Gli Slivovitz nascono a Napoli nel 2001, la loro musica è da sempre caratterizzata dalla grande varietà di stili e di riferimenti geografici tra i più disparati. Dal Jazz al Rock, dall’America ai Balcani passando per il Mediterraneo, hanno pubblicato tre dischi dal sound progressivamente sempre più riconoscibile: il primo, omonimo pubblicato nel 2006, ed altri due, Hubris e Bani Ahead, pubblicati rispettivamente nel 2009 e nel 2011. Nevrotici, irrequieti e naturalmente tesi al movimento in questi anni, a partire da Napoli, hanno suonato in tutta Italia e in Europa.
All You Can Eat è il loro nuovo album, in uscita il 17 novembre per MoonJune Records, con il quale avanzano a pie’ sospinto nel reame dell’eccesso, mescolando insieme, esempi brillanti della più raffinata cucina sonica Italiana, mitigando arrangiamenti complessi e drastiche variazioni compositive.
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Esce il 17 novembre All You Can Eat, il nuovo album degli Slivovitz
Kitsch – All You Can Eat
Prendiamo subito atto di quanto stiano bene insieme musica & cartoon, un modo tutt’altro che scontato per rendere ulteriormente fruibile la musica e le sensazioni visive, un tutt’uno vivace, dolce e a suo modo poetico di estrapolare tutti quei qualcosa che vanno a colorare d’ottimismo una buona parte dell’esistenza.
Tutto questo per presentare “All You Can Eat”, secondo lavoro dei comaschi Kitsch, un cinque tracce abbinato ad un Comic Book che ne “disegna” le tracce e le “arie” come un sottotitolato fumettato che da fisicità e forme ai suoni, ed è subito una cosa vincente che non fa altro che aumentare le buone aspettative alle quali questa band – ricordando già l’ottimale avvio artistico di Mentre Tutto Collassa dell’anno scorso – ci sta abituando velocemente; cinque tracce che prendono una strada leggermente più “hard” degli esordi, mentre la “lingua contro” seguita a colpire tutto e tutti, la società e tutte le maialate di contorno, una scaletta che si fa sentire, graffiante nell’elettricità, immediata nelle percussioni e sudaticcia nel move-it forsennato, tutte credenziali in accumulo che esplodono una volta inserito il disco tra lo stereo e la voglia di sound.
Indie rock di pregio questo dei nostri comaschi, un bordello organizzato di armonie e sbalzi umorali che arrivano per restare a lungo negli orecchi, robuste strutture e soluzioni amplificate che – a differenza di tanti altri – non scomodano quasi nessuno dei piani alti dell’ispirazione, forse il misto Negrita/Afterhours che tinteggia la bella chiusura di “Melma”, ma il resto è pura energia autoctona, bollente “Social network”, “Mondo indie”, come lo shuffle pedalato di “Zero sbatti” e lo stupendo episodio sincopato che mette tutti sull’attenti “Denise”, olimpo di pogo per anime scavezzacollo.
Un ritorno questo dei Kitsch a spalle larghe e con la temperatura più che giusta per “lessare” tante banderuole che agitano il niente ed il nulla. Dalla zona di Como in arrivo una turbolenza di tutto rispetto, prendere le dovute precauzioni grazie.