Alice in Chains Tag Archive

Kpanic – Asylum

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I Kpanic sono una band con poco più di un anno di vita (sono stati fondati infatti nel 2012) che propongono un interessante mix di Nu Metal, Grunge e New Wave caratterizzato da un sound granitico e compatto che fa da contrasto a un cantato molto melodico, pulito ed incisivo. Durante lo scorso anno è arrivata anche la vittoria al RockAge Contest seguita dalla registrazione di questo lavoro e dall’abbandono del gruppo da parte di uno dei componenti e la conseguente sostituzione con Simone Pannacci, già cantante e chitarrista dei SI.S.M.A. col quale il progetto sta ripartendo verso nuovi live e nuovi pezzi.
Attualmente la line up vede Simone Migliorati alla batteria, Dave Tavanti al basso, Michele Tassino alla chitarra e Marco Riccio alla voce.
Asylum dimostra già però la maturità di una band rodata con chiari riferimenti ai conterranei Lacuna Coil (di cui si spera possano imitare il successo oltralpe).
Undici tracce che riprendono molto anche dagli americani Alice in Chains di Facelift e Dirt (evidenti i segni di ispirazione in “A Day for the Sun” in cui appaiono anche piccole tracce di puro Punk anni Settanta).
Un elogio particolare lo vorrei fare al bassista Davide, prezioso elemento che pur se spesso coperto dalle chitarre gioca un ruolo essenziale nell’economia del lavoro.
Le sue linee non appaiono mai banali ed è davvero piacevole sentire un suono così puramente Grunge ancora negli anni duemila e dopo aver sentito il basso distorto all’inizio di “Another Day” non potrete fare a meno di ascoltare questo disco almeno una volta al dì.
Fondamentali tuttavia anche il cantato (a volte urlato, a volte no) e il drumming sempre preciso ed incisivo in un gioco quasi perfetto di arrangiamenti curatissimi.
Difficile (o forse impossibile) quindi trovare un elemento negativo in Asylum, in cui c’è persino spazio per una ballad molto pacata ed acustica, “Be or Not to Be”.
L’autoproduzione non sempre dà frutti negativi e questa ne è la prova imprescindibile.

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Hola La Poyana! – A Tiny Collection of Songs About Problems Relating to the Opposite Sex

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Raffaele Badas meglio noto come Hola La Poyana! torna dopo l’esordio di sole cinque tracce dello scorso anno che ottenne un buon successo di pubblico e di critica. Le note per la stampa indicano invece per questo disco: “Hola la Poyana è la ricerca dell’intensità attraverso pochi ed essenziali strumenti: chitarra, voce e stomp box, come nella tradizione Blues americana. Vibrazioni acustich epregne di metallico ardore”. Mai parole furono più giuste essendo noi di fronte a una sorta di one man band che non fa mai rimpiangere la quasi totale assenza di altri strumenti.

A parte l’accoppiata chitarra e voce, infatti, si possono sentire soltanto una cassa, delle piccole percussioni ed un violoncello. A volte un po’ Nick Drake, a volte un po’ Beck e talvolta persino un po’ sua maestà “slow hand” Eric Clapton, qui ci troviamo di fronte a un esempio netto di musica nuda e spoglia che sa sempre emozionare agendo in maniera un po’ timida ma convincente. Tra le influenze principali si trovano però anche tracce del blues di Skip James e di Mississippi Fred McDowell, delle ballate Country di Neil Young, del Folk strumentale di John Fahey e persino alcune divagazioni più spiccatamente Indie Rock, il tutto accompagnato da testi in parte ironici e in parte malinconici.

Musica genuina e spontanea quindi che viene dal cuore, come lo era il Grunge degli Alice in Chains (ma qui non troverete però nulla di loro), per questo lavoro registrato egregiamente da Piergiorgio Boi e prodotto in uno stile lo-fi ma molto gradevole da Simone Sedda. Di grande impatto anche la capacità vocale di mr. Badas, impeccabile nella sua pronuncia inglese tanto da sembrare un ibrido fra un Dave Grohl (Nirvana, Foo Fighters) e un Bon Iver. Da pochi giorni è partito il tour dell’artista che lo porterà in giro per tutta la penisola italiana per tre mesi. Se dovesse passare dalle vostre parti occhio quindi a non lasciarvelo sfuggire! Vi potreste pentire della vostra eventuale assenza!

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Pig Tails – So What

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Due ragazzi di Mantova. Solo due. Niente basso, niente seconda chitarra. Un organico ridotto all’osso, col cantante che suona anche la chitarra e il batterista. Questi sono i Pig Tails, che hanno dato alla luce So What, il loro full lenght composto di dieci tracce, oscillanti tutte tra il Punk americano e il Grunge anni ’90. Energia da vendere, indubbiamente, come si intuisce già da “Spitfire”, brano modellato sulle sonorità Garage con chitarre anni ’70 e un retrogusto pop, un po’ alla White Stripes.

È con la title-track “So What”, però, che si delinea meglio lo stile del duo: un bel Punk’n’Roll graffiante, su cui si muove la linea vocale dalla timbrica chiara seppure urlata. Particolarmente interessante in questa traccia è la perizia strumentale: i due ragazzi sono davvero molto bravi anche nella ricerca timbrica. “Papercut” e “The Revolution” sono profondamente in debito con i primissimi album dei Green Day quelli delle distorsioni, dei pantaloni al ginocchio e delle scarpe da skater, non certo quella copia patinata di loro stessi che sono ora. Con l’intro di “I Promise”, invece si evidenzia un certo gusto per la dissonanza che ricorda le esperienze del Grunge dei Nirvana di Incesticide, con un cantato più trascinato che lanciato: la ballad finisce però presto per diventare un po’ noiosa e ripetitiva, meritandosi in poco tempo l’etichetta di pezzo meno riuscito del disco.

Per fortuna parte “Stonecutter II” con il suo bel riffone Seventies: il brano potrebbe non essere davvero nulla di speciale, ma gli effetti usati alla voce allontanano dall’Hard Rock tradizionale e lo stacco improvviso che muove verso il Grind rendono la canzone ulteriormente originale. Lo stesso si può dire della successiva “We Can’t Fall”, mentre con “Too Bad” si torna al classico Punk-Rock. La chitarra di “Reptiles” richiama di nuovo il Grunge, ma quello degli Alice in Chains questa volta, e il disco si chiude con un nuovo richiamo ai Green Day, con la tripartita “I’ll Be Here”.

I Pig-Tails giocano con la forma canzone, scombinando le canoniche relazioni e apparizioni delle strutture strofiche e dei ritornelli, mescolando i generi, allargando le maglie di compenetrazione degli stili. Solo sono due e sembrano tanti e hanno i numeri per poter dire qualcosa. L’impressione è che, al momento, stiano esplorando un terreno in cui già molto è stato detto così tutto suona già sentito, ma l’augurio è quello di individuare un taglio più personale, che, supportato dall’indubbia capacità tecnica, non potrà far altro che portare un po’ di fortuna.

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Alice in Chains – The Devil Put Dinosaurs Here

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Quattro anni fa – diciamocelo con chiarezza – Black Gives Way To Blue ci aveva lasciato più che con un amaro in bocca, troppo forte il dislivello creativo e di sollazzo maledetto del dopo Stayley, e ancor più forte lo stordimento mai rappreso della perdita di quest’ultimo, ma ora come per azzittire le numerose illazioni su di loro, gli Alice in Chains al comando di Cantrell ci riprovano con The Devil Put Dinosaurs Here, il disco che – più o meno – ribadisce il lugubre fascino malato delle altre produzioni, anzi con più affondi funerei e malinconici che spaziano come amebe impazzite nelle riappropriazioni delle colorazioni dark del marchio AINC.

Molti – appunto – sono immobili nelle convinzioni e  fanno ancora il paragone estetico e vocale Stayley/William DuVal, ma sono solo quegli attaccamenti umorali di chi non si convince ancora alla sostituzione “forzata”, ma quello che conta è che la formazione rinasca dalle castranti modalità di confronto e seguiti a forgiare una nuova stagione d’oro e di una rinnovata coscienza e questo disco – incastonandolo tra estasi e rinascita – torna ad esprime in grandeur quella esperienza mistico-animistica  del sulfureo, quelle meravigliose e prodighe ombre profonde che sacralizzano l’insacrabile; dodici tracce che hanno lo spirito della notte, psiche ed entusiasmi maestosamente sostanziali sono l’ossatura di un album che porta la band americana ai punti caldi della loro storia, dei loro demoni nascosti e i fantasmi cordofoni della loro arte mefistofelica.
Disco a due mandate, da una parte la discesa negli inferi fumiganti della dissolutezza atmosferica “Pretty Done”, la titletrack, “Phantom Limb”, alcune appartenenze doom Sabbathiane “Stone”, “Hollow”, dall’altra gli strati benevoli dell’appunto “rinascita, quel forte respiro di apertura immacolato come a redimersi verso un paradiso slabbrato “Voices”, “Lab Monkey”, la bellissima ballad “ Scalpel” o l’abbraccio di un sole d’inverno “Choke”; grande armonia e altrettanta voglia di essere presenti, gli AINC sono di nuovo sui sentieri della padronanza sonora, e ancora sulle orme di quel loro insaziabile viaggio ai confini dell’assurdo reale che dell’angoscia,  dell’ossessione e della estenuante necessità di ripetersi nella immaginifica di un non raziocinio, ne scarica il fasto e l’irreversibile cianotica bellezza.

Un marchio che non avrà mai fine!

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Sinervia – Limit Of A Dream EP

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Nata poco meno di tre anni fa, la band di Gattinara (Vercelli) è lo strumento primario col quale Luca “Lupo” (voce, chitarra & synth) ha palesato le sue creazioni originali e inedite, sotto il nome Sinervia, band nella quale andranno di volta in volta a congiungersi quelli che sono i membri attuali della formazione, Fabio “Cippo” (batteria), Jonathan (chitarra) e Matteo (basso). La prima scelta del gruppo fu di provare, provare, arrangiare e provare i pezzi proposti dal fondatore, soffocando parzialmente l’ovvia voglia di live, caratteristica di ogni musicista a inizio carriera. Il risultato di tanto lavoro è questo Ep di quattro tracce, Limit Of A Dream, gonfio di tutta la vena creativa di Luca ma anche ricco delle diverse sfaccettature proposte dagli altri membri i quali hanno riversato nei brani la propria cultura e formazione musicale oltre che la loro voglia di esprimersi messa al servizio del nucleo originario dei pezzi oggetto di arrangiamento. Il risultato è un rock duro, con diversi agenti che richiamano il Metal (perlopiù Post e Nu) ma non solo. Si passa da accessi vigorosi stile Deftones, fino al Grunge molto fuori dalla norma degli Alice In Chains (“Black Rainbow”, “Broken Eyes”). Alcuni riff si riallacciano addirittura ai Tool (“Shadow Of Light”) senza mai pareggiarne la magniloquenza ma non mancano momenti meno aggressivi di puro Alt Rock (“Red Sea”), con melodie più morbide e armoniose (Incubus, Kings Of Leon) e rimandi ai nuovi grandi vecchi del Rock nostrano (Verdena, ad esempio). Anche il post-rock/metal è accarezzato, come si può notare con chiarezza ad esempio nei muri di chitarra di “Red Sea”. Questo è certamente il brano più complesso, più strutturato, con diverse variazioni e interessanti cambi di ritmo, che fanno altalenare le sensazioni tra inferno e paradiso. Ottimo il lavoro di Luca e Jonathan alle chitarre, puntuale la sezione ritmica e assolutamente convincenti gli inserti sintetici, che s’incastrano alla grande senza suonare forzati, cosi come la voce, sia come intonazione sia come timbrica (forse in alcuni momenti appare forzata la pronuncia inglese ma potrebbe anche essere un’impressione di un non anglofono di nascita). Non male neanche le melodie cosi come l’esecuzione tecnica. Limit Of A Dream è il classico Ep nel quale è trasparente il tanto lavoro fatto da chi suona. Ha un unico grosso neo. Le diverse influenze dei quattro confluiscono in una proposta troppo precisa e poco originale che rischia di trovare difficoltà a far breccia sia nell’anima di chi non ama questo tipo di sonorità, sia di chi si sente troppo legato alla ricerca del nuovo. E magari gli altri si chiederanno perché ascoltare i Sinervia quando ci sono i Deftones, gli Incubus e tutta una scuola di genere piena di talenti stranoti. Se questi ultimi rileggeranno dal principio, forse troveranno la risposta in un paio di semplici parole.

https://soundcloud.com/sinervia/broken-eyes-mp3

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BOLOGNA VIOLENTA E DISCHI BERVISTI PRESENTANO: THE SOUND OF…

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Qual è  il vero suono di una band? Ma soprattutto, avete mai pensato  di poter ascoltare contemporaneamente tutta la discografia della  vostra band preferita?
Ora è possibile grazie a THE  SOUND OF…, una raccolta di quaranta discografie delle band più amate del pianeta, curata da BOLOGNA VIOLENTA (ecco la recensione dell’ultimo album e qui l’intervista a Nicola Manzan) per DISCHI BERVISTI in dieci  pratiche uscite settimanali.
Un tempo, per  sentire l’intera discografia di una band o di un artista dovevamo  fare un sacco di inutili e stancanti ricerche. Al giorno d’oggi con  internet si può sentire o scaricare tutto e subito. E il futuro?  Forse in un futuro più o meno prossimo riusciremo ad ascoltare  centinaia di brani contemporaneamente e soprattutto a gustare appieno  il sound inconfondibile di ogni band, con le sue mille sfaccettature  e le sue peculiarità.

THE SOUND OF… vuole  essere un simpatico esempio di ciò chepotrebbe essere il futuro  della musica e della sua fruizione.

Fortemente ispirata alle collane di  musica ambient da edicola, THE SOUND OF… non  vuole di certo essere una release esclusiva per audiofili o  maniaci delle frequenze più bizzarre: oltre alle vostre  orecchie, già impegnate ad esplorare nuove sonorità, anche i vostri  occhi curiosi potranno gustare le nuove  copertine (nate dalla fusione di tutti gli artwork dei dischi  presi in causa) che andranno a creare un immaginario ai limiti  dell’astrattismo, ma sempre perfettamente in linea con la cifra  stilistica delle band trattate.
Ognuna delle dieci  uscite (rigorosamente in free download) conterrà quattro band o  artisti a confronto.

GLI  ARTISTI COINVOLTI: Abba, Alice in Chains, Art of Noise, Barry White, Bathory, Bee Gees, Black Flag, Black Sabbath, Bob Marley, Boston, Carcass, Charles Bronson, Dead Kennedys, Death, Donna Summer,  Eagles, Faith No More, Genesis, Jefferson Airplane, Kansas, Kyuss, Led Zeppelin, Michael Jackson, Negazione, Nirvana, Os  Mutantes, Pantera, Pink Floyd, Queen, Ramones, Siouxsie and the  Banshees, T.Rex, The Beatles, The Clash, The Doors, The  Police, The Velvet Underground, The Who, Thin  Lizzy, Whitney Houston.

Quaranta  rivisitazioni dei classici della musica moderna.
Un’occasione unica  ed imperdibile per tutti gli amanti delle sonorità d’altri tempi.

PRIMA USCITA LUNEDì 4 MARZO 2013 IN FREE DOWNLOAD SU BOLOGNAVIOLENTA.BANDCAMP.COM [1] Per tutti gli aggiornamenti sulle uscite:

www.bolognaviolenta.com [2] facebook.com/dischibervisti [3] Nunzia TamburranoUfficio stampa Dischi Bervisti/Bologna Violenta
dischibervisti@gmail.com [4]

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