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Back To Mercurio – Umani Front

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I Back to Mercurio sono Marco Mirk e Roberto Dossi, questi due musicisti romani come un infuocato asteroide si sono staccati dal pianeta Aldrin, per gli amici mercurio, per ritornare sulla terra, con una nuova veste musicale e un nuovo EP Umani Front. Quattro brani che mettono subito in chiaro il netto distacco con tutto l’immaginario di suoni e melodie legati al Post Rock degli Aldrin, e più in generale a quelle atmosfere dilatale e cosmiche, caratterizzati delle lunghe cavalcate strumentali alla God Is an Astronaut. Ora ci troviamo sulla terra, ferma, consistente e devastata dalla caduta di un asteroide, in preda e scenari post apocalittici e pseudo cibernetici. Un netto cambiamento di scenario che trasuda dai pezzi proposti, composti di suoni cupi, densi, pesanti, con una predilezione alla ripetizione al limite dell’ossessivo. Gli strumenti messi in gioco per creare questi pattern sonori sono principalmente batteria, chitarra, sintetizzatori e drum machine. L’inizio dell’EP è affidato a “Not Okmin”, nove minuti abbondanti di stratificazioni progressive di suoni che si ripetono in un continuum, che partono da una chitarra per perdersi in una deriva di synth opprimenti e fredde distorsioni. Unico momento di distrazione è l’incursione di una voce femminile, una breve pausa prima di ributtarsi in un tunnel profondo, rosso, e senza fine. Seguono “Tougue” e “ Metalserbatoi” e se la prima riesce a concedere qualche sguardo verso il cielo, la seconda, attraverso combinazioni di suoni digitali e drum machine, qui più forti che negli altri brani, ci butta in uno scenario cibernetico, fatto di schermi rotti e macchine che ripetono all’infinito la stessa sequenza di movimenti fino alla fusione dei circuiti. Chiude l’EP “The Smallest Machine” (Is Mine), che rallenta e allarga il tempo senza rinunciare, però, alle atmosfere ansiogene e ossessive, un piccolo incubo che termina questo percorso nell’oscurità. “Umani Front” è un progetto impegnativo, interessante, ma difficile da valutare sotto il profilo della godibilità e della gradevolezza. Il duo ha certamente ereditato dalle precedenti esperienze un approccio esplorativo alla composizione, anche se in questo frangente la ricerca così specializzata, fa emergere, per sua stessa natura, un risultato che tendo al ripetersi, con pochi veri guizzi e aperture. Un ascolto per i curiosi e per i più tenaci e amanti del genere.

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Aldrin – Educorum

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Lo spazio, l’universo, le stelle hanno da sempre attirato l’attenzione e l’interesse dell’uomo che a sua volta si è cimentato fin dall’alba dei tempi a dare un senso all’infinito cosmico, fisici, astronomi, teologi, filosofi e perfino musicisti. I romani Aldrin, anche loro vittime del fascinoso cosmo, rientrano decisamente nell’ultima categoria, sebbene si siano scelti il nome dell’astronauta americano Buzz Aldrin, che toccò per secondo il suolo lunare. Il loro nuovo lavoro Educorum, il terzo per la precisione, sarà disponibile e scaricabile gratuitamente online dal 22 marzo. Sei tracce di Instrumental Rock con un lavoro ritmico e di chitarre prominente e creativo, volto a creare atmosfere dilatate e definire spazi imprendibili, ma allo stesso tempo consistenti e reali. La ricerca dei suoni e delle soluzioni ritmiche sono il punto focale dell’album che sopperisce all’assenza, quasi totale, del cantato o al suo uso non tradizionale, quando presente. Curiosa la scelta dei titoli, una semi contraddizione interna, che invece di lanciarci nell’iperuranio immaginifico ci portano in luoghi fisici e attimi del quotidiano, come se tutta la forza verbale dei testi mancanti fosse sintetizzata nei titoli, che velatamente sono più amari e critici dei suoni.

“Mara Caibo” è un esempio calzante, il titolo è immediatamente associato al più famoso tormentone raffaelliano, ma il quartetto romano sviluppa il tema a modo proprio, dando gande spazio al ritmo della batteria e alle lunghe ripetizioni inframmezzate da cambi decisi di ritmo. L’apice del brano, che detta una decisa svolta, è la registrazione di una delle tante bagarre televisive di uno dei tanti reality show nostrani, dopo questo momento ricco di intensità, il brano si chiude rallentando e ritornando al suo principio, chiudendo il cerchio e dando un senso alla citazione. Lo stesso meccanismo si ritrova, forse in maniera meno evidente, in “Non ti si È Visto più giù al Bar”con un inizio esplosivo e ritmato da Rock ribelle, che via via sparisce in un gioco più intimo e slow in cui le chitarre cedono il passo ad un basso più presente.  Si prosegue con “Il Mio Hair Stylist”e ”I Signori della Sinistra”,  entrambe morbide ed eteree, con un’impronta più marcatamente Ambient e vicine allo stile dei Mogwai, la prima disturbata dall’incursione di una voce femminile che da un lontano autoparlante ci ricorda di dover amare le persone, e la seconda che chiude l’album lasciandoci in tensione verso quel misterioso infinito, oscuro e lontano,  che ci avvolge e ci attira. Gli Aldrin con Educorum ci consegnano un album ben fatto suonato con capacità, ricercato nei suoni e nelle atmosfere, per un ascoltatore di nicchia alla scoperta dell’universo.

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