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Daughn Gibson 03/12/13

Written by Live Report

Il Blackout Rock Club è un posto un po’ fuori mano, sulla Casilina inoltrata a Roma. Un posto dove si organizzano bei Live. A maggio sono andato a vedermi Dinosaur Jr, di lunedì purtroppo e questa serata è di martedì. Il weekend, direte voi, suoneranno dei mostri sacri. E invece no! Ci sarà la discoteca?!Può essere!Ma questo weekend ci sarà l’American College Party. Che?!? Sulla locandina due ragazze ammiccanti vestite da cheerleader con tanto di ponpon, o come cazzo si chiamano. Quello che voglio ribadire è che la vita da Rocker si fa sempre più dura.

Faccio la mia fila cercando di non sbavare sulla locandina del college party e una volta dentro faccio un’altra fila per aggiudicarmi la brodaglia in bottiglia che chiamiamo birra. Daughn Gibson è lì appoggiato al bancone ad aspettare la sua di birra, mentre nessuno lo caga, giusto il tempo di prenderla e sparire nel privé. Dopo aver suscitato la curiosità nella scena underground statunitense con il suo primo lavoro All Hell uscito per la White Denim Records, subito crea, grazie ai testi, curiosità nella critica, Pitchfork per capirci, e riesce in breve a chiudere il suo primo e vero contratto con la mitica Sub Pop Records. A giugno esce Me Moan che rispetto al precedente è più orecchiabile e con testi meno articolati. Ma torniamo alla serata, dopo un ora e più ad aspettare che si riempisse il locale inutilmente, visto il martedì e visto che praticamente lui è ancora quasi sconosciuto in Italia, e un piccolo cambio di amplificatore finalmente il concerto ha inizio. Gibson parte subito con i brani più ritmati dell’ultimo disco, un po’ più accelerati per l’occasione da sembrare a tratti punkeggianti. Tra un brano e l’altro, per via dell’uso che fa di campionatori e suoni registrati, spesso non c’erano pause e il risultato è stato un’ora intensa di ballate Country elettrificate, “Kissin on the Blacktop”, e canti struggenti di amori interrotti, “Tiffany Lou”. Nel bis di mezz’ora mi allieta con quello che secondo me è il suo pezzo più significativo “In The Beginning”, stupendo.

Ecco l’intera scaletta della serata:

Lookin’ Back on ’99, You Don’t Fade, Phantom Rider, Mad Ocean, Kissin on the Blacktop, Lite Me Up, Tiffany Lou, A Young Girl’s World, All Hell, The Sound of Law, In the Beginning, Rain on a Highway, Dandelions.

In definitiva un domani potrò dire di aver visto Daughn Gibson. Dico un domani perché ora lo conoscono in pochi in Italia ed effettivamente in questa serata, comunque fantastica, eravamo in 200 ad ascoltarlo. La prossima volta che capiterà in zona non perdetevelo!!!

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Daughn Gibson – Me Moan

Written by Recensioni

Daughn Gibson, per chi non lo sapesse, è il nome d’arte di Josh Martin, trentunenne ex-camionista della Pennsylvania che con la sua voce tenebrosa e le sue trucide storie di disagio, miscelate ad un Country elettrificato, sta conquistando pezzi di un pubblico sempre più vasto. L’immagine è quella di un ragazzo che percorre chilometri di asfalto sul suo camion in giro per gli USA: nottate in squallidi motel, soste in bettole di provincia piene di ubriaconi e il rapporto con le proprie origini, conservatrici, di provincia. La sintesi del personaggio è stata accostata al mitico Johnny Cash, sia per il tipo di storie raccontate, storie di gente emarginata, borderline, sia per il modo di interpretare il proprio personaggio. Ovviamente, anche se ci sono punti in comune fra i due, Daughn dovrà fare la sua parte e dimostrare nel tempo, con una dose massiccia di creatività, questo accostamento a un mito del Rock Made in U.S.A..

Dopo il suo primo lavoro All Hell (2012), edito dalla White Denim Records e scovato da Pitchfork che l’ha reso noto al grande pubblico, Me Moan è il suo secondo album, uscito all’inizio di quest’estate. Pieno di un Country sgocciolante e una ritmica abissale ha sorpreso tutti quando la mitica Sub POP Records l’ha rilasciato. Ma c’era da aspettarselo che una qualche etichetta di rilievo si occupasse di una voce così spessa e profonda. Nel passaggio tra le due case discografiche Gibson al momento perde parte della narrazione, le storie diventano storielle meno definite e più aperte allo specchio dell’ascoltatore con la melodia che segue provando ad essere meno introspettiva e più addolcita per un pubblico più vasto; Meno suoni campionati e una ritmica minimale. Rimane validissima la sua rielaborazione della Country Music che si porta dietro fatta di note elettriche miscelate alla classica strumentazione Rock che attribuisce uno stile evocativo ai suoi testi che insieme alla sua voce ci trasportano in una sorta di altare dove vengono sacrificati emarginati, disadattati, mignotte, tossici e marchettari.

Anche se Me Moan si distanzia dal precedente lavoro sacrificando originalità e scaltrezza a favore di un risultato più tondo e immediatamente usufruibile per il pubblico, rimane sempre la sua voce baritonale che ci schiaccia vorticosamente in questi oli raffiguranti situazioni ai bordi della società. Un po’ a tinte scure e struggenti come in “Franco” storia di isolamento, un po’ ballata Country come nel primo singolo estratto “Kissin on the Blacktop” che potete ascoltare qui sotto e un po’ Dance con ululati di fantasmi campionati con “Phantom Rider”. Un album più disomogeneo e meno raffinato rispetto l’esordio ma nel complesso produce un onda tra le varie canzoni che lo fanno scorrere per tutti i suoi settanta minuti. Da non perdere assolutamente anche “Mad Ocean”, “You Don’t Fade” e la finale “Into The Sea”.

Mr Gibson con la sua voce si spinge sicuramente sempre un po’ più nell’eden dei cantautori americani anche se per arrivare anche solo alla cinta di Mr Cash avrà bisogno di molta fortuna nel panorama vaporoso della musica attuale e probabilmente di una chitarra.

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