping Beauty

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Potrei stare ore a scrivere litanie di aggettivi presi dal campo semantico del sonno, della morbidezza, della levità, per darvi un’idea sonora del disco di Andrea Pulcini, in arte Persian Pelican, ma mi annoierei io e vi annoiereste voi.
Invece vi dico che ho ascoltato questo disco lasciandolo depositare prima nel sottofondo della mia giornata e poi nello sfondo di una salutare e pienissima dormita. Una tale perfezione nell’accompagnamento onirico l’ho provata solo con certe cose dei Low. C’è chi – ne conosco qualcuno – si offende quando dici che la sua musica concilia il sonno. Io lo trovo un complimento bellissimo: vuol dire mano precisa, voce calibrata, scrittura carezzevole. Certo, se fai Metal magari fatti qualche domanda.

Il terzo disco di Persian Pelican è questo: preciso, calibrato, carezzevole. Ma con gli aggettivi mi fermo qui. Quello che posso fare d’altro è consigliarvelo sinceramente, soprattutto se vi piacciono le canzoni piccole, con le chitarre perfette nella loro imperfezione, con questi rampicanti di elettrica che fanno scintille leggere, con una voce che spunta cauta dal riverbero, malinconica ma quasi mai triste, serena anche se forse poche volte allegra (e va bene così). Canzoni lievi ma (ci casco ancora) puntuali, esatte, affascinanti. Canzoni sottovoce che pure la batteria, quando appare, non riesce a scardinare da questo abbraccio alle orecchie e al sogno. Anche se la loro forza non si esaurisce lì, fatevi un favore: dormiteci su o, almeno, ascoltatele a occhi chiusi. Non ve ne pentirete.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #17.06.2016

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Bea Sanjust – Larosa

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Ci sono incontri che ti cambiano la vita. A Bea Sanjust questo tipo di incontro capitò nel 2004 quando conobbe Tom Cowan, chitarrista inglese col quale l’artista romana volò a Brighton entrando a far parte del Willkommen Collective, un’alleanza musicale tra una dozzina di elementi poi cresciuti nel tempo il cui nome si ispira a Will Calderbank, violoncellista e pianista presente in  buona parte dei progetti nati da questo collettivo (The Leisure Society il nome più famoso) tra i quali gli Shoreline (band con Cowan tra i suoi elementi) coi quali Bea iniziò a collaborare. Da quest’avventura una crescita, non solo artistica, che ha portato la Nostra, rientrata in Italia, a produrre con la collaborazione di Marco Fabi e Simone De Filippis, questo suo lavoro nel quale troviamo un nutrito gruppo di collaboratori di Brighton come di Roma, tra i quali Fabio Rondanini dei Calibro 35 solo per citare il nome più conosciuto.

Larosa, scritto nell’arco di 8 anni, pur guardando anzitutto al Folk britannico non manca di esalare vapori psichedelici come profumi retro’ tra trame musicali sempre ben costruite. La voce di Bea (che escludendo un breve passaggio in italiano canta sempre in inglese) è ineccepibile, non una sbavatura oltre che una capacità non comune di dimostrarsi calda e accogliente qualsiasi cosa esprima, molte sono le cantanti alle quali potremmo associarla ma più che farvi un inutile elenco credo sia opportuno dire che ci troviamo di fronte ad una delle migliori voci italiane che si possano trovare oggi in circolazione. Tra i momenti migliori del disco “Julia”, primo singolo estratto, il pezzo più Rock di questo esordio, dove ci si chiede quanto bene possiamo conoscere le persone che ci stanno accanto; l’essenzialità Folk delle delicate “Two Sisters”, “She Needs Me” e “The Eye”; la suggestiva “Marijuana” (che vede partecipare alcuni membri degli Shoreline), monito verso l’uso delle droghe, anche se leggere, che nella seconda parte diviene un inno d’amore per le cose semplici della vita. Ed ancora “Wildflowers”, forse il brano più triste ed introspettivo del lotto (qui a partecipare sono alcuni membri dei romani Canialga) capace di farci sentire scivolare sulla pelle sottili fili di pioggia accompagnati da un leggero soffio di vento come di farci portare lo sguardo lontano, verso nuovi e sereni orizzonti; la costruzione un po’ più complessa di “Honey Bye Bye” col suo umore variabile che porta sentori Ragtime Bluesy senza lasciarsi sfuggire una certa mediterraneità, ed infine la toccante “Kings”, rifacimento di un brano scritto da Tom Cowan tratto dal primo Ep degli Shoreline.

Disco intimo ma aperto e ricco di colori sfumati tra i quali spiccano il verde ed il celeste. Larosa è una raccolta di 11 brani che sono panni profumati stesi ad asciugare al sole ed al vento, brani non arditi ma che sanno essere eleganti riuscendo a risultare sinceri, brani scritti da una donna che, come canta in “The Eye”, ha voluto la sua mente libera, ed ascoltando questo lavoro, semplice ma significativo, pare riuscita nel suo intento.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #10.06.2016

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“Comunhão Liberação” è il video satirico di Alessandro Sipolo

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In “Comunhão Liberação” il cantautore bresciano rivolge il suo sberleffo satirico a una potente associazione politico-religiosa che tanto ha animato le cronache giudiziarie degli ultimi anni.

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Vinicio Capossela – Canzoni Della Cupa

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Canzoni Della Cupa è il decimo album in studio di Vinicio Capossela. Diviso in due parti per 28 brani e una durata di più di due ore, Canzoni Della Cupa è un atto d’amore e di testimonianza verso un tempo passato che ormai è fuori dal tempo, mitizzato nell’immagine brusca e insieme rasserenante di una società contadina, ruvida e sincera, in cui si vive e si canta della vita, e quindi dell’amore, carnale soprattutto, ma sempre giocoso, vinoso, anche quando è serio; della morte e delle creature della notte, degli spaventi nelle ombre dei fuochi e dei monti sotto la luna; dei campi, dei poveri, del sudore, del lavoro; dei primi treni, dei viaggiatori, delle verità scolpite nella pietra dei proverbi e della saggezza popolare.
Ineccepibile nella produzione e nella resa, il disco continua la parabola del mito, della rivisitazione della tradizione (o tradizioni) che Capossela sta portando avanti da Marinai, Profeti e Balene (con in mezzo Rebetiko Gymnastas) ma che è stata da sempre una sottotraccia di tutta la sua produzione, interessata fin dai primi dischi alla rielaborazione del popolare/tradizionale (ritmi sudamericani, armonie mediorientali, atmosfere mediterranee).

Questo disco è l’ideale proseguimento di quella parabola e insieme il suo compimento totalizzante e definitivo: il ritorno nella terra degli avi, l’archeologia sentimentale nei racconti e nelle leggende, nelle storie e nelle musiche che erano la colonna sonora di un affascinante tempo che fu, che qui vira seppia, come le foto, e diventa quasi un’età dell’oro, un mondo che, nei suoi dolori, suonava forse più diretto e vero, più libero, certo più povero e più stanco ma senza perdere la fame d’amore, di festa, di paura anche, quella un po’ superstiziosa che eccita e riunisce il gruppo intorno alle luci e ai canti dopo l’angoscia, il cuore affaticato e una spaventosa, fantastica storia da raccontare.
Non sorprende quindi scoprire che Canzoni Della Cupa fosse in cantiere da più di dieci anni: è una sempreverde voglia di mito a spingere Capossela verso la rielaborazione e la testimonianza per riportare al suo oggi delle tradizioni che, sotto la polvere e oltre l’ombra della memoria, appaiono estremamente vive, anche (e soprattutto) grazie alle sue doti di interprete e riscrittore eccelso, maestro del racconto, sciamano della voce e della parola.

La nota dolente, per i fan del cantautore, potrebbe però nascondersi qui attorno: scavando si trovano tesori, ma ci si ingobbisce; gli occhi si fanno miopi a guardare tanta terra smossa. Canzoni Della Cupa è un progetto ambizioso, pensato ed eseguito senza passi falsi o sbavature (non ci saremmo aspettati di meno); è un racconto mitico e preciso, immaginifico e appassionato, da godersi senza remore, scoprendo in ogni brano una storia affascinante, divertente, incredibilmente vicina. È perciò con una certa amara sorpresa che alla fine, quando rialzi gli occhi stanchi dalla terra e dai suoi tesori, ti accorgi di quanto sia ormai sfocato e nebbioso l’orizzonte: lontano più di quanto, forse, dovrebbe.

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Marta sui Tubi, Estate 2016 in Tour

Written by Eventi

I Marta sui Tubi sono tornati in aprile con il singolo “Amico Pazzo” e l’atteso nuovo album “LOSTILEOSTILE”. Dopo un fortunato giro nei club, il tour entra ora nella sua fase estiva con un fitto calendario di date già confermate.

07/04 Roma “Quirinetta”
15/04 Pordenone “Il Deposito”
16/04 Bologna “Locomotiv”
22/04 Milano “Serraglio”
06/05 Santa Maria a Vico (CE) “SMAV”
13/05 Torino “HiroshimA Mon Amour”
20/05 Cisano Bergamasco (BG) “Senza Far Rumore Festival”
21/05 Molfetta (BA) “Eremo Club”
27/05 Cagliari “Ateneika”
01/06 Bologna “Biografilm Festival”
04/06 Pegognaga (MN) “PegoRock”
24/06 Romano di Lombardia (BG) “Festa della Musica”
01/07 Biella “Reload Sound Festival”
02/07 Vittorio Veneto (TV) “Rock 4 AIL”
07/07 Bosco Albergati (MO) “Mondiali Antirazzisti”
09/07 Pavia “Molecole Fest”
15/07 Rapolano Terme (SI) “TV spenta”
27/07 Genova “Palco sul Mare Festival – Porto Antico”
30/07 Catania “Qubba”
12/08 Piateda (SO) “Rock and Rodes”
13/08 Brescia “Festa Onda d’Urto”
14/08 Montefiascone (VT) “Festa del Vino”
21/08 Sant’Omero (TE) “Salvami Musica”
26/08 Castelnuovo d’Assisi (PG) “Riverock Fest”
16/09 Tonadico (TN) “Sot Ala Zopa”

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Recensioni | Giugno 2016

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Never Trust – The Line (Alternative Rock) 6,5/10
Energico Punk’n’Roll influenzato dai Paramore degli inizi e dalla melodia acida dei Guano Apes. Il timbro camaleontico di Elisa Galli conferisce ai brani una marcia in più. In “Turmoil” aleggia lo spettro dei Lacuna Coil, aprendo le porte ad influenze Gothic che hanno un senso compiuto nel contesto del brano. Peccato che le cartucce più spinte vengano sparate tutte nell’arco dei primi pezzi, ammorbidendo troppo il sound col passare dei minuti.

[ ascolta “A.I.M.B.” ]

Anadarko – Tropicalipto (Post Rock, Noise) 4/10
Gli Anadarko sono un trio di Trieste e propongono un Post Rock molto spigoloso, fatto da riff netti e decisi ripetuti in loop, vitalizzati ogni tanto da influenze Jazz. Quasi tutti i brani hanno lunghi momenti di ripetizione, ma risultano monotoni non avendo molte stratificazioni sonore e cambi di ritmo. Questo fa si che non si riesca mai a catturare l’ascoltatore e trasportarlo nel mondo raccontato. La ripetizione non genera ossessione, i suoni non ti lanciano nel cosmo o ti rinchiudono in un quadro post apocalittico. La sensazione e che ci si trovi davanti a brani figli di sessioni di improvvisazione piuttosto che a lavori rifiniti e cesellati da sofisticati incastri sonori. Le basi ci sono ma andrebbero esplorate e ampliate.

[ ascolta “Aterfobia” ]

Hoax Hoax – Shot Revolver (Post Rock, Noise) 4/10
L’ambizione di questo progetto è strettamente legata alla dimensione live, perchè è quella di creare un palcoscenico globale dove ciò che viene offerto per l’esperienza è al punto di incontro tra la musica degli Hoax Hoax, le video proiezioni e la luce. Nel loro Post Rock ci sono tanti sconfinamenti, come col Noise di “Huacos”, ma talvolta nettamente fuori contesto. Nel complesso quello che manca non è un senso logico ed organico, ma è un lavoro che senza il contesto multimediale non può essere apprezzato a pieno.

[ ascolta “Ablution” ]

Light Lead – Randomness (Dream Pop) 6/10
I bresciani Davide Panada, Beppe Mondini e, soprattutto, la voce di Michael Israeli confezionano questo Ep d’esordio dal sapore vagamente Beach House, anche nello stile vocale molto simile a quello di Victoria Legrand, ma con una maggiore semplicità e, purtroppo, decisamente meno talento. Eppure le cinque tracce di Randomness rapiscono già ai primi ascolti, grazie a suoni incastonati alla perfezione tra i vuoti delle corde vocali e a melodie eteree e rilassanti. Assolutamente da rivedere sulla lunga distanza, partendo dalla straordinaria opening “We Won’t Get Lost”.

[ ascolta “We Won’t Get Lost” ]

Rufus Party – Connections (Alternative Rock) 3/10
Gli emiliani Rufus Party gonfiano il proprio ego ri-presentandosi con un’opera che vuole essere una sorta di concept sul collegamento che intercorre tra gli uomini e la realtà attuale, sulla saldezza dei rapporti e delle relazioni che si instaurano tra i diversi attori che solcano il palco della vita. Una sorta di concept che però concept non è e che, dal punto di vista musicale, miscela Blues, Soul, Grunge in un miscuglio informe, banale, mal costruito e dal sound che oscilla tra inutilità e mediocrità. Cantato interamente in inglese, Connections è tutto quello di cui non avevamo bisogno, gradevole come una rassegna di band locali a costo zero alla sagra della birra di un paesino di provincia.

[ ascolta “Mothership Connections” ]

Mandela – Paint-sweating Hands (Alt Jazz) 7/10
Ottimo e purtroppo breve concentrato di Alt Jazz sinuoso e avvolgente come le spire di un grosso, lucido serpente. I cinque Mandela ci trasportano sul fondo di un oceano che si agita maestosamente e con placida grazia, tra il torrido di richiami esotici e il rarefatto di atmosfere nebbiose. Tastiere e synth mai fuori luogo, batterie che sanno venire in primo piano per poi arretrare, chitarre frizzanti e inserti di fiati che pennellano sapienti. Più cool di così si gela.
[ ascolta “Massive” ]

Weird Black – Hy Brazil (Psych Pop) 7/10
Italianissima formazione dedita a esperimenti lisergici ma senza prendersi troppo sul serio, che alla lezione Neo Psych dei C+C=Maxigross applica l’approccio scanzonato e Lo Fi di Mac DeMarco e una mollezza Folk da menestrelli d’altri tempi, elettrificata nei momenti opportuni, ad aprire parentesi sinistre (“In The Grave Of Lord”) oppure semplicemente a ricondurci nel presente, evitando abilmente di cadere in mere citazioni.
[ ascolta “Despite The Gloom” ]

Leave The Planet – Nowhere (Dream Pop, Synth Pop, Nu Gaze) 6,5/10
Duo londinese dalle origini italiche, i Leave the Planet sono Jack ai riverberi e Nathalie ai sussurri Shoegaze. Il Dream Pop del loro EP di esordio cavalca l’onda sintetica revivalista à la Slowdive, per sei gradevolissime tracce fatte di molti layer, soffici e giustapposti. L’assaggio stuzzica il palato, non resta che augurarsi che alla prova in full-length i due arrivino con qualche elemento in più a personalizzare la propria cifra stilistica.  
[ ascolta “Forever” ]

Femme – Debutante (Pop, Dance, EDM) 6,5/10
Un pixie cut rosa candy che campeggia sulla copertina del suo debut, ritmi easy da dancefloor sempre al limite del pacchiano e voce squillante e zuccherosa che ogni volta salva il tutto, specie quando si placa nelle ballad: è questa la formula di Femme, che si va a collocare nel folto esercito delle eroine del Pop danzereccio internazionale, per portarci una manciata di singoli appiccicosissimi, un’estetica accattivante e una buona dose di ironia.
[ ascolta “Light Me Up” ]

23 and Beyond the Infinite – Loath: Insane Mind Festival (Noise, Psych) 5,5/10
Quella della formazione beneventana è una psichedelia che deve molto alle origini del genere, chitarre distorte che si afflosciano narcotizzate, le liriche in inglese del cantato allucinato, esotismo quanto basta per catapultarsi nei mitologici 60’s. “From The Future to You” si sbilancia verso un Garage Rock oppiaceo ma è una promessa ingannevole: ci si gode il trip ma si resta insoddisfatti quando al termine dell’album appare chiaro che il viaggio è verso il passato, ed è di sola andata.
[ ascolta “From The Future to You” ]

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La Band della Settimana || Ted Bee

Written by Novità

Classe 1988, Ted Bee è un rapper milanese con diverse produzioni discografiche all’attivo.

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Perturbazione, il nuovo singolo è “La Prossima Estate”

Written by Novità

Da venerdì 27 maggio in rotazione radiofonica il secondo singolo tratto da Le Storie che ci Raccontiamo dei Perturbazione.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #27.05.2016

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Fall Of Minerva – Portraits

Written by Recensioni

Portraits segna l’abbandono dell’autoproduzione per i vicentini Fall Of Minerva e il conseguente approdo alla Basick Records. Dopo tre EP registrati tra il 2010 e il 2013, può questo lavoro segnare la loro naturale evoluzione?

L’inizio è confortante: “Beyond The Pines” ha un incipit claustrofobico che fa da contraltare all’aggressività del resto del pezzo, dove una batteria articolata vibra dei colpi di rullante che paiono pietre volte a tumulare una lapide. Formula identica per “Novocaine” anche se in questo caso specifico è la voce di Sido a mettere le cose in chiaro, urlandoci di indossare i caschi protettivi perché le sue parole sono una pioggia incessante di granate. “Träume” è l’unico brano con il testo in italiano e per l’occasione a Sido si affianca Luca Rocco, cantante degli Storm{O}. Ne viene fuori un marasma urticante che è un ibrido malcelato di fragore ed estemporanea melodia. La medesima potabilità che fa di “Green Ghost” l’unico episodio serafico, se escludiamo la strumentale “Sguardi Nel Buio”. Di tutt’altro aspetto “Demagogy”, una traccia che possiede tutta la violenza di cui sono capaci i The Dillinger Escape Plan, amplificandola in modo crescente all’interno dei nostri padiglioni auricolari. Ci sembrerà di avere il cervello in fiamme.

Questa volta i Fall Of Minerva hanno fatto il botto, sfruttando al meglio i mezzi a disposizione per confezionare un disco che non delude e che agisce come un Navy Seal: mantenendo un basso profilo e senza lasciare scampo.

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