Alcatraz Tag Archive

RIDE in Italia a maggio 2025

Written by Eventi

La storica band shoegaze di Oxford tornerà nel nostro Paese per una data unica in programma nella primavera del prossimo anno.
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‘Chi suona stasera?’ – Guida alla musica live di novembre 2018

Written by Eventi

Iceage, Beach House, Mamuthones, Any Other, The Flaming Lips… Tutti i live da non perdere questo mese secondo Rockambula.

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Motta @ Alcatraz, Milano | 01.04.2017

Written by Live Report

Sabato sera si è concluso a Milano il lungo tour che ha portato Francesco Motta e il suo disco La Fine Dei Vent’Anni in giro per l’Italia per quasi cento date.

(foto di Francesco Oddo)

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‘Chi suona stasera?’ – Guida alla musica live di marzo 2017

Written by Eventi

Julie’s Haircut, Umberto Maria Giardini, Russian Circles… Tutti i live da non perdere questo mese secondo Rockambula.

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Counting Crows (Milano 23/11/2014)

Written by Live Report

Il panorama dell’Alcatraz in questa nebbiosa domenica pomeriggio è colorato e pacifico. Dal grigiore del primo freddo incontrato fuori dalla porta a quell’aria calorosa ma riflessiva, dentro le mura del club milanese. Il pubblico accorso qui per la seconda data italiana dei Counting Crows è indubbiamente variopinto, ma anche relativamente adulto. Si, facciamocene una ragione, gli anni 90 sono ormai lontani, ad un quarto di secolo da noi. Coloro che erano piccini come me ormai dovrebbero accettare di essere maturi (almeno proviamoci) e i ragazzi di allora ormai (volenti o nolenti) hanno sfondato la spaventosa barriera dei 40 se non i terrificanti 50. Ma nonostante le rughe e le clamorose stempiature l’aria è gioviale, scanzonata, sognatrice, con quel filo di consapevolezza che rende più reale i sorrisi scovati tra le famigliole presenti. Lasciamo perdere la mia analisi sociologica da bar sport e concentriamoci sulla musica, che comunque a mio avviso si adatta alla perfezione al mood della serata, ma non si accontenta certo di farci da colonna sonora. E allora la band californiana sale sul palco sulle note dell’intro “Lean On Me” di Bill Withers e ci da subito una bella strigliata con una “Round Here” da 12 minuti. L’arpeggio è inconfondibile e il suono ci circonda a tratti accarezzandoci, a tratti pungendoci. Il sali/scendi dinamico ci porta dritti su una montagna russa con Adam Duritz che, in mezzo alla sua capigliatura sempre più Telespalla Bob, sprigiona un’eccelsa performance tra poesia e prosa, un frontman teatrale che però mostra la naturalezza con cui un bimbo ti racconta la sua giornata al parco giochi. Basta, il concerto potrebbe finire qui, in pochi minuti e io avrei già visto uno dei migliori live della mia vita. Ma le emozioni sono di casa questa sera e gli intrecci di chitarra Immergluck-Bryson-Vicrey lasciano senza fiato, con quelle radici che spuntano dai loro piedi ad ancorarli ben bene alla tradizione del rock americano. Dalle acustiche di “Cover Up The Sun” alle schitarrate molto Pearl Jam della tiratissima “1492”, introdotta da Duritz con un piccante raccontino delle alcune sue serate eccessive proprio in quel di Milano. Stasera c’è spazio pure per “Mr. Jones”, recitata e snaturata della sua vera essenza melodica, quasi a farci intendere che i tempi cambiano e anche questa canzone, simbolo degli anni 90, è mutata, scarnificata, ormai un vecchio quadro sbiadito, da mettere in mostra raramente in mezzo a tante nuove e più vive emozioni, come le splendide “Possibility Days” e “God Of Ocean Tides” tratte dal nuovo e intenso “Somewhere Under Wonderland”. Adam si destreggia goffo ma a sempre a suo agio nella sua semplicità, un leader che abbraccia il pubblico e fa sentire il suo calore con gli occhi e con le mani, oltre che con la sua incantevole voce, che pare migliorare di anno in anno e ci stende con una “Goodnight L.A.” piano e voce. Tutti i presenti canticchiano e dimostrano, anche in un pezzo minore, la loro passione sfrenata per questo cantante e per questa band, così sottovalutata ma sempre più in forma dopo tutti questi anni.
Nel set c’è anche spazio per cover ricercate (alcune recuperate dall’album “Underwater Sunshine”) come “Big Yellow Taxi” o “Like Teenage Gravity”, splendida in versione acustica e nel finale maturità (artistica e non) e gioventù si incontrano nell’eterna “Palisades Park” e poi nella memorabile “Rain King”. Distanti quasi 25 anni tra loro eppure così appiccicate e sincrone nell’ennesima espressione di potenza sonora sprigionata dalle note di questa mastodontica band. Dopo due ore, l’ultimo brano è “Holiday In Spain”, comandata dal pianoforte di Charlie Gillingham, vero trascinatore del groove e della dinamica della band di San Francisco. Il sipario si chiude con la base di “California Dreamin'” dei The Mamas & The Papas e Adam Duritz rimane davanti a noi profetizzando: “torneremo presto, questa estate”, lasciando così l’acquolina in bocca a noi fan che aspettavamo un loro concerto in Italia da ormai quindici anni. C’è da dire che l’attesa è stata spazzata via da una performance strabiliante, non solo un elogio alla loro ormai lunga carriera, ma un vera e propria lezione di comunicazione Pop, fatta di poche parole, nessun effetto scenico e di tanta e ottima musica. Musica che conosce bene i suoi limiti, emoziona per la sua leggerezza e fa sorridere quando ostenta profondità.

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Pixies live in Italia

Written by Senza categoria

Dopo la notizia della dipartita di Kim Deal e dopo aver pubblicato il video del brano Bagboy, i Pixies fanno ancora una volta parlare di sé nel giro di pochi giorni, annunciando quella che per il momento è la prima e unica data italiana: il 4 novembre la band di Boston si esibirà all’Alcatraz di Milano. I biglietti sono già disponibili su circuito TicketOne a prezzo di 40€.

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Nuova data italiana per gli Editors

Written by Senza categoria

Dopo l’annullamento dell’edizione 2013 dell’A Perfect Day Festival, gli Editors confermano comunque un’esibizione nel nord Italia, il 10 ottobre all’Alcatraz di Milano. Il prezzo del biglietto è di 25€ più diritti di prevendita.

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Finley

Written by Live Report

Mentre entro al LiveForum di Assago, dove a breve saliranno sul palco i Finley per il FUOCO E FIAMME TOUR 2013, penso che io, di loro, non so proprio nulla. Come tutti, mi è capitato di ascoltare qualche loro singolo dei tempi che furono, ma adesso che hanno abbandonato la EMI per fondare la loro etichetta Gruppo Randa sono curioso di vedere se e come sono cambiati. In ogni caso, questa mia ammessa ignoranza mi permetterà di vivere il concerto da un punto di vista assolutamente neutrale, che con band del genere è già un grande risultato.
Una volta dentro, mentre la band punk-rock romana The Anthem finisce di scaldare gli animi, la prima cosa che mi balza all’occhio è la multiforme umanità che riempie il locale. Il mistero statistico che mi perseguita in queste ore non è tanto quali strati sociali abbiano votato o meno il M5S, o quante probabilità ci siano che il prossimo Papa sia nero, ma più che altro come si sia riuscito a comporre questo miscuglio di gente varia al concerto dei Finley. Mi aspettavo più che altro ragazzine e ragazzini, o magari qualche ventenne a cui i quattro di Legnano hanno suonato la colonna sonora dell’ingresso nella pubertà. Ok, i cinquantenni saranno accompagnatori/genitori, ma quella coppia di trentenni tatuati coi vestiti firmati? L’hipster con gli occhiali giganti? Cosa ci fanno qua? Mistero.
Intanto, The Anthem finisce il suo set di musica innocua e cover di Bruno Mars, e l’aria si fa più pesante. Ed ecco che dopo una pausa di un venti minuti buoni salgono sul palco i Finley: boy-rock-band prodigioprodotta, ai tempi, da Claudio Cecchetto, vincitrice di ben due Best Italian Act agli Mtv Europe Music Awards, con alle spalle partecipazioni a Sanremo, dischi di platino, eccetera.

Esordiscono con un simpatico “lasciatemelo dire, gente… Minchia!”, anche se in realtà il pubblico non è così numeroso (sarà nell’ordine delle trecento persone – e io che pensavo che i Finley potessero riempire quantomeno, chessò, l’Alcatraz). Le prime canzoni passano senza lasciare troppo il segno, prese in egual misura dai vecchi dischi e dall’ultimo Fuoco e Fiamme. È un rock abbastanza banale, morbido, inerme, musicalmente distante dal mondo punk-rock o pop-punk al quale, non conoscendoli, mi aspettavo di collegarli. A livello lirico, le banalità aumentano: tra i primi pezzi, “La Mia Generazione”viene presentata come un inno alla partecipazione (politica, immagino). Pedro ci informa che “hanno sempre detto che noi giovani siamo un problema, quando invece siamo una risorsa”, mentre in realtà nessuno s’è mai sognato di dire una cosa del genere (per quanto i fatti poi smentiscano tutte le belle parole). Sa tanto di operazione paracula, ma inizio a pensare che in questo tipo di ambiente ci sguazzino un po’ tutti, nella paraculaggine.
Mentre ci presentano il nuovo bassista Ivan (il vecchio, Ste, ha lasciato la band da qualche tempo), ci informano anche dell’uscita di un disco-raccolta, Sempre solo noi, che riepiloga i dieci anni di vita della band. Una band che, sinceramente, mi aspettavo più battagliera, più tecnica, più frizzante. Tolta la bravura indubbia del batterista Dani, e qualche uso intelligente della chitarra da parte di Ka, il resto non è di certo al livello che mi aspettavo per una band di questa portata. Forse in Italia, per fare successo, davvero basta un calcio in culo.
Pedro inizia a sbarellare su “Le Mie Cattive Abitudini”: la voce non risponde come dovrebbe, e le vocali finali iniziano a calare inesorabilmente. Brutti scherzi della stanchezza. Parte poi un medley di loro vecchi pezzi, tra cui la versione crossover di Dentro alla scatola, cover del successo d’esordio di Mondo Marcio, con il quale si erano gettati in questo featuring “all’americana”. Segue momento di vuoto e breve pausa, in cui tutti scendono dal palco tranne Dani, che si lancia in un divertissement di batteria e basi, molto electro, dimostrandomi ancora, se non altro, di essere un musicista capace, alla bisogna, di non risparmiarsi.

Le basi rimangono spesso, sotto la botta live, a riempire il suono di una band comunque scarna (batteria, basso, chitarra). Così fanno anche in “Ad Occhi Chiusi”. C’è da dire che il LiveForum non rende proprio al 100% per quanto riguarda l’audio, che spesso è confuso, distante (ci si mettono pure le ragazzine, con i loro urletti striduli, a far diventare il tutto ancora più incasinato). Una fonte mi ha informato, tra l’altro, che i Finley, per questo live, non si sono portati dietro neanche un loro fonico personale (e la cosa ovviamente non aiuta).
Proseguendo, Pedro vuole ricordarci che, cinquant’anni fa, usciva il primo singolo di una band, “quattro, belli(sic), bravi, destinati a cambiare la storia del rock”. I quattro sono ovviamente i Beatles, e i Finley ci donano la loro personale interpretazione rock di “A Hard Day’s Night”. A seguire, un ringraziamento a Bennato per aver partecipato al loro ultimo disco in “Il Meglio Arriverà”, che prontamente eseguono, tra basi di armonica e mie definitive riflessioni sulla parabola discendente del rocker napoletano.
Mentre il concerto evolve, io continuo a guardarmi intorno. Davvero, la fauna presente mi sorprende e incuriosisce. Ragazzi più che ventenni, tatuati, con magliette dei Led Zeppelin, o di Jimi Hendrix, che ballano urlando. Io non capisco. Se sono venuti qua per scopare, non avranno vita facile: la maggioranza dell’ecosistema femminile della sala è gente che sembra uscita da una fiction della Rai degli anni ’90 sugli effetti devastanti dell’eroina nella provincia italiana. Mentre penso questo, mi passa accanto una stangona dal pantalone maculato, bionda, truccatissima, col pass al collo. Ecco, penso, ribaltando il ragionamento: se i Finley, facendo tutto questo, non riescono nemmeno a scopare, sono, senza appello, dei veri loser.

Tornando alla musica: i quattro si buttano su “Bonnie E Clyde”, e quando terminano, col fiatone, ci informano di essere stanchi: “dovremmo iniziare a drogarci, ma le droghe non ci interessano”… Ciononostante attaccano con “Fantasmi”, “l’ultima!”: ovviamente no. Dopo la pausa (riempita dai cori del pubblico che intona “Diventerai Una Star” a cappella), ecco l’encore: in versione acustica, con ospite il violinista Roberto Broggi, introducono la loro entry per la compilation benefica di Punk Goes Acustic (“un gruppo di oltre 30 musicisti emergenti italiani uniti dalla passione per il genere punk”), una versione quasi-folk di “I Fought The Law”dei Clash (non male, per niente, anche se Pedro e l’inglese non paiono andare molto d’accordo…).
Il resto del concerto è già scritto: mancano quelle tre/quattro canzoni fondamentali (questo, almeno, è quello che mi dice gente più informata di me). Ecco infatti che parte Adrenalina, con relativo pogo (giuro!) di qualche tipa sovrappeso che rischia, nonostante il mio quasi metro e novanta, di sdraiarmi a terra come sogliola nel mar. (Che se questo è pogo, ai concerti dei Sick of it All è guerriglia urbana). Fumo e Cenere calma gli animi: tutti si fermano per cantarla. Un brano morbido, italiano (come direbbe Stanis LaRochelle), azzeccatissimo come penultimo della scaletta.
Infine, ecco scattare “Diventerai Una Star”: ed è subito adolescenza condivisa. Che poi la domanda che mi faccio è: cosa dice una canzone del genere al pubblico dei Finley? Dove scatta la mimesi? Cosa ci trovano, di loro, in quella canzone, che alla fine parla di una band che vuole fare successo? Posso capire che possa raccontarti qualcosa se fai (o provi a fare) il musicista. Ma per tutti gli altri, che senso ha cantare a squarciagola “diventerai una star / una celebrità…”? Un altro mistero che si aggiunge ai tanti che mi infesteranno la mente stanotte.

Chiudendo il concerto con un ennesimo “Raga, è stato fantastico” (segnare: firmare proposta popolare di legge sul divieto dell’uso pubblico del termine “raga”), seguito da “siete voi che supportate questo progetto indipendente, che ci fate sopravvivere, giorno per giorno”, i Finley mi lasciano una sensazione strana addosso.
Crederci o vendersi? I Finley ci credono, nella loro infinità banalità, o è più un “teniamo famiglia”, un “si deve pur vivere”, che, intendiamoci, in un mondo in cui la musica è mercato, è totalmente e senza dubbio legittimo? Non so cosa sarebbe peggio, nella mia Weltanschauung in cui la musica è, oltre che un mercato, anche un qualcosa di morale, qualcosa che mette in ballo le profondità – abissali – delle persone (e vale anche per il pezzo più pop e meno “impegnato”, se fatto bene).
La cosa peggiore non è tanto responsabilità della band, che fa il suo mestiere tutto sommato bene, suonando ciò che vuole (per un motivo o per un altro). La cosa peggiore è la gente che, per mancanza di strumenti intellettuali, o, peggio, per scelta, sceglie di annullarsi, di appiattirsi, a mani alzate sotto un palco. È questo morbo della facilità, per cui se i Finley ti dicono che in Italia i giovani sono considerati un problema tu applaudi e urli, ma in realtà non ti rendi conto che, detta così, è un’immane cazzata, e soprattutto non ti stai confrontando con l’aspetto reale del tema che quelle parole (in modo pessimo) suggeriscono. E badate bene che non è tanto questione di Finley, ma vale anche per altre situazioni di fanatismo (mai stati ad un concerto milanese dei Ministri? Con la sola attenuante che, se ti sei convinto, criticamente, che ciò che dicono sia giusto, almeno è l’idea a convincerti, e non una maschera, un trucco, una finzione: non è solo il potere del palco, quel meccanismo per cui un concerto è, ricordiamolo, una comunicazione a senso unico, dove il pubblico è, sempre e comunque, passivo).

Mentre torno a casa ho una visione: la mia coscienza politica che si palesa in un fantasma, uno strano incrocio tra Antonio Gramsci e Obi-Wan Kenobi. Mi dice: “la dittatura è nei gesti. L’Impero è un concerto dei Finley”. Io lo guardo, sconsolato, e scuoto la testa. È da quando esiste il rock’n’roll che esiste il fanatismo, l’idolatria, lo strapparsi i capelli, il dio-mio-quanto-so’-fichi. Anzi, che dico? Da quando esiste l’Uomo, da quando il nostro antenato nudo e peloso si è alzato sul monolite per agitare la sua accetta di selce e, così, eccitare la tribù prima della caccia. Ad ogni modo, non è certo mia intenzione farmi additare come un Mosè che scende la montagna e distrugge il vitello d’oro (già li vedo, i fan dei Finley – i fanley? che pensano “ma che cazzo vuole ‘sto qua?niente, ragazzi, si fa per dire). Sto tranquillo: so già che domani mi sveglierò e questa strana sensazione sarà svanita. D’altronde, come mi ha detto un amico, “ti fai troppe seghe mentali, sono i Finley, fanno le canzoni alla LEGO” – e no, non riesco a dargli torto.

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I Grizzly Bear in Italia.

Written by Senza categoria

Cari amanti dell’orso Grizzly da Brooklyn, non avrete vita facile se il vostro proposito per il 2013 sarà vedere la band di Edward Droste dal vivo. Freschi del loro quarto album Shields, il loro Folk psichedelico sarà disponibile in Italia per una sola data:

28 Maggio 2013 – Alcatraz, Milano

Prevendite da giovedì 6 Dicembre, prezzo 20€ + d.p.

In bocca al lupo!

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Mister “E” torna in Italia. 18 Aprile 2013 Alcatraz, Milano

Written by Senza categoria

In occasione della prossima uscita di “Wonderful, Glorious“, quindicesima fatica full lenght di Mark Oliver Everett, leader incontrastato degli statunitensi Eels, siamo lieti di annunciarvi l’unica data italiana in programma il 18 Aprile 2013 all’Alcatraz di Milano. Nel frattempo, gustatevi “Peach Glossom”, primo estratto scelto da Mr “E”.

18 Aprile 2013 – Alcatraz, Milano

 

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