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I DISCHI CHE NON TI HO DETTO | i primi sei mesi del 2016 in 11 album da non perdere

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Senhal – Parapendio

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Recensioni | maggio 2016

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Jenny Penny Full – Eos (Dream Pop, Folk, Psych) 7/10
Misurati e cullanti come la migliore delle ninne-nanne. Un’incantevole voce femminile e tappeti sonori che stregano senza mai eccedere, forse peccando, qui e là, di troppa linearità, ma recuperando altrove in piccole fughe eteree, fumose ascensioni improvvise. Prodotto dalla Vaggimal dei C+C=Maxigross, Eos è un debutto sussurrato, ma convincente.

[ ascolta “Far Continents” ]

Echoes of the Moon – Entropy (Doom Metal, Ambient, Post Rock) 4,5/10
Prolisso e noiosetto concentrato di batterie finte, distorsioni acide, urla distanti e cupezza senza fine. Troppo immerso nei cliché per poter sostenere brani da 10 minuti senza evocare sbadigli o prurito al tasto “skip”. Solo per fan del genere, sfegatati al punto da sfiorare il masochismo (ce ne sono).

[ ascolta “Entropy” ]

Foxhound – Camera Obscura (Alt Pop, Funk) 7/10
L’ex quartetto torinese sembra muoversi con più disinvoltura in questo EP, che in cabina di regia ospita Mario Conte (Meg, Colapesce). Rimasti in tre, i Foxhound continuano a muoversi in territori Funk ma si lasciano andare a sperimentazioni analogiche che li rendono soffici e gradevolmente retrò. Ora che la nuova rotta è fissata e funziona attendiamo la prova in long-playing.

[ ascolta “My Oh My” ]

Blackmail Of Murder – Giants’ Inheritance (Metalcore) 6/10
I bresciani, freschi di contratto con la label Indiebox, ci presentano il loro secondo disco: Metalcore indiavolato come da tradizione Killswitch Engage, Caliban e compagnia bella. Il confronto con i mostri sacri del genere regge bene, compresa la ballata “Whisper”, unica variante di un lavoro che ha come punto debole la troppa somiglianza tra i singoli pezzi, risultando, alla fine, impossibile distinguerne uno dall’altro.

[ ascolta “Never Enough” ]

Oaken – King Beast (Dark Ambient, Post Hardcore) 5,5/10
Gli Oaken da Budapest hanno il coraggio di osare, influenzando il Death Metal con una massiccia dose di Dark Ambient e degli inserti Melodic Hardcore. Immaginatevi dei Converge fatti andare a briglia sciolta e calmati con forti scosse elettriche. I brani sono solo quattro ma durano un’eternità, allungati da contaminazioni a profusione. Si salva la voce femminile che impreziosisce “The Hyena” e poco altro.

[ ascolta “The Hyena” ]

Kai Reznik – Scary Sleep Paralysis (Elettronica, Ambient) 4,5/10
Dalla Francia, un’elettronica cupa e retrò che non stupisce per ricerca sonora né per maestria compositiva, tra arpeggiatori ossessivi e synth poco a fuoco. Un poco più interessanti le voci di Sasha Andrès degli Heliogabale su “Post” e “Nails & Crosses”. Se le atmosfere claustrofobiche sono volute, ci sarebbe da lavorare sui suoni per renderle masticabili e non distrarci troppo con gli spigoli grossolani dell’impianto strumentale.
[ ascolta “Post” ]

HUTA – How To Understand Animals (Alternative, Post-Grunge, Shoegaze) 6/10
Un mix saporito di sporcizia echeggiante attitudine Grunge e tappeti sonori e rumoristici da trip oscuro e nervoso. Il trio di Cuneo sforna un album che non delude dal punto di vista strumentale, abbastanza muscolare e ipnotico da convincere nonostante la voce non eccelsa e i suoni a cavalcioni del confine tra frizzone Noise controllato e amalgama poco riuscito, ribelle, fastidioso. Un equilibrio in bilico che mette in luce una qualche potenzialità senza però esplicitarla compiutamente.

[ ascolta “Hone” ]

Guns Love Stories – The Beauty of Irony (Alt Rock) 6/10
Unite il cantante degli Hardcore Superstar ad una qualsiasi band del filone Emocore stile Silverstein o Emery, per fare due nomi a caso, e avrete ben presente come suonano gli svizzeri Guns Love Stories. L’album gode di una produzione ottima che tira a lucido dieci canzoni ad alto tasso di infiammabilità. Eppure, nonostante ciò, il senso di incompiuto è perennemente dietro l’angolo.

[ ascolta “Predigested Hollywood” ]

Xayra – Resilience Blues (Pop) 5,5/10
Se questo disco fosse stato pubblicato più o meno vent’anni fa si sarebbe potuto tranquillamente gridare al miracolo: sarebbe stato un mix perfetto fra Silencers, Smashing Pumpkins, Ellis, Beggs and Howard e il primo Brit Pop. 
Tuttavia la musica negli anni si è evoluta ed è forse giunto il momento per gli Xayra di aggiornarsi e di adeguarsi ai giorni nostri. Certamente un bel lavoro ma fuori tempo massimo.
[ ascolta “Worries+Faults” ]

Filippo Dr Panico – Tu Sei Pazza (Punk, Cantautorato) 6,5/10
Si può descrivere il rapporto di coppia in musica senza mai delineare troppo il confine tra Punk e Cantautorato? Per Filippo Dr Panico è impresa fin troppo facile. Il suo valore lo aveva già dimostrato con il precedente lavoro, ora però ascoltatevi con attenzione “Bravo a Parole” e la title track meditando sui testi, chissà che non vi identifichiate nelle medesime situazioni. Da segnalare inoltre “Ci Vorrebbe Una Notte”, scritta assieme a Calcutta.

[ ascolta “Ogni volta che te ne vai” ]

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Uli – Black and Green

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Uli gioca all’ombra della schiena di Nina Simone a rincorrere i fantasmi di Bill Hicks, ma in realtà è una italianissima cantautrice e ha le idee piuttosto chiare per essere una che è appena al suo album di esordio. Al secolo Alice Protto, la Uli di Black and Green riparte dai tre brani dell’EP dello scorso anno e sceglie i colori con cui tingere la devozione nostalgica al sound atemporale del Folk e del Blues americani che già allora aveva confessato.

Eloquente nel chiarire il processo compositivo è ciò che accade all R’n’B delle liriche di “Nina Simone’s Back”, riarrangiata ora in chiave Psych su un fondale di elettronica discreta dai toni scuri, con la voce effettata che rimbalza nelle cavità profonde delle percussioni. Il nero intramontabile è quello di una Nancy Sinatra nell’intro di “Hicks Y Z” che occhieggia alle tonalità di “Bang Bang” e si destreggia sapientemente tra pieni e vuoti. Il verde lisergico è il Folk scanzonato di una KT Tunstall nell’incalzante “Martial Hearts”.
A confermare la bontà dell’intuizione c’è il fatto che i momenti migliori sono quelli in cui le cromie si mescolano a dovere: nell’incedere della marcia di “Dry River” col cantato di Uli che avvolto nel sax rimane sospeso nel tempo, negli accenni sintetici di una ballad ritmata come “Emerald Dance”.

La formula di Black and Green è semplice ma è declinata in maniera suggestiva, narrata da un timbro Neo Soul immediato come quello di Gabriella Cilmi ma immersa in un liquido amniotico à la Daughter che le dona il magnetismo giusto per distinguersi dal mero Pop. C’è più di uno spunto valido da coltivare in futuro.

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Kaouenn – Kaouenn

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Scegliere un gufo come immagine simbolo per l’omonima opera di Kaouenn è opzione che, se da un lato permette di utilizzare tutta una serie di simbologie per spiegare la propria musica, dall’altro rischia di trasformarsi in una banalizzazione della stessa, visto l’eccessivo e talvolta superficiale uso che si fa di questa effigie. Il gufo, in un passato remoto associato al male, la morte, la sventura e l’oscurità è anche il simbolo della saggezza, a seconda di quali tradizioni si vadano a scandagliare e dunque, in una visione d’insieme, ha la forza di evocare una duplicità di allegorie, positive e negative, di rappresentare la complementarità dei contrari, che, nel caso specifico di questo disco, vogliono essere realismo e misticismo, auto distruzione e speranza. Come riesce Kaouenn a rendere, con la sua musica, tutto questo? A dirla tutta, semplicemente non ci riesce, perché il timore che questa simbologia fosse il pretesto per dare profondità a qualcosa che non riesce ad acquistarne con mezzi propri diventa una concreta realtà una volta passati all’ascolto. L’Electronic di Kaouenn è massimalista e protesa ad un Synth Pop senza troppe pretese, con sparute apparizioni di rimbombi Blues, tanta New Wave, Future Pop ed Electro Industrial come certi Covenant (“Black Owl”) e pochissime incursioni nelle asperità sperimentali del Trip Hop o nelle teutoniche atmosfere seventies. C’è qualche buona idea, soprattutto quando la voce cupa è accompagnata da ritmiche poderose e suoni grevi ma è la stessa voce uno dei primi problemi di quest’opera. Non convince e con lei non convincono le scelte di suoni e melodie, che per un genere di Elettronica che vuole mettersi addosso l’abito elegante della Pop star, la cosa diventa un problema enorme. Gli echi acuti ed elettrici dei Kratfwerk, le armonie vocali in stile Depeche Mode, l’offuscamento wave dei New Order, la severità Pop dei Pet Shop Boys, le stranezze rumoristiche e tribali stile The Knife (“Dog vs Fox”), diventano non tanto un dichiarato punto di partenza, una moltitudini di radici dalle quali innalzarsi per creare altro ma piuttosto uno scomodo metro di paragone che pesa come un macigno sulle spalle di un bambino. Non è certo tutto da buttare, diversi sono i passaggi in cui Kaouenn mostra di avere la possibilità di andare oltre quello che ha messo oggi sul piatto e la speranza è che sia capace di superare questa fase fin troppo confusa, magari lasciandosi alle spalle onanismi simbolistici e puntando dritto su una più coraggiosa e concreta scelta di suoni e melodie.

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Recensioni | aprile 2016

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Lucio Leoni – Lorem Ipsum (Alt Pop, Rap, Ska) 6,5/10
loremipsum
Stornelli romani che illustrano beffardi la generazione di quelli nati negli anni ‘80, che a volte si accalcano in spoken di Rap nostrano, altre volte molleggiano su melodie composte e vagamente sintetiche. L’album di esordio di Lucio Leoni è ironico e singolare, un’eccentrica voce fuori dal coro che merita sicuramente più di un ascolto.

[ ascolta “Domenica” ]

Martingala – Realismo Magico Mediterraneo (Indie, Blues) 6/10
Martingala_Realismo-Magico_coverAnima Blues, vestito Indie e tante esperienze diverse alle spalle: loro sono i Martingala, progetto parallelo ai Café Noir di Alessandro Casponi, Davide Rinaldi ed Emanuele Zucchini. Il loro disco d’esordio ci parla delle maree dell’animo umano raccontate in chiave blues-dream risultando pregno di un empirismo italo-Shoegaze. Alla luce di ciò nessun titolo fu mai così azzeccato.
[ ascolta “La prima volta che ascoltavo musica” ]

Med In Itali – Si Scrive Med In Itali (Jazz Samba, Swing, Songwriting) 7/10
si-scrive-med-in-italiCantautorato ironico dal retrogusto amaro e sfrontatezza Jazz per il secondo album del collettivo piemontese. L’estro nelle composizioni, in bilico tra tropicalismi e retromanie, regala scorrevolezza a un disco strutturato bene e suonato anche meglio. A volte la tradizione musicale italiana riesce ad evolversi in maniera diversa, senza necessariamente precipitare nel Lo-Fi e nell’Indie Pop.
[ ascolta “Comico” ]

LNZNDRF – LNZNDRF (New Wave, Psych Rock) 7,5/10
005141208_300Supergruppi che hanno la faccia di quelli che suonano insieme da decenni. Il progetto che vede impegnati i gemelli Devendorff (The National) e Ben Lanz (Beirut) è un esercizio ispirato e compatto, tra ambientazioni rarefatte e psichedelia ipnotica, in direzioni inaspettate per chi temeva una mera collisione tra i sound delle due band di provenienza.
[ ascolta “Future You” ]

Heathens – Alpha (Electro, Dark Wave, Trip Hop) 7,5/10
Heathens-AlphaCon Tommaso Mantelli aka Capitain Mantell alla produzione, il sound dei veneti Heathens si fa mellifluo ed elegante, un’oscurità elettrificata al neon che echeggia ai Radiohead e ai Massive Attack ma che non è mai ruffiana. Tra le collaborazioni, anche Nicola Manzan (Bologna Violenta). Maturità compositiva fuori dal comune per una formazione che è appena al secondo disco.
[ ascolta “Parallel Universes” ]

Nonkeen – The Gamble (Elettronica, Lo-Fi, Avantgarde) 8/10
homepage_large.1e761990Nils Frahm
come Re Mida, che maneggia vecchi nastri e li trasforma in oro. Con gli stessi compagni di allora, tra levigature e campionamenti le incisioni di Frahm quindicenne diventano impasto sonoro denso e magnetico. Il progetto Nonkeen è Elettronica suonata che ammicca al Krautrock e al Prog, ma con la disinvoltura di una jam session.
[ ascolta “Saddest Continent On Earth” ]

W.Victor – Che Bella Cacofonia (Alt Folk, Cantautorato) 7/10
w-victor-che-bella-cacofoniaCi porta a spasso per generi e luoghi questo ultimo lavoro di W.Victor, che guarda al Folk del sud della penisola ma anche a quello balcanico, e ci srotola sopra un songwriting intimo e scanzonato allo stesso tempo. Strumentazione tradizionale e un timbro vocale intenso sono sufficienti a completare un disco ironico e ispirato.
[ ascolta “Sempre Canto Per Lei” ]

Silence, Exile & Cunning – On (xxxxxx) 6/10
12122620_1065312083500354_1700802864376002040_nTutt’altro che nostrano il sound di questa italianissima formazione, che guarda con criterio al Post Punk frivolo degli Arctic Monkeys ma poco si sforza di aggiungere alla formula collaudata, tra parentesi Funk e qualche surfata di devozione ai Beach Boys. Il risultato è omogeneo e ben suonato, ma forse non basta per fare breccia nelle orecchie.
[ ascolta “Last, Proximate End” ]

Wild Nothing – Life of Pause (Synth Pop, Dream Pop) 5,5/10
downloadffffffAl terzo lavoro in studio l’autocitazionismo è di certo una scelta prematura. Jack Tatum ha tirato a lucido la produzione ma si è dimenticato di aggiungere l’ingrediente infallibile che aveva usato in Gemini e in Nocturne: l’intensità. Se non l’avesse fatto, probabilmente avremmo digerito qualsivoglia variazione sul tema. Risveglia dal torpore “To Know You”, ma solo perchè suona preoccupantemente Talk Talk.
[ ascolta “A Woman’s Wisdom” ]

 L’Orso – Un Luogo Sicuro (Synth Pop, Indie) 5/10
12813967_991014817635835_3173083255426462977_nL’Indie Pop de L’Orso è in preda a un’infatuazione per l’Elettronica easy e un po’ datata. Senza alcuna pretesa di trovare esperimenti arditi in un disco Pop, il risultato resta comunque eccessivamente banale. Gli episodi faciloni non riescono ad essere appiccicosi quanto in realtà vorrebbero, e gli incisi di cantato quasi Rap non aiutano.
[ ascolta “Non Penso Mai” ]

Igor Longhi – The Flow (Modern Classical) 6,5/10
Igor Longhi è un pianista triestino che si muove nell’ambito del minimalismo neoclassico. Un ascolto piacevole, un Ep nel quale Longhi mostrerà un’anima melodica che nella sua semplicità risulterà ricca di sentimenti e sfumature. Seppur non ancora ai livelli degli attuali e principali autori del genere questa naturalezza, leggera e cinematografica, colloca sicuramente Longhi tra i nomi più promettenti dello stesso.
[ ascolta “#loveisgenderfree” ]

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Tatum Rush – Guru Child

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Pur cavalcando, anch’egli, l’onda anomala e prepotente di Neo Soul e R&B che sta sommergendo il vecchio continente, l’artista di San Diego riesce a darne tuttavia un’interpretazione personale e diversa, rinunciando alle contaminazioni consone, spesso però valide, dei suoi colleghi e conterranei e rileggendo il tutto con uno spirito più teso a un Pop minimale e leggero, di facile ascolto e predisposto a convincere sia i più attenti ascoltatori e raccoglitori di ogni sfumatura, sia chi lascia scivolare la musica sulla pelle con la stessa naturalezza con la quale fa cadere le gocce di acqua marina sulla spiaggia, appena fuori dall’acqua. L’R&B racchiuso nelle dodici tracce di Guru Child non ha molto a che vedere con la fisicità di un D’Angelo ma neanche con le vorticose divagazioni di Anderson. Paak, tanto per citare gli ultimi, più fortunati, interpreti del genere. Il polistrumentista e produttore statunitense rinuncia a quei punti di forza palesati dai già citati artisti, mostrando il lato più sexy di questo stile, rafforzato dall’uso, in chiave live, oltre che del batterista svizzero Domi Chansorn, di tutta una serie di disinvolte ragazze, nel senso più sensuale del termine, che lo affiancano sul palco. La carriera dell’ex leader dei Meadow, e bassista dei Great Black Waters, prende una strada del tutto inattesa ma soprattutto sorprendente, in senso positivo e, i quaranta minuti del disco sembrano volerci invitare a tenerlo d’occhio, in attesa del capitolo due.

La passionalità di brani minimali e incisivi come “Black Magic Queen” o “Get You” si alternano a nerissimi Blues (“Distractions”, “Burn Some Gas”) e folkeggianti cavalcate soniche (“Your Vacation”), curate ma non eccessive e che lasciano alla voce di Tatum Rush tutto lo spazio di cui ha bisogno per esprimersi al meglio. Le atmosfere vintage richiamate da brani come “Fertilizer” o dalla title track suggeriscono nuove chiavi di lettura che si aggiungono a quella sensibilità Pop cui ho già accennato (“Making it Look Easy”) e a incursioni in territori più ritmati e quasi spensierati (“Tenerife”). Non mancano episodi in cui, soprattutto grazie alle taglienti corde della chitarra, la musica di Tatum acquista energia (“Brother Wood”) ma è quanto scende nei territori della dance floor, a volte con reticenza (“Supercollider”) altre con evidente sicurezza e voglia di osare (“Space Perineum”) che diventa più sorprendente.

Guru Child è un disco che sa essere esemplare senza fare clamore, che riesce a unire la Dance al Blues, il Folk al Soul, la voglia di sobrietà compositiva alla necessità di un’estetica Pop. Un disco che ha tutte le carte in regola per arrivare a tanti ma che ha bisogno di una notevole dose di distensione mentale per essere afferrato fino in fondo, perché la semplicità immediata, troppo spesso, è scambiata per “mancanza”.

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Massimiliano Martines – Ciclo di Lavaggio

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Leccese di nascita ma bolognese di adozione, Massimiliano Martines inizia la sua produzione nel 2009 con l’esordio Frottole. Pur affrontando strade Pop e commerciali (vedi partecipazione al programma tv Viaggio Dentro una Canzone su Rai5 o altre a trasmissioni Rai di vario genere) la sua formazione è di stampo soprattutto teatrale e questa sua predisposizione ha finito per influenzarne anche lo stile canterino ed espressivo, spesso teso allo Spoken Word e a un cantato più adatto al mondo del teatro che non alla forma canzone, fatto di vocalizzi estremi e cambi di tonalità frequenti e una timbrica a volte ai limiti della sgradevolezza. C’è dunque una quantità notevole d’input a forgiare il nuovo album di Massimiliano Martines; dovremmo aggiungere la pubblicazione di diversi libri di poesie e testi teatrali, uno dei quali con presentazione di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, ma anche la sua attività di direttore artistico e organizzatore di eventi. Insomma, il materiale sul quale lavorare per la creazione di Ciclo di Lavaggio è innumerevole e da qui, il rischio di non produrre qualcosa di compiuto ma piuttosto un calderone confusionario in cui stili e tecniche si mescolino senza una propria anima. La verità sta in mezzo e per una volta la cosa non mi dispiace troppo.

L’iniziale “Amo le Novità” introduce un Massimiliano Martines che non ti aspetti, con una voce monocorde e profonda a scivolare su ritmiche ipnotiche e musica stridente, disturbante e psichicamente violenta. Eppure non è questo il cantautore che sentiremo perché presto le cose cambieranno, trasformandosi ora in un cupo Alt Rock anni 90 (“Tutto Uguale”, “Mi Sto Preparando”) dove la voce dapprima bassa e poi più alta, recita su brani essenziali, poi in tenui Folk Pop (“Perla Nera”, “La Scatola e l’Inganno”) dalle mille perplessità, con quella voce che sembra trovarsi per caso tra le pieghe della musica, con poco stile e un suono, un timbro, un’intonazione davvero fastidiose. Prova anche a giocare con il Pop Cantautorale (“La Polvere”, “La Guerra dei Fiori Rossi”, “I Colori dell’Autunno”, “Sogni Neri”) ma l’esercizio di stile non riesce e i testi, se non banali sicuramente senza mordente, finiscono per rendere ancor meno apprezzabili i brani. Molto più interessante la title track, in cui la prima parte scivola come un Folk Rock ritmato alle spalle di una voce che pare recitare monotone litanie per poi esplodere in un potente Alternative Rock, fatto di chitarre taglienti e ritmiche rabbiose con la voce a urlare alla maniera del più nervoso Capovilla. Ed è proprio quando Massimiliano Martines prende una piega aggressiva che finisce per convincerci maggiormente, quando urla e non quando recita o sceglie il falsetto. L’impostazione della sua voce diventa più incisiva, nonostante resti piatta, e l’apparato strumentale pare legarsi più saldamente a testi e parole. Il problema è che i brani in cui questo avviene sono una minima parte; il resto, come detto, è una serie di pezzi tra Folk e Pop, certamente ben costruiti, ma banali con Martines a declamare testi che, francamente, ci saremmo aspettati molto più interessanti (salviamo “La Guerra dei Fiori Rossi”, rilettura dell’omonimo film di Zhang Yuan che narra della repressione cinese infantile) e con un’impostazione e una timbrica che sembra un micidiale e mal riuscito cocktail tra Tricarico, Alessio Bonomo e Vasco Brondi. Ciclo di Lavaggio è un’occasione persa per Massimiliano Martines, occasione di dare un senso compiuto alla sua arte, di darne un’inquadratura precisa, definirne una strada e invece, ancora una volta, resta una moltitudine di elementi mescolati in maniera confusionaria, non sempre riuscita, con l’impressione che lui stesso non abbia ancora le idee chiare su quale estetica espressiva adottare per esprimere ciò che sente.

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Michele Anelli – Giorni Usati

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Michele Anelli, al suo ritorno dopo la collaborazione con i Chemako, si presenta con un disco di svolta per la sua quasi trentennale carriera. Abbandonate definitivamente le sonorità Roots Rock degli esordi coi Groovers, il nostro vira infatti in modo deciso verso un Pop ispirato agli anni 60 non senza venature Rock Jazz Prog & Beat, ed un cantato che trova sempre più il suo faro in Lucio Battisti. Questa svolta è figlia dell’incontro con il tastierista Andrea Lentullo e con il contrabbassista Matteo Priori che hanno sviluppato idee che Anelli rincorreva da tempo ma che fin qui aveva solo sfiorato. Il disco, prodotto da Paolo Iafelice, già al lavoro con Fabrizio De Andrè, P.F.M., Vinicio Capossela, Daniele Silvestri e tanti altri, risulta essere molto curato ma non riesce a catturare. Le liriche di Anelli, che in passato ha prodotto rivisitazioni di canti di lavoro e resistenza, sembrano provenire direttamente da quei periodi (“Leader”) non convincendo appieno neanche nei momenti migliori. Anche il sound può talvolta risultare più datato di quanto dovrebbe; nonostante ciò non mancheranno comunque momenti piacevoli durante l’ascolto. Il disco ci parlerà dell’amore con le sue comprensioni ed incomprensioni, dell’importanza del suo tetto che ripara dalla pioggia battente che la società ci scaglia addosso, nonché della necessità di svegliarci, alzare la testa e riprenderci le nostre strade e possibilità, i nostri giorni, la nostra vita. Troveremo i momenti più apprezzabili nel brano di apertura “Lavoro Senza Emozioni” capace in qualche modo di coinvolgere con i suoi cori quasi ossessivi ed una melodia ariosa a far da contraltare, nella ballad Pop-Rock “Adele e le Rose” e nella gradevole “Alice” per quanto adatte, soprattutto durante i ritornelli, al festival della città dei fiori, in “Gospel”, brano nel quale interviene il Lift Your Voice Gospel Choir, che Anelli dedica alle persone incontrate durante il suo percorso e rilevatesi importanti per la sua crescita di uomo ed artista, e nella conclusiva title-track, leggera e jazzata, nella quale la voce oltre al cantato sarà impegnata in una parte parlata per il testo meglio riuscito dell’intero lotto. Michele Anelli, al quale non va negato il merito di cercare e frequentare da sempre strade distintive, sforna dunque il disco che da tempo sognava e inseguiva ma senza purtroppo riuscire a emozionarci. Giorni Usati alterna luci ed ombre, ma si tratta comunque di luci mai abbaglianti come di ombre con le quali è possibile convivere. È un disco che manca del giusto mordente e di conseguenza non lascia il segno ma che può, sotto certi punti di vista, essere considerato quasi come un esordio, un primo frutto di una pianta che in futuro potrà probabilmente donarne di più maturi, ricchi e succosi.

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Recensioni | agosto 2015

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Ben Miller Band – AWSOF (Country, 2014) 8/10

Un secondo album spettacolare per il trio Ben Miller, Doug Dicharry, Scott Leeper che unisce in dodici tracce dal sapore Country tutta la propria esperienza e classe, miscelando Bluegrass, Americana e Southern Rock in un sound estremamente tradizionale ma che riesce a non emanare mai lo sgradevole odore di anacronismo.

Gab de la Vega – Never Look Back (Cantautorato, Punk, 2015) 7,5/10

Il cantautore Punk Folk bresciano Gab de la Vega torna e stupisce tutti con dieci nuovi pezzi e un’interpretazione di “Never Talking to YouAgain”, un grande classico degli Hüsker Dü. Un po’ ricorda quanto fatto recentemente da Tv Smith, ma c’è anche tanto di Bob Dylan e Neil Young. Da non lasciarselo sfuggire!

Stearica – Fertile (Post Rock, Math Rock, 2015) 7,5/10

Essere scaraventati al muro dalla potenza del suono non è cosa che succede troppo spesso. Gli Stearica ci riescono, in versione digitale quanto in versione live, a botta di drumming energici, bassi e chitarre distorti.

Lydia Lunch/Retrovirus – Urge to Kill (No Wave, Post Punk, 2015) 7/10

Lydia Lunch scrive il capitolo del progetto Retrovirus, riunendo sul palco Weasel Walter alla chitarra, Tim Dahl al basso e Bob Bert (Sonic Youth) alla batteria. Nove tracce per ripercorrere la carriera della “big sexy noise queen” e una ciliegina sulla torta: la cover di “Frankie Teardrop” dei Suicide.

OoopopoiooO – OoopopoiooO (Sperimentale, Ambient, 2015) 7/10

Due maestri del theremin creano un nome impronunciabile, sintomo di un universo distorto, onirico, pazzoide. Quella pazzia sana, che fa andare oltre le spesse barriere del Pop e mischia strumenti, giocattoli, elettronica, parole e voci che sembrano arrivare dalle zone più nascoste del nostro cervello. Tredici brani che sembrano difficili al primo ascolto ma che alla fine ci sembreranno vicini alle orecchie come ronzii di insetti.

All About Kane – Seasons (Pop Rock, 2015) 7/10

Gli All About Kane alla loro seconda prova discografica intitolata Seasons, confermano l’ottimo esordio con Citizens e aggiungono alla loro dna british un pizzico di sperimentazione che si spinge verso il Pop e l’Alternative. Seasons è un interessante insieme di melodie leggere e mood movimentati; canzoni come “Old Photograph” e “Hurricane” si fanno amare fin da subito per piacevolezza e orecchiabilità. Nonostante spesso la voce del cantante ci ricordi molto Brian Molko dei Placebo, gli All About Kane riescono a mantenere viva la propria identità per tutto l’album, offrendo all’ascoltatore qualcosa di interessante e ben realizzato. Anche se uscito da qualche mese lo consigliamo per tutti i viaggiatori estivi che hanno voglia di una sferzata di aria fresca.

My Own Prison – Sleepers (Hard Core, 2015) 7/10

Cagliaritani, i My Own Prison, dimostrano con questo loro lavoro di conoscere decisamente bene l’hard core e di possedere tutta la tecnica per poterlo personalizzare. Tutto il disco è fondato sull’infuenza grind e su un cantato growl che muove su ritmi serratissimi di basso e batteria (al limite dell’agilità), che non si concedono tregua neppure in “Sleepers Eve”, caratterizzata da un timbro chitarristico dal sapore Indie-Pop, o nella più intima “Temper Tantrum”. Dieci tracce per un full lenght davvero pieno di energia, decisamente per gli appassionati del genere.

Solkiry – Sad Boys Club (Post Rock, 2015) 6,5/10

A due anni di distanza dall’album d’esordio, torna il quartetto australiano con il suo dinamico Rock strumentale di chiarissima ispirazione mogwaiana. Un disco potente e variegato, che riesce a cullare tutto lo spettro di emozioni che si accavallano nei sogni ad occhi aperti e che ha l’unico difetto di mostrarsi troppo incapace di osare davvero, risultando troppo banale e ripetitivo nella scelta pura dei suoni.

A Minute to Insanity – Velvet (Grunge, Stoner, 2014) 6,5/10

Il Grunge non è morto. Gli A Minute to Insanity da Cosenza lo dimostrano con orgoglio in questo ep. La chitarra e la voce “consumata” di Francesco Clarizio, insieme al basso di Antonio Trotta e alla batteria di Francesco Lavorato, ti riportano lì, in quegli anni Novanta che non sono ancora messi in archivio del tutto.

Attribution – Whynot (Rock’n’Roll, 2015) 6,5/10

Potente e autorevole questo Whynot dei bergamaschi Attribution, album che mescola un’attitudine classicamente Rock and Roll ad una commistione di generi che invece di risultare indigesta esalta le qualità di ogni singolo componente (prezioso l’uso dei fiati). Da ascoltare soprattutto il divertente Funk di “Scofunk” e la bella rivisitazione di “Cold Turkey” di John Lennon.

La Sindrome della Morte Improvvisa – Ep (Stoner, Noise, Hard Rock, 2013) 6,5/10

Un vero e proprio calderone: fondete Stoner, Noise e Hard Rock e otterrete la giusta ricetta sonora; un sound che appartiene più all’America che all’Italia e forse in questo la lingua non aiuta molto (sarebbe stato più giusto cantare in inglese!). Nonostante ciò un lavoro maturo negli arrangiamenti e perfetto nella registrazione

Snow in Damascus – Dylar (Elettronica, Shoegaze) 6/10

Atmosfere cupe e sonorità che spaziano tra Elettronica e Shoegaze, per un disco d’esordio che nel complesso suona come un buon lavoro di tecnica, ma che non colpisce per la sua originalità.

Moira Diesel Orchestra – Moira Diesel Orchestra (Alternative, Post Grunge, 2014) 6/10

Orfani degli anni Novanta, i MDO ricercano costantemente sonorità a metà tra il Seattle sound e dei seminali Litfiba. Tra qualche errore di gioventù e troppi eccessi di imitazione emergono alcuni momenti interessanti come “Nostema di Posizionamento Globale” o “Ardore” che per qualche minuto cancellano i molti reminder. Rimandati.

The Moon Train Stop – EP (Rock, Alt Pop) 6/10

Echi sixties per il trio piemontese all’esordio. Un Pop alternativo luccicante, divertito, ritmato, senza eccessiva originalità ma competente. Quattro brani suonati bene, cantati così così. L’inglese non rende benissimo. Non lasciano (ancora) il segno.

La Sindrome della Morte Improvvisa – Di Blatta in Blatta (Stoner, Noise, Hard Rock, 2015) 5,5/10

Quando si incide un disco che ha il grave compito di succedere a quello d’esordio si pretende qualcosa di più; purtroppo in questo lavoro si mette in evidenza solo la bravura. Mancano i contenuti e le idee nuove. Un piccolo passo indietro quindi è stato fatto nonostante il gruppo si sia aperto ad un lato più “oscuro”.

Night Gaunt – Night Gaunt (Doom Metal, 2015) 5,5/10

I romani Night Gaunt fanno loro l’essenza dei Candlemass unendola alle cupe atmosfere dei Katatonia e alle accelerazioni di puro stampo Celtic Frost. Si resta sempre nell’ambito del Doom Metal, fedeli a un registro prestampato. Senza infamia né lode.

Marco Spiezia – Life in Flip-Flops (Cantautorato, Swing 2015) 5/10

Semplicità ed immediatezza sono le caratteristiche principali di questo disco che non fa ascoltare nulla di nuovo ma che diverte. Canzoni (quasi) sempre veloci ma dai ritmi abbastanza simili. Forse il cantautore sorrentino Marco Spiezia dovrebbe (e potrebbe) osare di più.

The Junction – Hardcore Summer Hits (Indie, Pop Punk) 5/10

Per i tre padovani, il secondo album è una nuova prova con pretese ridotte al minimo sindacale. Pezzi tirati quando basta per provare a non annoiare, qualche buona melodia, un inglese che si tradisce spesso e tantissime banalità, in una miscela di cliché Indie Rock e qualche incursione nei territori del Punk Rock (Pop meglio) da bermuda, occhiali da sole e infradito.

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Giuseppe Righini – Houdini

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Tra torbido e danzereccio, un disco capace di essere sofisticato senza perdere in fruibilità.
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Fast Listening | Aprile 2015

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Daniel Knox – Daniel Knox  (Alt Pop, 2015) Voto 7/10

Terzo bellissimo lavoro per il trentacinquenne di Chicago che dopo l’ottimo esordio Disaster del 2007 e il successivo altrettanto valido Evryman for Himself è chiamato a confermare il suo talento centrando l’obiettivo quasi completamente. Pop da camera, barocco e orchestrale che disegna il volto di un’America sofferente.

Tobias Jesso Jr – Goon (Songwriter, 2014) Voto 6,5/10

Dopo le più innumerevoli vicissitudini negative, personali e artistiche, sembra giunto il momento del riscatto per questo giovane musicista di Vancouver, qui al suo esordio solista. Un album intenso, ricco di spunti, non senza qualche ridondanza ma che fa ben sperare per il futuro.

Ovlov – solo (Alt Pop, 2015) Voto 6,5/10

La presenza del bassista degli Smiths Andy Rourke nelle vesti di direttore artistico e produttore pare essere da sola garanzia di validità del prodotto. Il nuovo album del power trio bresciano prende effettivamente le distanze dal Rock diretto, immediato, dell’esordio scegliendo una strada più introspettiva e complessa. Nel risultato, solo è un album convincente solo a metà, specie nei suoi passaggi più Wave ma che non riesce a togliersi di dosso quella sensazione di deja-vù. Da segnalare la presenza di Xabier Irondo (Afterhous) al basso in “Fall Down”.

BeWider – A Place to Be Safe (Pop Orchestrale, Alt Pop 2015) – 6,5/10

Quando partono le prime note (“Following the River Flow”) di questo Ep d’esordio del compositore Piernicola Di Muro, grazie anche alla bellissima voce di Francesca Amati, non si può che restare affascinati gonfiandosi della speranza di aver finalmente scovato nel panorama italiano qualcosa che sia davvero di portata internazionale. Tuttavia, nei cinque brani che seguono, tutto il pathos iniziale finisce per sfaldarsi in una varietà stilistica che se da un lato fornisce una miriade di spunti dall’altro non garantisce la giusta omogeneità. Dall’Elettronica classica si passa al Dub, fino al Trip Hop per la gioia di chi si annoia facilmente.

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